Vasco Elmadhi era destinato alla carriera militare ed invece è diventato il numero uno dei sarti piacentini

Nuova puntata della rubrica l’Azienda del mese nata dalla collaborazione editoriale fra QuotidianoPiacenzaOnline e Confcommercio Piacenza. Come sempre il nostro giornale cerca di farvi conoscere più da vicino realtà storiche o di particolare interesse fra quelle iscritte all’associazione di strada Bobbiese.

Il destino di Vasip Elmadhi sembrava già scritto e da giovane studente al secondo anno dell’accademia militare, aveva davanti a sé un futuro come ufficiale dell’esercito albanese. La caduta del regime di Enver Hoxha nel 1991 però cambiò totalmente le carte in tavola ed il 24enne, insieme a tanti connazionali, decise di avventurarsi verso l’ignoto, nella speranza di trovare migliori opportunità rispetto alla madrepatria. Salì su una delle tante navi di profughi, sbarcò a Brindisi e dopo tre mesi in un campo fu indirizzato verso l’Emilia-Romagna e nello specifico a Piacenza. Non parlava l’italiano, non conosceva la nostra cultura né il nostro modo di vivere. Gli inizi furono difficili ma l’accoglienza funzionò e dopo pochi mesi dalla partenza iniziò a lavorare alla Paver. Un’attività fisicamente impegnativa per Vasip che non era (e non è) un colosso. Gli servì però per ambientarsi ed avere un po’ di indipendenza economica. Intanto si guardava attorno con l’idea di mettere in gioco un’arte che aveva appreso dalla madre e che era per lui sempre stata una passione, la sartoria; da studente spesso confezionava pantaloni per gli amici.  Presentò svariate domande ed alla fine fu assunto dalla ditta Dodici di Ponte dell’Olio, specializzata nel confezionamento di abiti e con un importante portafoglio clienti.

«Rimasi con loro quattro anni. Divenni un vero e proprio jolly. Lavoravo nel reparto cucitura ma anche nel taglio dei modelli e allo stiro. Nel frattempo però maturavo l’idea di mettermi in proprio. Quando mi capitava di andare a fare shopping di abbigliamento con mia moglie mi informavo su come gestissero i negozi le modifiche, come facessero ad accorciare un pantalone, le maniche di una camicia. Capii che c’era spazio per aprire un’attività che si occupasse proprio di fare questi piccoli lavori di riparazione sartoriale. Ne parlai anche con un fornitore di macchinari dell’azienda dove lavoravo e lui mi confermò che l’idea a cui puntavo aveva un senso. Anzi mi garantì che mi avrebbe appoggiato fornendomi le prime attrezzature. Mi misi alla ricerca di un negozio. Non fu semplice anche perché quando sentivano che ero straniero molti proprietari si tiravano indietro. Per qualche piacentino diffidente ce ne sono però stati tanti altri generosi. Fra questi la mia vicina di casa che mi fece da garante. Nel 1999 iniziò l’avventura in un piccolo spazio proprio di fronte all’Albergo Roma. Altri piacentini – a cui dico davvero grazie di cuore – mi diedero fiducia e divennero miei clienti. Allora non c’erano i social ma solamente il passaparola che funzionò molto bene».

Sua moglie Rosy la affiancò subito in questa avventura?

«Assolutamente sì. Ha sempre appoggiato le mie idee, anche quando sbagliavo. Venticinque anni fa non avevo un tesoretto, soldi da parte, mi potevo solo giocare il mio TFR. Per dare alla mia famiglia qualche sicurezza in più facevo il doppio lavoro: di giorno in sartoria e alla sera cameriere in una pizzeria. Nostra figlia aveva un anno. Rosy intanto nel nuovo negozio faceva la commessa, si occupava delle consegne, mi dava una mano, mi sosteneva».

Le cose, per fortuna, sono andate bene.

«I clienti ed il lavoro sono cresciuti. Abbiamo dovuto assumere anche i primi dipendenti e abbiamo preso un locale più grande, in via Cavour,  adatto per noi che ci lavoravamo e per le attrezzature necessarie. Abbiamo incominciato ad affiancare all’attività di sartoria quella di vendita d’abbigliamento di alta qualità, sia per uomo sia per donna. Era una passione che avevamo sempre avuto e che abbiamo concretizzato.  Non è stato facile ma siamo riusciti ad avere marchi come Corneliani, Karl Lagerfeld, Max Mara che ci hanno dato fiducia. Ancora oggi proponiamo capi di uso quotidiano, da ufficio, da cerimonia ed anche per il tempo libero. Più che ai marchi in sé abbiamo guardato al livello di qualità che doveva essere in linea con lo stile ed il livello della nostra attività sartoriale. C’è una cosa di cui sono orgoglioso: un cliente entra da noi per sistemare un abito confezionato in fabbrica … e alla fine esce con un abito sartoriale, tagliato sul suo fisico».

