Settanta anni di storia imprenditoriale con la famiglia Malta

Nuova puntata della rubrica l’Azienda del mese nata dalla collaborazione editoriale fra QuotidianoPiacenzaOnline e Confcommercio Piacenza. Come sempre il nostro giornale cerca di farvi conoscere più da vicino realtà storiche o di particolare interesse fra quelle iscritte all’associazione di strada Bobbiese

La storia imprenditoriale della famiglia Malta si interseca inesorabilmente con l’evoluzione economica e sociale del nostro Paese. Tutto ebbe inizio a San Nicolò, in provincia di Piacenza, dove i capostipiti, Pietro e Luigi, incominciarono a darsi da fare come carrettieri. Con i cavalli e il loro mezzo da lavoro movimentavano ghiaia dal Trebbia fino allo stabilimento di via Farnesiana della Unione Cementi Marchino, successivamente diventata Unicem. Collaboravano anche con la Marzolini di Ponte Trebbia, specializzata nella produzione di calce. Nell’immediato dopoguerra seppero cogliere al volo un’opportunità di modernizzazione: l’esercito americano, terminato il conflitto, aveva ritenuto più conveniente lasciare in loco i mezzi utilizzati, anziché riportarli negli Stati Uniti.  Così tante Jeep Willys e camion vennero messi all’asta. I fratelli Malta si aggiudicarono un potente Chevrolet che divenne il primo mezzo motorizzato e permise loro di fare un salto di qualità. Il lavoro crebbe e acquistarono due camion Fiat con rimorchio, usati soprattutto per movimentare i sacchi dei cementifici verso i cantieri e le rivendite. Nel novembre 1995 diedero vita alla vera e propria ditta, quella che la scorsa settimana ha festeggiato i settant’anni di attività ritrovandosi per un brindisi collettivo con amici, clienti, fornitori, dipendenti e collaboratori (del presente e del passato).

I camion venivano ricoverati in due ampi garage in via Agazzano dove nacque anche il primo magazzino. Capitava sempre più spesso che i compaesani chiedessero ai fratelli di poter acquistare un qualche sacco di cemento. Intuendo le potenzialità del settore i due si suddivisero i compiti con Luigi che continuava ad effettuare i trasporti, mentre Pietro organizzava, nella grande corte, la prima rivendita di mattoni, cemento ed altri materiali edili. Il giro continuò ad ampliarsi e nel 1985 fece l’ingresso nella Fratelli Malta la seconda generazione con Giuseppe, il più grande fra i figli di Luigi, e con il secondogenito Riccardo che aveva da poco terminato il servizio militare. I due giovani subentrarono a zio e papà curando il primo i trasporti ed il secondo la rivendita. Una decina di anni arrivò in azienda anche il piccolo di casa, Alessandro, mentre lo zio Pietro decise di intraprendere un’altra strada con i figli, cedendo la propria partecipazione ai nipoti. Nel 1999 l’attività venne trasferita nella nuova sede di via Grilli 13, dove si trova tuttora, con l’acquisizione, pochi anni dopo, di un secondo capannone rilevato da un’azienda che rivendeva attrezzature sempre per l’edilizia. L’ultima evoluzione c’è stata con l’apertura dello showroom con affaccio sulla via Emilia Pavese. La Fratelli Malta di oggi è ancora guidata da Giuseppe (64 anni), Riccardo (58 anni), Alessandro (52 anni) mentre circa sette anni fa è entrata la terza generazione rappresentata da Giulia, figlia del primogenito. Al momento invece la sorella Camilla, ottenuto il Double Degree alla Cattolica di Piacenza e frequentato un Master, sta completando la laurea magistrale ed in contemporanea lavora a Milano presso una società di consulenza internazionale, anche se non è escluso che in futuro possa unirsi all’impresa di famiglia.

La Fratelli Malta in questi settant’anni si è profondamente trasformata. L’autotrasporto conto terzi è stato abbandonato ed attualmente i tre camion in dotazione, uno dei quali è un autotreno, servono per le consegne o per ritirare la merce dai fornitori. Al lavoro dei soli familiari si è progressivamente aggiunto quello dei dipendenti che sono oggi dieci. La rivendita edile propone anche isolanti, attrezzature varie, il tintometro per le pitture, il noleggio di piccoli attrezzi, gli elettroutensili e gli accessori della linea professionale Bosch con anche il servizio riparazione, essendo Punto Blu e dunque partner a tutto tondo dell’azienda tedesca.

Giulia invece, insieme ad alcuni collaboratori, segue prevalentemente lo showroom dove si possono vedere ed acquistare pavimenti, rivestimenti, parquet, laminati, arredo bagno ed anche stufe e camini.

Luigi Malta è scomparso nove anni fa, ma sarebbe stato molto fiero di partecipare al taglio della torta per questi primi 70 anni di cammino aziendale, così come lo era quando, ormai anziano, frequentava comunque i capannoni dell’impresa che aveva fondato con il fratello e ne apprezzava la crescita.

Un altro “socio” di fatto dell’azienda è stata anche Luisa Riva, moglie, mamma e nonna, mancata tre anni fa. Non era direttamente coinvolta nella vita della rivendita edile ma era il fondamentale sostegno di tutti i quattro maschi di casa. Una donna forte, che viveva in simbiosi con il marito e che come tutte le rappresentanti della vecchia generazione si preoccupava se uno dei figli non mangiava a sufficienza o se rientrava troppo tardi la sera. Il marito usciva di casa alle quattro di mattina e rientrava alle diciannove e lei mandava avanti casa e famiglia con polso, trovando però il tempo per cucinare i piatti della tradizione. Intorno a Natale metteva tutti al lavoro, comprese le nipoti più piccole, per preparare gli anolini e ne faceva talmente tanti che spesso duravano fino a Ferragosto!

Da un impasto all’altro … anche nonno Luigi coinvolgeva la nipotina più grande, Giulia, in varie operazioni, a partire da quella domenicale di pulizia dei camion, oppure le insegnava a mescolare il cemento, un modo per farla divertire ed avvicinare al suo mondo. Un “imprinting” che ha dato i suoi frutti visto che ora è proprio lei la nuova generazione pronta a portare avanti la bandiera imprenditoriale di famiglia.




Trent’anni “da Lupo”: la famiglia Farina ha celebrato il suo ristorante a Ciriano

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Non avviene tutti i giorni che un agnello si trasformi in lupo, ma il divertente cambio di nome ebbe certamente luogo quando la famiglia Farina lasciò il locale aperto nel 1982 a Caratta per spostarsi a Ciriano di Carpaneto dove nel 1995 venne inaugurato il nuovo locale, denominato appunto “Ristorante il Lupo”.
Sono ormai trascorsi trent’anni da quel passaggio, un anniversario recentemente festeggiato con tanto di torta celebrativa.
L’avventura era partita con mamma Rosanna Calamari e papà Guglielmo (scomparso nel 2017) ed è ora portata avanti dalle figlie Mariachiara e Francesca, mentre il fratello Luigi, dopo alcuni anni di impegno nel ristorante ha deciso di dedicarsi all’attività di giardiniere. Nonostante gli ottant’anni compiuti la signora Rosanna continua a dirigere la cucina, affiancata da alcune valide collaboratrici. La sala invece è appannaggio delle figlie che servono ai clienti i piatti della tradizione piacentina. La pasta è fatta rigorosamente a mano, dagli anolini, ovviamente proposti in brodo, ai pisarei, dai tortelli con la coda di ricotta e spinaci ai panzerotti. Non mancano poi proposte originali come i ravioli di coppa al gutturnio ed i buonissimi tagliolini ai porcini.
Vi sono inoltre piatti speciali proposti in occasioni altrettanto particolari. Durante la Festa della Coppa ad esempio è previsto un ricco piatto unico a base di trofie, involtini di maiale, polpette e ragù.
Nelle due serate di apertura (il venerdì ed il sabato) si può gustare la torta fritta per accompagnare i salumi, così come la giardiniera e le torte salate, preparate dalla signora Rosanna e dalle sue aiutanti.
Il menù prevede a pranzo anche la picula di cavallo mentre il mercoledì è protagonista il coniglio con le olive, cucinato secondo una ricetta toscana di una zia. Fra i secondi proposti anche gli arrosti della tradizione ed un sontuoso vitello tonnato.
Specialità della casa sul fronte dei dolci sono il Montebianco con le castagne e la panna insieme al Meringone fatto con meringa, panna montata e zabaione e finito con fragole e frutti di bosco.
Anche le aiutanti di cucina hanno le loro armi segrete. Alessia dà vita ad una riuscitissima torta al cioccolato ed a una cheesecake mentre Sofia è specializzata in una torta con farina di mandorle, marmellata arance, finita con un crumble al cacao. Ai fornelli c’è anche Elena che è un po’ la cuoca senior ed un vero e proprio jolly, con la famiglia da oltre vent’anni.
«Quando il locale era gestito da papà e mamma – racconta Mariachiara – era sempre aperto. Era una locanda di paese, come si usava. La gente cominciava a venire al mattino presto per la colazione, poi c’era il pranzo e a seguire la merenda, la cena e si continuava con il dopocena. I ritmi oggi sono cambiati. Noi poi abbiamo fatto una scelta precisa per poter conciliare famiglia e lavoro. Io ho un figlio maschio di 15 anni ed una femmina di 6 anni. Mia sorella una bimba di 10 ed un bimbo di 3 anni. Per questo alla sera apriamo solo nel fine settimana, mentre a pranzo siamo aperti tutti i giorni, tranne il giovedì, con menù fisso. Sono anche cambiate le abitudini ed alla sera si esce soprattutto nei week-end. La nostra clientela è composta in larga parte di lavoratori a pranzo, durante la settimana, alla domenica abbiamo in prevalenza famiglie mentre alla sera di venerdì ancora famiglie, coppie, gruppi di amici. Inoltre facciamo tanti pranzi per cerimonie dalle cresima alle comunioni e ai battesimi, ai compleanni».
Come faceva vostra madre, all’epoca, a seguire l’attività “sempre aperta” e tre figli?
«Non so esattamente come. Eppure credo che ci abbia cresciuti bene, senza particolari traumi. Erano anche tempi diversi. Non voglio dire che eravamo meno viziati rispetto ai bambini di oggi, però certamente ce ne andavamo in giro liberi e spensierati a giocare qui nei campi di Ciriano. Non avevamo bisogno di tanto per divertirci. Abbiamo sempre abitato sopra al locale, prima a Caratta e poi qui. Quindi la mamma ci teneva comunque sott’occhio anche quando lavorava».
Una donna energica, instancabile …
«Se dovessi dare una definizione direi innanzitutto che è stata ed è una donna molto intraprendente. Quando hanno dovuto lasciare l’osteria di Caratta, dove erano in affitto, e hanno scelto di spostarsi a Ciriano di Carpaneto, comprare i muri e ristrutturare quello che era stato un locale da ballo, hanno avuto – lei e papà – molto coraggio. Si sono buttati in una nuova avventura, hanno fatto debiti che si sono ripagati nel tempo. Del resto è sempre stato nelle corde della mamma vedere tutto con gli occhi dell’ottimismo. Un’altra sua caratteristica è avere fiducia nel prossimo, mettersi nei panni degli altri, imparare da tutti, anche da uno stagista che per quanto giovane può avere qualcosa da insegnare. Allo stesso tempo, certo, è una donna di polso».




Rossetti Market compie 40 anni: “Un’impresa fatta di famiglia, lavoro e passione”

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Se la storia ci racconta di come Apple sia nata nel garage di Steve Jobs, a Los Altos, in California, sono tante le imprese che hanno avuto origine in luoghi “improbabili” ed in contesti assai diversi rispetto a quelli in cui si sono poi sviluppate. Fra di esse c’è anche un’azienda piacentina, la Rossetti Market che proprio in questi giorni sta festeggiando i suoi primi quarant’anni, con una serie di eventi (dalla musica al cabaret) dedicati alla propria clientela.

Tutto è partito dalla carrozzeria di papà Carlo Rossetti, originariamente collocata a Bacedasco e poi trasferitasi nei pressi della stazione di Alseno. Qui il giovane Giuseppe, oggi 63enne, iniziò a muovere i primi passi lavorativi affiancandosi al padre. Riparare le lamiere dei mezzi meccanici non era però la vocazione dell’irrequieto ragazzo che forse era più affascinato dall’altra attività paterna, quella del commercio di camion, mezzi agricoli, trattori, macchine movimento terra. Nello stesso periodo Giuseppe si dedicava ad una sua grande passione: il motocross, una disciplina sportiva che lo vedeva ottenere buoni risultati e che proseguì fino ad un grave incidente che lo tenne bloccato per sei mesi.