Ormai ha cinquantasette anni e trentatré li ha vissuti all’ombra del Gotico. Tutti la chiamano Vasco ed il suo accento è più piacentino che schipetaro. La sua attività è cambiata tanto rispetto agli inizi.

«Decisamente. Siamo in cinque a lavorare: io, mia moglie più altre tre persone in sartoria.  Abbiamo questo negozio su due piani in piazza Cavalli con l’esposizione a piano terra e la sartoria al primo piano. Però non è tutto migliorato. Per certi aspetti era più facile prima, anni fa. Oggi avere un’attività commerciale è complicato. Dopo il Covid alcune spese fisse sono schizzate alle stelle. Gli affitti sono molto alti, il costo del lavoro anche, eppure gli stipendi degli italiani non sono andati di pari passo, anzi. La gente è più attenta nello spendere, cerca ancora la qualità ma vorrebbe contenere l’esborso. Da ultimo da quando hanno introdotto l’APU, la zona pedonale con le telecamere qui in piazza, abbiamo perso alcuni clienti. Erano abituati ad attendere le 19 con l’apertura della ZTL e venivano in macchina per caricare i vestiti. Adesso non sanno dove lasciare la macchina, non ci sono parcheggi vicini. Per fortuna abbiamo un giro consolidato, fatto di persone che abitano o lavorano in centro. Però con queste scelte anziché aiutarci …. Ci salva il fatto che lavoriamo come pochi sanno fare. Noi la manica di una giacca la accorciamo smontandola e sistemandola dalla spalla. Ci vogliono molto più tempo e capacità tecnica ma è l’unico modo per fare un buon lavoro e non far vedere la modifica. Inoltre siamo un punto di riferimento per gran parte dei negozi di abbigliamento della città che ci affidano le modifiche ai capi venduti. Insomma un lavoro che mi continua a dare tante soddisfazioni. I miei dipendenti sono con me da anni, siamo un bel team. Adesso sono anche docente in alcuni corsi regionali di formazione organizzati da Irecoop».

Questo il presente. Per il futuro crede che i vostri figli continueranno l’attività?

«Mai dire mai. Per ora abbiamo voluto che studiassero ed avessero una formazione universitaria. Sara, 26 anni, ha conseguito la triennale in economia e la magistrale in diritto tributario e lavora in una multinazionale di servizi alle aziende, a Milano. Matteo, 23 anni sta frequentando un corso di laurea quinquennale in diritto ed economia. Il domani … si vedrà».

 




Giorgio Armani è tornato nella sua Piacenza per ricevere la laurea honoris causa

E’ un grande, il più grande nel suo campo, è il re della moda, Giorgio Armani. Eppure è al contempo un uomo che i suoi 89 anni rendono paragonabile ad un cristallo di Baccarat: unico, prezioso, elegante ma estremamente fragile. Ad accudirlo e proteggerlo alcuni attentissimi assistenti che lo hanno seguito passo-passo in questa sua mattinata speciale, al teatro Municipale di Piacenza per ricevere la laurea honoris causa in global business management, conferitagli dalla Facoltà di economia e Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.  Una cerimonia pregna di significati (qui i discorsi ufficiali) come ha sottolineato egli stesso nel prologo del suo discorso «Sono due cose – ha detto Armani – che mi portano qua con grande emozione. La prima è ricevere quello che mi avete voluto riconoscere (la laurea h.c. in global business management ndr), e qui ringrazierò dopo tutte le istituzioni e poi rivedere Piacenza. La laurea honoris causa che oggi mi viene conferita ha un valore doppiamente speciale perché premia, al di là dell’aspetto creativo, il mio ruolo come imprenditore, l’impegno e la passione che nel corso degli anni mi hanno permesso di trasformare un sogno in un gruppo solido, simbolo del made in Italy. E’ speciale anche perché mi viene conferita nella mia città natale, un luogo magico e pieno di ricordi che tanto mi affascinava da bambino. Da Piacenza sono partito per cercare la mia strada, che ho trovato a Milano, ma le mie radici sono rimaste sempre qua. Anzi, ho visto una Piacenza splendente».

Un Giorgio Armani visibilmente felice ed emozionato, disponibile all’incontro con tutti ed in particolare con gli studenti e le studentesse che ha salutato nel retropalco, una volta terminata la cerimonia ufficiale. Nonostante non fossero programmate interviste ufficiali non si è negano neppure ai giornalisti piacentini assiepati davanti al foyer che gli hanno chiesto cosa abbia provato a vivere questo momento nella sua città natale «Emozione, emozione». E davanti alla domanda su come avesse trovato Piacenza ha risposto sicuro «Bellissima. Non me la ricordavo così bella. L’ho lasciata che ero un ragazzo e forse i ragazzi non guardano tanto queste cose. Ma oggi ho guardato».

All’interno della sala dove era stato allestito un rinfresco ennesimo “controllato” bagno di folla con il saluto da parte di tanti e di chi ha condiviso parte del suo cammino umano o professionale. Affettuoso l’abbraccio con un’altra piacentina illustre, l’attrice Isabella Ferrari.

Intanto un gruppo agguerrito di storiche giornaliste della moda al grido di “Giorgio, Giorgio” è riuscito a guadagnarsi uno scatto con lo stilista ancora, orgogliosamente avvolto nella toga e con il capo coperto dal tocco cerimoniale. Visibili solo le scarpe in lucidissima vernice ed un maestoso anello indossato all’anulare destro, al posto della fede.  Per ammirare l’elegante completo, doppio petto rigorosamente “blu armani”, si è dovuta attendere la sua uscita dal teatro, allorquando l’alfiere dell’eleganza made in Italy, si è “regalato” a chi lo aveva atteso con pazienza all’esterno. Fra di essi un fortunato ed intraprendente ragazzo che, munito di maglietta scura e pennarello tessile si è fatto firmare una maglia che, ora con il prezioso autografo Giorgio Armani diventerà oggetto da collezionismo. Un ultimo sguardo verso il balcone del teatro per raccogliere l’entusiasta applauso tributatogli dal sindaco Tarasconi e dalla sua giunta e poi via a bordo della Bentley verde scuro verso Milano, la città che ha reso possibile l’ascesa nell’olimpo della moda di questo piacentino.

Chissà che questo nuovo incontro con la terra che gli ha dato i natali non sia di buon auspicio per un progetto che suggelli per sempre il legame fra di lui e Piacenza. C’è chi oggi, chiacchierando, accarezzava l’idea che la nostra città possa ospitare in futuro un museo a lui dedicato, con i suoi disegni, i suoi abiti più belli. O che Re Giorgio possa finanziare un progetto di grande respiro, magari dando slancio alla Ricci Oddi.

Chissà che questo undici maggio non abbia riacceso in lui una fiamma di affetto creativo verso la sua “patria” e che, magari con l’aiuto della nipote Roberta (presente oggi in prima fila al Municipale) non si riesca a rendere tangibile il legame. Il suo rapporto con questa città è sempre stato molto “piacentino”, improntato alla discrezione come quando, anni fa, già famosissimo, si concedeva una passeggiata sul Corso ed una serata al cinema. Od ancora quando si reca a Rivalta a far visita alla tomba della madre, cui era profondamente legato, magari suggellando la giornata con un pranzo od una cena al Falco.

Speranze e sogni che vanno costruiti da parte degli amministratori piacentini che devono dimostrarsi capaci di riannodare saldamente questo filo diretto oggi teso con il cittadino più illustre che la nostra città possa vantare. Perché alla base di tutto, come ha ricordato lo stesso stilista, non ci sono momenti effimeri ma il duro lavoro quotidiano.

«Come sapete ho fondato la Giorgio Armani insieme a Sergio Galeotti, il primo a credere davvero nel mio talento e con lui, nei primi dieci anni di lavoro, abbiamo costruito le basi. Sergio si occupava del business, io della creatività. Il destino, però, mi ha messo a dura prova e a seguito della scomparsa del mio socio per far sì che la Giorgio Armani sopravvivesse, ho dovuto occuparmi io stesso in azienda oltre che dell’aspetto stilistico. Molti pensavano che non ce l’avrei fatta ma grazie alla mia caparbietà, ad aver vinto la sempre presente timidezza e al sostegno delle persone a me vicine, verso le quali ho un debito di riconoscenza, sono riuscito ad andare avanti. Il mio è stato un percorso lungo, a tratti complesso ma i momenti difficili sono riuscito a superarli con l’impegno, la dedizione e il rigore. Valori che ho seminato in famiglia, gli stessi che raccomando sempre di seguire, per dare forma a ciò in cui si crede, ancora di più oggi che si moltiplicano i successi effimeri. Perché quel che richiede impegno, invece, dura. Il mondo cambia, il progresso va vissuto per la sua parte più positiva. Con coraggio e fiducia ho sempre coltivato, con fierezza, difendendola, la mia indipendenza. Ascolto il parere degli altri ma sono io che prendo le decisioni. Non me ne vogliano i miei collaboratori … Ho iniziato creando vestiti e, un passo dopo l’altro, mi sono avventurato in altri ambiti sempre in concorrenza e mai con avventatezza. Sono un creativo razionale ma la spinta nasce sempre dalla passione, da un’intuizione e dal desiderio bruciante di realizzarla. Ogni idea, in fondo, è frutto di un innamoramento e questo lavoro, che per me è la vita, è un atto continuo di amore. Anche a voi raccomando di coltivare l’amore per ciò che fate, con rispetto di chi vi è vicino. Ho parlato di me in questo discorso (discorso, si fa per dire …), pensando soprattutto a voi studenti e vorrei, con la mia storia essere un esempio, uno stimolo per ricordare a tutti che il lavoro vero porta lontano».