Una lunga pausa forzata che gli permise di pensare al proprio futuro ed anche di incontrare due persone che lo convinsero a partecipare ad un paio di aste. Poco più che ventenne si aggiudicò alcuni incanti, acquistando vestiti, scarpe ed altri articoli che incominciò ad accumulare nel capannone del padre Carlo. Merce che però occorreva vendere rapidamente per rientrare dell’investimento. Giuseppe iniziò a farlo bussando, letteralmente, alle porte dei suoi compaesani e proponendo ciò che aveva in stock e che poteva cedere a prezzi super convenienti.

Il tutto avveniva intorno al 1982/1983 quando aveva da poco terminato il servizio militare e la voglia di farsi strada era tanta. La voce iniziò a diffondersi e così, oltre ad ampliare la rete dei clienti, incominciò ad essere anche subissato da proposte di acquisto di merce in grosse quantità, di quelli che oggi chiamiamo stock. Gli capitò così di comprare, in una volta sola, 150 decespugliatori McCulloch, riuscendo a piazzarli tutti e nel giro di poco. Comprava articoli disparati fra cui compressori e batterie da auto e riempiva all’inverosimile l’officina dove intanto il signor Carlo continuava a lavorare come carrozziere e commerciante.

«Mio padre – racconta Giuseppe Rossetti – aveva un carattere aperto, sapeva stare in mezzo alla gente ed era bravissimo nell’intrecciare rapporti personali. Questo lo aiutava nel suo commercio e fu anche utile per iniziare a spargere la voce della mia nuova attività. Le persone venivano a trovarci per curiosare e fare acquisti. In relativamente poco tempo arrivammo a fatturare alcune centinaia di milioni di lire. In parallelo io mi dedicavo anche al commercio di automobili, importando macchine dall’Austria e dalla Germania. La struttura di papà, a quel punto, non bastava più e così decisi di fare un passo ulteriore ed acquistai il mio primo capannone, di fianco a dove siamo adesso. Nel giugno del 1985 nacque quella che definirei “una bella storia”: la Rossetti Market. Avevamo sei dipendenti e proponevamo un mix commerciale, la merce tipica di un brico e di un fai da te, ed anche piccoli elettrodomestici, televisioni, casalinghi».

L’intervista con Giuseppe Rossetti ha luogo in un noto ristorante della zona, dove lui è di casa e tutti lo salutano. Una chiacchierata davanti ad un buon piatto di salumi piacentini, in compagnia di Raffaele Chiappa, presidente di Confcommercio Piacenza, associazione di cui Rossetti è socio storico. Chiappa, a cui è legato da una decennale collaborazione, facilita il dialogo con Rossetti che però non perde i suoi tratti tipici: come farebbe con un fornitore, scruta lo scrivente, lo valuta e lo pesa. È diretto, dai modi spicci. Ma se si riesce a scalfire la corazza caratteriale che indossa, si percepisce una personalità molto diversa ed emerge anche uno spezzone del DNA paterno, capace in realtà di aprirsi e dialogare con entusiasmo, a patto di premere i tasti giusti: la famiglia, la sua azienda, i week-end in barca davanti a Porto Venere.

Se per raggiungere il successo imprenditoriale esistesse una precisa formula matematica saremmo tutti tycoon. Non esiste invece una rotta preimpostata: è un percorso lastricato di intuizioni, errori, ostacoli e soluzioni. Soprattutto ci vuole una buona dose di coraggio, un pizzico di incoscienza e tanta voglia di lavorare, come quella che emerge da alcuni aneddoti che racconta.

«All’inizio – ricorda Rossetti – si chiudeva al sabato pomeriggio ed alla domenica. Una domenica pomeriggio, tornando da una partita casalinga del Piacenza, con un amico, sono passato davanti al nostro punto vendita. Di fronte c’era allora Casamercato. Ho visto che era aperto e che era pieno di gente. Non ci ho pensato un istante. Ho preso le chiavi ed ho aperto anch’io mettendo il mio amico alla cassa: un successo. Da lì abbiamo incominciato a tenere praticamente sempre aperto, anche perché in quella giornata e mezzo si faceva un incasso davvero notevole. È trascorso qualche anno e nel 1997 hanno messo in vendita un lotto di terra a fianco. L’ho comprato al volo e nel 1999 abbiamo inaugurato il nuovo punto vendita di tremila metri quadri con altri duemila metri di magazzino. Abbiamo raggiunto i dieci milioni di fatturato. Nel 2004 ho accettato un’offerta di Casamercato ed ho venduto tutto. Per un paio d’anni mi sono rilassato, è nata mia figlia Rebecca e ho preso tempo per me e per la famiglia».

C’è chi si sarebbe accontentato di godersi i frutti del proprio lavoro ma Giuseppe Rossetti è fatto di una pasta diversa e così, dopo un paio d’anni di “nullafacenza” ha iniziato ad essere nuovamente preda del sacro fuoco dell’intraprendere. Nel 2007 ha intuito che Casamercato attraversava alcune difficoltà ed ha visto aprirsi la strada per riacquisire la Rossetti Market. Ha così intavolato una delicata trattativa ed il primo settembre 2008 è tornato alla guida del suo superstore ed ha lavorato per il suo rilancio.

«Gli inizi sono stati complicati perché abbiamo dovuto riconquistare la fiducia dei fornitori. Ci siamo riusciti ed oggi Rossetti Market è una realtà che conta quasi un centinaio di dipendenti ed occupa, fra area di vendita e magazzini, 15 mila metri quadri che diventeranno 22 mila metri al termine del futuro ampliamento. Avevamo bisogno di ulteriori spazi anche perché in questo settore uno dei “segreti” è quello di comprare bene per poter vendere a prezzi competitivi, al momento giusto. Quindi servivano altri spazi di stoccaggio. Inoltre abbiamo progettato un attento restyling delle aree di vendita, per ottimizzare gli ambienti e valorizzare al meglio i prodotti».

Se il commercio al dettaglio è assolutamente consolidato, Giuseppe Rossetti, con l’aiuto dei suoi più stretti collaboratori, sta puntando al B2B ossia alle forniture per le aziende anche in settori nuovi come ad esempio l’Horeca e le feste di paese. Un’altra novità in arrivo sarà quella del noleggio di attrezzature professionali: dal tosaerba al martello demolitore il cliente potrà trovare ciò che gli serve senza doverlo necessariamente acquistare, basterà affittarlo per il tempo necessario.

Sono alcuni dei progetti a cui lavora la figlia Jessica con il compagno Luca, che segue nello specifico il B2B e il servizio alle aziende della zona. Infine l’altro figlio, GianMaria, si occupa del settore stagionale cioè del Natale e dell’arredo giardino, aree fondamentali per l’azienda; inoltre si è affiancato a Giuseppe e lo supporta nella fase di acquisto e nella gestione del punto vendita soprattutto durante i picchi stagionali. La piccola di casa, Rebecca, sta ancora studiando e quest’anno inizierà l’Università, frequentando psicologia.

In parallelo continua un altro capitolo della storia della Rossetti Market, quello sportivo: «Restiamo molto attaccati allo sport locale dal Fiorenzuola calcio alla pallavolo professionistica con Gas Sales, al ciclismo. Terminata l’avventura con il Carpaneto, squadra portata dal dilettantismo al professionismo, abbiamo deciso di non essere più impegnati in prima persona ma di supportare gli altri, di dare una mano dove possiamo. È una sensibilità che non perderemo mai!».

Negli ultimi mesi Giuseppe Rossetti si è concentrato sui preparativi del quarantesimo aziendale che ha concepito come una festa “popolare”, aperta a tutti, alla clientela, ai dipendenti, alla cittadinanza e alle autorità. Un’occasione “per darsi del tu” con chi ha viaggiato a fianco del “megastore” in questi quattro decenni. A condurre la serata principale sono stati chiamati Alessandro Greco e Charlie Gnocchi, mentre sul palco si sono alternati i cabarettisti di Zelig e di Colorado. Non sono mancati neppure un live show con la musica anni ‘90 ed una lotteria che ha messo in palio una Fiat 500, uno scooter 125 ed un trattorino rasaerba per i primi tre estratti. Fra i presenti anche il ministro Tommaso Foti, la senatrice Elena Murelli, l’on. Paola De Micheli e l’on. Gaetana Russo.

Festeggiato il passato l’imprenditore getta uno sguardo al futuro, suo e della Rossetti Market: «Al momento non penso di smettere di occuparmene. Ritagliarmi qualche momento libero in più, magari sì. In generale spero che vadano avanti i figli. Le premesse ci sono».




Rissa di via IV Novembre: una vicenda ancora tutta da chiarire

Mai come nella vicenda della rissa di via IV Novembre è importante che le indagini delle forze dell’ordine restituiscano rapidamente un quadro chiaro di quanto avvenuto la notte del 25 giugno. Non tanto – e non solo – per attribuire a ciascuno le eventuali responsabilità penali ma soprattutto per delineare con precisione i contorni di quanto avvenuto. Soltanto un’attenta ricostruzione potrà dirci se le scene da Far West vissute a pochi passi dal Cheope siano effettivamente frutto di atteggiamenti xenofobi e razzisti nei confronti di due fratelli algerini aggrediti, senza altra apparente ragione.

Gli inquirenti starebbero in queste ore verificando, in collaborazione con i colleghi di Cesena, la fondatezza di alcune testimonianze, emerse nella mattinata di oggi, secondo cui un gruppo di giovani della città romagnola sarebbe stato aggredito da alcuni magrebini, nel parcheggio sotto il Facsal, subito dopo il termine della manifestazione antidegrado “La mè bela Piaseinsa” organizzata dalla Curva Nord sul Pubblico Passeggio. La violenza contro i fratelli potrebbe insomma essere nata come conseguenza a questo primo ipotetico scontro: una “giustizia fai da te” basata sulla legge del taglione, anziché sul ricorso a polizia e carabinieri.

Se anche fosse vero poco cambierebbe sul fronte della preoccupazione sociale. Una città dove i conti si regolano a suon di botte è sintomo di una grave degenerazione culturale nonché di una regressione sociale che pone sullo stesso livello tutti i protagonisti di questa brutta pagina e dove il razzismo diventa una sorta di concetto palindromo, che si legge in egual modo da una parte all’altra e viceversa. Tanto più se dovesse essere confermata un’ulteriore versione circolata nelle ultime quarantotto ore (e priva al momento di riscontri ufficiali), quella di un coinvolgimento anche di alcuni albanesi che se la sarebbero presa a loro volta con i due fratelli magrebini (non si sa per quale motivo).

Fin qui c’è una sola certezza: ad essere messa inesorabilmente al tappeto è l’idea di una Piacenza pacifica, tranquilla, integrante. Politiche dissennate hanno svenduto il territorio della nostra provincia per dare impulso ad una logistica con scarsissimo valore aggiunto, portando ad una presenza sul territorio cittadino di oltre 19.000 stranieri (pari al 18,9 % della popolazione contro una media nazionale del 9,2%), senza essere in grado di offrire a loro, e alle loro famiglie, sufficienti opportunità, alloggi, stipendi dignitosi e dunque chance di vera integrazione e senza avere una città pronta per questa accoglienza e convivenza.

La storia, purtroppo, non si può cambiare, ma forse sarebbe ora di ammettere che a Piacenza i problemi sono molto più gravi rispetto a quelli di altre città italiane e accantonando gli slogan sugli “ismi” (dal fascismo al razzismo) agire perché questa logistica inizi ad offrire alla città (e alla provincia) ritorni sociali ed economici e compensazioni che riequilibrino un po’ la situazione.




Ottica Benzi. Mezzo secolo fra foto ed occhiali: la storia di una famiglia e del suo negozio

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Erano gli anni del boom economico quando il quindicenne Pietro Benzi (detto Pierangelo) iniziò a lavorare come garzone presso lo studio fotografico di Gianni Croce in corso Vittorio Emanuele. Con il passare degli anni si impadronì dei trucchi del mestiere sia dietro l’obiettivo sia in camera oscura; allora si scattava e sviluppava rigorosamente in bianco e nero. Dopo una ventina d’anni di proficua gavetta Pietro Benzi decise di mettersi in proprio e nel 1975 aprì il suo negozio in piazzale Libertà.  Era noto a tutti come “Pierfoto” un nome che si era guadagnato sul campo, in quei primi anni di attività.  Già molto conosciuto nel settore fu subito impegnatissimo, come racconta la figlia Monica: «Faceva tanti matrimoni ed eventi. In quegli anni lavorava anche a pieno ritmo per le aziende piacentine che lo chiamavano per fotografare pezzi meccanici, prodotti oppure le stesse officine. Inoltre collaborava con la Camera di Commercio e con associazioni di categoria e seguiva per conto loro convegni, incontri. Aveva davvero parecchio lavoro. Tra l’altro fu anche fotografo ufficiale del Piacenza Calcio, squadra nei confronti della quale nutriva una grande passione».

Era un mondo diverso da quello di oggi e gli smartphone ancora non esistevano. «I viaggi ed i ricordi – racconta Monica Benzi – si fissavano con le tradizionali macchine fotografiche analogiche e poi si portavano a sviluppare. Al lunedì arrivavano anche settanta rullini per volta. Quelli in bianco e nero venivano sviluppati nella camera oscura del negozio mentre quelli a colori venivano mandati in laboratorio».

Dieci anni dopo l’apertura, nel 1985, fu proprio la figlia Monica ad affiancarsi al padre, fresca del diploma in ottica ottenuto a Milano. Così nel negozio di famiglia alle foto si aggiunse anche la vendita degli occhiali, un settore che progressivamente si andò a sostituire all’attività di fotografia.

«Una scelta obbligata innanzitutto per l’avvento delle prime macchine digitali e secondariamente legato alla salute di mio padre. Purtroppo nel 2007 è mancato ed io ho deciso di portare avanti comunque l’attività, nonostante avessi tre figli e la vita di negozio sia difficile da conciliare con la famiglia».

Inizialmente nessuno fra Riccardo (37 anni), Leonardo (32 anni) e Alessandra (24 anni) aveva mostrato interesse per il mestiere di ottico. Questo finché Leonardo, che aveva scelto di vivere in una località di mare, anche invogliato dalla sua ragazza dell’epoca, ha maturato l’idea di proseguire nell’attività di famiglia. Si è così iscritto all’Istituto Zaccagnini di Milano e dopo due anni di frequenza nel 2023 ha ottenuto il titolo di ottico. Il suo ingresso in azienda ha implicato una serie di scelte, guardando anche al futuro.

Dalla storica sede il negozio si è trasferito nel nuovo e moderno negozio di via Morigi «Abbiamo investito in nuovi macchinari e nuove tecnologie – spiega Monica Benzi – per essere al passo con i tempi ed offrire un servizio sempre più qualificato ai clienti.  Io stessa sono passata dalle schede cliente cartacee (con cui avevo lavorato per anni) all’utilizzo di un sofisticato software. Un cambiamento che ha richiesto tanto impegno ma che era necessario. Siamo entrati a far parte di Vision Group, una delle principali reti distributive di prodotti ottici in Italia. Il che ci ha permesso di ottenere lenti e prodotti di qualità elevata a prezzi concorrenziali. Del resto i clienti oggi sono molto preparati, si documentano e cercano qualità e tecnologie avanzate. Ora vediamo: mio figlio Leonardo avrebbe una mezza idea di proseguire ulteriormente negli studi, frequentando un corso di specializzazione in optometria».

E forse non c’è modo più bello che festeggiare questi primi cinquant’anni di attività famigliare guardando proprio al futuro.




Maestri salumieri da duecento anni: la storia della famiglia Salini di Groppallo

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La storia imprenditoriale della famiglia Salini affonda le sue radici in un passato così remoto che, nel raccontarla, è facile perdersi fra le generazioni e i nomi di bisnonni, madri, padri, fratelli e cugini.
Difficile invece dare una data precisa all’origine di tutto, perché se i documenti ufficiali conservati presso l’archivio di Piacenza danno conto di un’attività presente a Groppallo nel 1846, si crede che l’apertura della prima osteria, ad opera di Antonio Salini, risalga addirittura al 1820.

A quell’epoca servire da mangiare e da bere era solo una delle tante attività che si svolgevano fra quelle mura: c’era anche una merceria, c’erano i sali e i tabacchi, la ferramenta, la drogheria. Insomma un supermercato ante litteram e la famiglia, per non stare con le mani in mano, si dedicava anche alla produzione del vino, a quella dei salumi ed al commercio di carni.
In due secoli la F.lli Salini è cresciuta ed è cambiata, pur restando fedele alle origini: l’osteria è diventata un ristorante, completato da un piccolo albergo e poi si è aggiunta una vera e propria macelleria, che è, al contempo, negozio di alimentari. L’ultimo tassello è quello del salumificio che ha permesso di compiere un salto di qualità, slegandosi anche ad alcune delle problematiche che lo spopolamento dei nostri appennini porta con sé.

Perché fare impresa in montagna è dannatamente difficile, comporta spese maggiori, distanze che si fanno sentire anche nella vita famigliare. Eppure i Salini portano avanti la tradizione e lo fanno tramandandosi, lavorazioni artigianali, ricette antiche. Anche i nomi raccontano il percorso della famiglia attraverso questi due secoli.
Vittorio sr. (1875/1969), figlio del fondatore, ebbe a sua volta sei figli (Albina, Guido, Elvira, Luisa, Vittorina e Nani) ma rimase purtroppo vedovo giovanissimo e trovò un insostituibile aiuto nella cognata, la Gigena, che allevò i nipotini come fossero figli suoi.

Due di questi, Elvira (1906/1986) e Guido (1908/1972), raccolsero il testimone, e si affiancarono al padre nella gestione del ristorante. La moglie di Guido, Luisa Carisetti, insieme alla cognata Elvira, fu la colonna portante della cucina, dall’anno del suo matrimonio, nel 1945, fino alla sua scomparsa nel 1998.
La morte prematura del padre Guido nel 1972, porterà alla guida dell’azienda i fratelli Vittorio (1946), Renzo (1949) e Domenico (1950), poco più che ventenni. Una quarta generazione che nel giro di pochi anni decise di dare ulteriore impulso al salumificio, intuendo che quella potesse essere la strada principe da seguire per garantire lavoro e benessere ad una famiglia nel frattempo sempre più grande. Parallelamente Annamaria, moglie di Domenico, divenne il braccio destro della suocera in cucina, dove ancora oggi è artefice delle prelibatezze che vengono servite ai clienti.
Forse la vera forza dei Salini è che tutti sono capaci di arrangiarsi nei diversi ruoli ed incarnano la parola “gestione famigliare”.

Capita così che anche chi nel frattempo si è spostato a vivere a Piacenza, e svolge altre attività, se c’è bisogno salga in macchina, percorre 50 chilometri e si rimbocchi le maniche per dare una mano.
L’unità della famiglia è raccontata da tanti piccoli episodi come quando i cugini della quinta generazione dei Salini, durante gli studi universitari a Milano, vissero assieme, prima in collegio e poi in un appartamento, divenuto presto meta di pellegrinaggio culinario da parte di tanti compagni di studi, attirati dai salumi di famiglia, capaci di dare una svolta a qualunque nebbiosa giornata meneghina.
Arrivando ai giorni nostri la bandiera della tradizione culinaria dei Salini è portata avanti da Mauro e Guido, entrambi classe 1984 (e figli rispettivamente di Vittorio e Renzo) che si occupano principalmente del salumificio, pronti però ad entrare in negozio o nel ristorante per dar man forte al resto della truppa. Nel salumificio lavorano anche due dipendenti part-time, ed anche questa è una ricaduta non banale in un territorio montano dove le occasioni di occupazione sono purtroppo “merce rara”.
A Groppallo, per quanto impegnate in settimana in altre attività, non mancano mai (anche solo per un supporto morale) la moglie di Guido, Laetizia, la sorella Paola e le figlie di Domenico, le gemelle Elena e Silvia.

Su tutti vigilano Vittorio e Renzo (Domenico è invece scomparso nel 2018), incapaci di riconoscersi appieno nella definizione di pensionati. Perché la fiducia nei figli è massima, ma riuscire a staccarsi completamente da quella che è stata la propria attività per decenni è impresa titanica e fors’anche impossibile.
Non si può parlare della famiglia Salini senza citare i loro prodotti, che sono i tre salumi piacentini per eccellenza, la coppa, la pancetta ed il salame. C’è poi una quarta meraviglia per il palato, la mariola, che è stata una scommessa vinta, diventando anche presidio Slow Food. Una piccola produzione di nicchia che è cresciuta, diventando elemento di punta del salumificio, che vende i propri insaccati a tanti ristoranti della nostra provincia, ma anche a Parma, Genova, Torino.

Fra i clienti ci sono naturalmente alcune catene di supermercati italiani ed una svizzera. Inoltre vi sono distributori che importano i salumi Salini in altri paesi europei fra cui la Francia.

Un successo ed anche uno sforzo produttivo e burocratico notevole per una piccola azienda nata in montagna e che, nonostante le difficoltà e le complicazioni, ha deciso di rimanervi.
Non resta che completare l’apparecchiata di prodotti Salini citando quanto viene impastato e sfornato dalla cucina del ristorante. Partiamo dalle paste ripiene della tradizione come gli anolini ed i tortelli (di ricotta e spinaci ma anche di zucca e radicchio) che – sarà per la vicinanza con la provincia di Parma – non hanno la classica coda piacentina ma vengono chiusi a “cappello di Napoleone”. In casa si fanno anche i sottaceti, i dolci, le salse. Piatto forte è poi – grazie alla freschezza garantita dalla macelleria – la carne proposta sia cruda come tartare, sia alla griglia ed ancora sotto forma di arrosto e lesso.
In duecento anni Groppallo è profondamente cambiato e pochi sono rimasti a vivere fra quelle bellissime montagne della Valnure. D’inverno conta su una popolazione fissa di circa un centinaio di abitanti mentre fortunatamente d’estate si rianima ed arriva quasi a quintuplicare le sue presenze, con l’afflusso dei villeggianti. Gli stessi cugini Salini, nati a cavallo fra gli anni settanta ed ottanta, sono stati fra gli ultimi a frequentare le scuole elementari in loco, che oggi non ci sono più. Il ristorante resta dunque un simbolo di continuità e di tenacia e durante l’inverno apre (oltre che su prenotazione) dal venerdì alla domenica mentre a partire da Pasqua (fino alla fine dell’estate) è aperto tutti i giorni. Unico momento di pausa il mese di febbraio in cui la i Salini si prendono una pausa per “ricaricare le batterie” e presentarsi in piena forma per la nuova stagione.




Piazza Plebiscito: un “nonluogo” nato senza essere mai stato progettato

Nonostante i piacentini abbiano in qualche modo imparato anche a volerle bene, si potrebbe dire che piazza Plebiscito è in realtà un “nonluogo”, uno spazio mai realmente pensato e progettato per essere “centro di riunione dei cittadini” (ed oggi trasformatosi in parcheggio, nonostante i divieti – leggi qui).  E’ invece una sorta di “risulta” creatasi in seguito alla sistematica demolizione dei chiostri del convento, avvenuta a partire dall’epoca napoleonica (quando venne soppresso l’ordine religioso). Il chiostro originariamente arrivava, con il convento, su Piazza Cavalli (immagine sotto).

«Per fortuna – spiega la professoressa Valeria Polimentre le  parti cenobitiche (conventuali) sparirono, si riuscì a salvare la chiesa con l’intitolazione a San Napoleone. Ottennero il titolo parrocchiale dalle chiese di San Protaso e San Gervaso. La prima si trovava dove ora c’è il Terzo Lotto, mentre la seconda dove è stato edificato il palazzo della Borsa. La planimetria risalente alla fine del XVIII secolo documenta l’articolazione del convento intorno a tre chiostri, quasi totalmente demoliti, dei quali rimangono solo i lati che delimitano la piazzetta Plebiscito, costituiti dal lato addossato al lato sud della chiesa e dal corpo di fabbrica perpendicolare che si sviluppa fino a via Sopramuro».

Le demolizioni crearono dunque questo “spazio d’avanzo” che non ha una sua logica progettuale: una piazza che non è mai stata pensata come tale. Lo smantellamento dei pochi edifici conventuali sopravvissuti continuò nella prima metà del ‘900 quando venne realizzato il Secondo Lotto (palazzo Inps, costruito fra il 1938 ed il 1940). Alla fine della Seconda Guerra Mondiale venne abbattuta anche la cinquecentesca cappella dell’Addolorata, una sporgenza cilindrica presente sul lato della chiesa che ben si vede (sotto) in un dipinto donato alla banca di Piacenza, nel 2008, dal rag. Pierandrea Azzoni, condirettore dell’istituto di credito.

Durante l’edificazione del palazzo Inps, grossomodo dove ora c’è il gazebo del vicino ristorante, venne approntato un deposito attrezzi nel quale probabilmente veniva conservato anche il gasolio utilizzato dai mezzi di cantiere, come lascerebbe intendere la scritta Agip. Successivamente, nella stessa area, venne costruito un piccolo distributore di carburante che rimase in funzione per svariati anni.




Elezioni regionali in Emilia-Romagna. A Piacenza, alle 19, ha votato il 27,39%

Alle ore 19 l’affluenza alle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna è stata del 31,03%.

Nello specifico l’affluenza è così suddivisa per provincia: Piacenza 27,39%, Parma 27,88%, Reggio Emilia 30,66%, Modena 31,61%, Bologna 35,12%, Ferrara 28,98%, Ravenna 33,72%, Forlì-Cesena 30,20%, Rimini 25,80%.

Nella scorsa tornata elettorale le elezioni regionali si svolsero in una sola giornata e pertanto non è possibile un raffronto. Le prossime rilevazioni saranno alle ore 23 di oggi e alle ore 15 di domani alla chiusura dei seggi.

 




Sfrecciano sul Facsal in due, sul monopattino elettrico, a 65 km/h.

La Polizia di Stato ha effettuato nella giornata di giovedì 14 novembre, diversi interventi nel corso dei quali gli operatori della Squadra Volante hanno denunciato e sanzionato amministrativamente alcune persone.

Nel primo pomeriggio la Volante ha fermato e controllato sullo Stradone Farnese un monopattino elettrico con a bordo due cittadini extracomunitari di 27 e 24 anni. Dal controllo è emerso che il mezzo aveva superato la velocità prevista di 20 km/h, rilevando sul display una velocità di 63/65 km/h. Il proprietario è stato sanzionato, con il conseguente sequestro amministrativo del mezzo ai fini della confisca, inoltre è stato multato poichè viaggiavano in due su un mezzo omologato per una sola persona.

Nella tarda serata personale della Squadra Volante è intervenuto presso il pronto soccorso del locale Ospedale Civile poichè era stata segnalata la presenza di un soggetto in attesa di cure che minacciava il personale infermieristico. I poliziotti hanno identificato un cittadino italiano di 35 anni,che ha continuato a minacciare i sanitari senza un valido motivo, come già aveva fatto in precedenza. E’ stato accompagnato in questura e denunciato alla Procura della Repubblica di Piacenza per i reati di minaccia a pubblico ufficiale ed interruzione di un servizio pubblico.

Sempre nella tarda serata la Squadra Volante è intervenuta presso un ristorante in viale S. Ambrogio, dove una donna dopo aver consumato la cena, riferiva di essere impossibilitata a pagare i 70 euro del conto in quanto aveva smarrito il portafoglio. La donna, un’ italiana di  55 anni,  , residente in un’altra Regione, già nota alle forze dell’ordine non ha voluto saldare il conto ed è stata accompagnata in questura e denunciata alla Procura della Repubblica di Piacenza per il reato di insolvenza fraudolenta.

Ieri all’interno del parco Baia del Re, gli agenti della polizia hanno sottoposto a controllo un cittadino stranierodi 29 anni , in regola col permesso di soggiorno, originario del Bangladesh, che è stato trovato in possesso di un frammento di hashish. E’ stato segnalato al prefetto come consumatore.




Focacce, canestrelli e tanta tenacia. La ricetta del successo della famiglia Traverso che fa impresa ad Ottone

Nuova puntata della rubrica l’Azienda del mese nata dalla collaborazione editoriale fra QuotidianoPiacenzaOnline e Confcommercio Piacenza. Come sempre il nostro giornale cerca di farvi conoscere più da vicino realtà storiche o di particolare interesse fra quelle iscritte all’associazione di strada Bobbiese.

Le radici di Alessandro Traverso affondano in quella Genova a ridosso del centro storico, nella zona di Marassi, nota per la presenza dello stadio, e di San Fruttuoso. Fin da giovanissimo però è stato forte il legame che Traverso ha avuto con quella parte di Val Trebbia ligure, al confine con il piacentino. Nonni e genitori provenivano da Casanova di Rovegno e Torriglia, zone che l’imprenditore si trovò a frequentare da bambino. Una volta diventato adolescente, intorno ai 15 anni, d’estate saliva in montagna e si rimboccava le maniche per lavorare come garzone in una panetteria. L’arte bianca ha del resto sempre fatto parte del suo DNA, trasmessagli in buona parta dalla nonna insieme alle ricette di biscotti e frolle.

«A Torriglia si facevano i canestrelletti, le paste frolle che sono una tradizione di tutta la Liguria, mentre nel piacentino lo sono il buslan e il buslânein. Allora si cucinava con quello che c’era, che veniva autoprodotto, dal latte alle uova. Non esistevano ancora le merendine del Mulino Bianco. La nonna mi ha insegnato tanto e probabilmente mi ha “contagiato” con la passione per la Val Trebbia».

Tanto che ha deciso di trasferirsi ad Ottone giovanissimo

«Ottone mi piaceva come posto. Era un paese vivo, con tanto turismo. A 22 anni ho deciso di aprire un supermercato in quello che era stato il garage delle corriere e che era ormai dismesso. Era il 18 giungo del 1990. Ottone stava ancora vivendo un momento molto positivo. C’era turismo praticamente tutto l’anno, non solo d’estate. A parte gennaio, febbraio e marzo, che erano un po’ più tranquilli, si lavorava sempre. C’erano tante fiere che a loro volta creavano movimento e portavano persone. C’erano negozi. Pian piano ho conquistato la fiducia di abitanti e villeggianti. Allora l’insegna era quella di Bon Merck. Negli anni l’attività è cresciuta ed ho aggiunto il reparto macelleria, un laboratorio di panetteria e pasticceria, una pizzeria ed una gelateria». 

Da allora ad oggi, cosa è cambiato?

«Purtroppo il turismo nei nostri appennini è andato progressivamente calando ed ormai è concentrato solo nei mesi estivi centrali. In più tutta la montagna ha vissuto una forte spopolamento. Quindi abbiamo dovuto pensare a come reinventarci».

Su cosa avete puntato?

«Abbiamo creato una linea di prodotti da forno confezionati, legata proprio alle tradizioni del passato. Abbiamo incominciato a produrre artigianalmente biscotti e a venderli ai bar delle zone limitrofe. E’ nato il marchio Antico Mulino d’Ottone, con l’idea di valorizzare quel mulino antico, originariamente dei Doria, che aveva funzionato fino agli anni ’60 e che era uno dei simboli del paese. Aveva due ruote e quella più bassa veniva utilizzata per macinare la farina delle castagne locali. Per riassumere, ci siamo reinventati».

Una scommessa che ha funzionato?

«Un tempo l’attività trainante era il supermercato. Oggi l’attività di punta è proprio questa dei prodotti da forno; richiede tanto lavoro e tanta fatica ma ci dà anche soddisfazione. Nel complesso in azienda lavoriamo in otto. Ci sono io e c’è mia moglie Patrizia che mi affianca e mi sostiene fin dal 1990. Poi ci sono i miei figli Davide (27 anni) e Daniel (23 anni), c’è mia nuora Sara, ora in maternità, c’è un’apprendista di Ottone e le nostre collaboratrici tutte provenienti da paesi limitrofi».

Oltre ai canestrelli, di cui ci ha detto, quali sono i vostri prodotti di punta?

«Innanzitutto mi preme dire che usiamo ingredienti che selezioniamo con cura e che provengono, il più possibile, dal territorio locale. Oltre ai canestrelli abbiamo i baciotti (baci di dama), i cuoriciotti con le gocce di cioccolato, le colombe artigianali, il pandolce con pinoli, uvetta ed arancio candito, come vuole la tradizione e per Natale non possono mancare il nostro PanOttone ed il torrone che facciamo a mano con mandorle, nocciole, pistacchi che tostiamo personalmente e aggiungiamo ancora caldi all’impasto e con il miele millefiori del territorio».

Avete anche una linea di prodotti salati?

«Abbiamo inserito i rametti, che sono dei grissini realizzati principalmente con farina di Tritordeum e che sono rigorosamente tagliati a mano. Un ottimo snack per l’aperitivo magari abbinati ad un bicchiere di Ortrugo e a un tagliere di salame coppa e pancetta piacentina. Poi ci sono le nostre schiacciatine che si ispirano ad un’antica ricetta del Tigullio ligure e che noi abbiamo portato in Alta Val Trebbia. Potremmo raccontarle come una  rivisitazione della galletta, un cracker secco che sta avendo molto successo. In più produciamo pane e focaccia fresca, anche questa realizzata secondo ricette liguri».

Prodotti che vendete dove, oltre che nel vostro supermercato?

«Torniamo a quando dicevo prima.  Una volta in montagna la gente stava bene. Poi c’è stato lo spopolamento. Tutto è distante. Fare impresa qui non è facile soprattutto se uno ci tiene a lavorare nella piena legalità, con i dipendenti in regola, rispettando le norme. Quindi se la gente non viene in montagna, noi portiamo i nostri prodotti in città. Ogni giorno facciamo circa 300 chilometri partendo da Ottone per rifornire i supermercati Coop e Conad di Piacenza,  Bobbio, Podenzano, San Giorgio, Ponte dell’Olio Borgonovo, Gragnano. E’ complesso riuscirci anche per i tanti cantieri che ci sono, con relativi semafori e code. Questo implica che dobbiamo panificare molto presto per poter consegnare al mattino. Nel pomeriggio facciamo gli impasti con il lievito madre e poi la lavorazione prosegue durante la sera e a mezzanotte cuociamo. Al mattino prestissimo partiamo per le consegne».

I suoi figli di cosa si occupano?

«Tutti sappiamo fare un po’ tutto, anche perché l’azienda sta crescendo e dobbiamo supportare questa fase. Daniel è specializzato nella pasticceria mentre Davide segue la panificazione ed in estate si occupa del bar gelateria».

Quindi il bar gelateria e la pizzeria sono aperti solo nel periodo estivo?

«Si. Abbiamo anche un giardino che è davvero un ambiente ideale per un aperitivo. D’inverno il paese, almeno durante la settimana, è quasi deserto. Restiamo aperti tutto l’anno con il supermercato che oggi è affiliato CRAI. Abbiamo il reparto macelleria, ortofrutta, salumi e la cantina dei vini. Sono molto orgoglioso del lavoro fatto in questi 34 anni. Lo definirei una chicca. Ho fatto investimenti notevoli: abbiamo il gruppo elettrogeno e quello di continuità; ogni reparto ha le sue celle frigorifere dedicate per lo stoccaggio delle merci; c’è un sistema di videosorveglianza capillare. A fianco abbiamo il laboratorio e le altre attività per un totale di circa 500 metri quadri. Avrei necessità di espandermi ma non è facile riuscire a trovare ed acquistare il giusto spazio».

Come riesce a gestire i picchi di lavoro d’estate?

«E’ molto complicato. Ci rimbocchiamo le maniche anche perché non trovo tutto il personale che mi servirebbe. Sono pochi i ragazzi disposti a lavorare, soprattutto il sabato e la domenica che però, come potete immaginare, sono il momento clou. Non voglio generalizzare ma ho l’impressione che manchi quella voglia di lavorare, quel senso di sacrificio che avevamo noi quando eravamo ragazzi, quando, adolescente, salivo in queste valli da Genova per guadagnare qualche soldino. Mi sbaglierò ma imparare un po’ di sacrificio dovrebbe essere fondamentale nel percorso di crescita di un giovane adulto». 

Davanti alle tante difficoltà che ci ha raccontato non le è mai venuta voglia di mollare la montagna e di spostare la sua attività a Piacenza?

«Vivere in montagna è un privilegio. Certo, fare imprese in un appennino senza strade né servizi non è facile. Però vivere in un contesto come questo è – per me – impagabile. Me lo ripeto ogni volta che scendo in pianura per le consegne e appena passato Rivergaro incappo nella nebbia …. Il compromesso che ho trovato è stato quello di portare il frutto dalla mia impresa in città. Il riscontro è stato più che positivo perché sono tante le persone che sono alla ricerca di cibi e sapori del passato e di qualità. Forse non si può tornare indietro e ripopolare la montagna ma non si può nemmeno perdere la nostra cultura enogastronomica. In Italia ogni paese ha le sue tradizioni, i sui dialetti, le sue ricette. Io sono una piccola goccia che scende dall’Appennino e che contribuisce a mantenere proprio parte di queste tradizioni».