Atlas Maior, atlante-capolavoro che nel 1662 costava 450 fiorini

“Atlas Maior: 360 anni di un capolavoro cartografico”. Questo il tema della conferenza tenuta da Luigi Rizzi, ingegnere e orientalista, come prima manifestazione collaterale alla mostra di Natale della Banca di Piacenza “Atlas Maior – Un universo senza confini”, in corso al PalabancaEventi di via Mazzini. «Un titolo – ha spiegato il relatore, introdotto dal vicepresidente della Banca Domenico Capra – scelto in onore di Corrado Sforza Fogliani che lo volle per un analogo incontro che si doveva celebrare il 12 dicembre del 2022, ma che non si tenne per l’improvvisa scomparsa dello stesso Presidente». Si voleva festeggiare l’importante anniversario della sua realizzazione per valorizzare l’eccezionale documento, operazione che trova oggi compimento con la mostra, anche immersiva, allo stesso dedicata.

Realizzato dall’olandese Johannes Blaeu e pubblicato nel 1662, l’Atlas Maior rappresenta una delle più prestigiose – e preziose – opere di cartografia prodotte nell’Europa del XVII secolo, munifico dono alla Banca, nel settembre 2010, della signora Annarosa Mars, vedova dell’ing. Bruno Torretta, uno dei più noti e stimati professionisti cittadini. Prima di entrare in argomento, l’ing. Rizzi ha accennato a qualche lineamento storico di quella che nei secoli XVI-XVII è diventata una scienza fondamentale per il progresso umano, la cartografia, che affonda le proprie radici nella notte dei tempi: le testimonianze più antiche vengono infatti dalla Mesopotamia e dall’Egitto. Dal 1630 la cartografia era appannaggio di due società: quella fondata da Jodocus Hondius e proseguita dal figlio Henricus e dal genero Johannes Janssonius e quella fondata da Willem Jansssonius che, dal 1619, per motivi commerciali, aveva assunto il cognome Blaeu. Nel 1662 uscì, nell’edizione latina, il suo definitivo capolavoro, la Geographia qae est Cosmographia Blaviana, ovvero l’Atlas Maior dei Blaeu. Si trattava di un’opera il cui prezzo superava i 450 fiorini del tempo, equivalente all’affitto per un anno di una fattoria di medie dimensioni.

Il relatore ha infine illustrato diverse immagini tratte delle pagine dell’Atlas, soffermandosi altresì su splendide raffigurazioni non strettamente cartografiche, come quelle dedicate all’Escorial e alla Certosa di Pavia. L’incontro si è concluso con le immagini del Volume VIII, dedicato all’Italia con le mappature particolareggiate del Ducato di Parma e Piacenza, con l’invito ai presenti di ammirare personalmente i volumi esposti in mostra.

Mostra che proseguirà fino al 12 gennaio con i seguenti orari: da martedì a venerdì: 16 – 19; sabato e domenica: 10 – 13 / 16 – 19; giorno di chiusura: lunedì; giorno di Natale, chiuso; aperture straordinarie giovedì 26 dicembre, 10 – 13 / 16 – 19; lunedì 30 dicembre, 16 – 19; lunedì 6 gennaio, 10 – 13 / 16 – 19. Ingresso libero.

 




Una guida preziosa e approfondita che rimette San Giorgino al centro della comunità

«Se per caso fra 100 anni qualcuno di voi si trovasse in Purgatorio state sereni, perché la Confraternita della Beata Vergine del Suffragio continuerà le proprie orazioni affinché le vostre anime possano accedere al Paradiso». La rassicurazione arriva dal priore della Confraternita stessa Stefano Antonio Marchesi, che ha voluto concludere con un sorriso la presentazione del volume “L’Oratorio di San Giorgio in Sopramuro a Piacenza” (Edizioni Tip.Le.Co.) di Anna Cocciòli Mastroviti e Susanna Pighi, che si è tenuta per iniziativa della Banca di Piacenza al PalabancaEventi (Sala Panini) davanti a un pubblico numeroso.

I saluti introduttivi sono stati portati dal presidente dell’Istituto di credito Giuseppe Nenna («Abbiamo volentieri sostenuto questa pregevole iniziativa che mette in luce uno dei tesori artistici della nostra città, non solo per l’attenzione che da sempre la Banca ha per tutto quello che valorizza il territorio, ma anche per una ragione che tocca i nostri sentimenti: questa chiesa era molto cara al presidente Sforza Fogliani») e dal sindaco di Piacenza Katia Tarasconi («Grazie alla Banca di Piacenza per la costante azione in campo culturale; è un piacere vedere una sala così gremita per la presentazione dell’opera dedicata a un edificio religioso così bello: la nostra città è ricca di luoghi che all’esterno sembrano discreti, poi dentro si rivelano dei gioielli»). A seguire è intervenuto l’avv. Marchesi per ricordare come l’idea del libro fosse partita dal compianto Carlo Emanuele Manfredi, priore per 60 anni e poi priore emerito, titolo con il quale ha firmato l’introduzione al volume e per sottolineare «l’unicità dell’Oratorio, dove si celebra la messa tridentina e dove si canta in gregoriano; un luogo nel quale arte e fede si compenetrano nello scorrere del tempo». Il priore ha definito la pubblicazione «una guida preziosa e approfondita grazie al grande impegno delle autrici».

Il libro è stato illustrato da Antonio Iommelli. «Un lavoro – ha esordito il direttore dei Musei Civici di Palazzo Farnese – che aggiunge tanto alla storia dell’arte e a Piacenza, bellissima città che merita di essere riscoperta attraverso la ricerca». Il relatore ha ringraziato la Banca e lodato Anna Còccioli Mastroviti e Susanna Pighi «per aver ricollocato San Giorgio in Sopramuro nel giusto contesto come parte integrante della comunità». Unica chiesa piacentina che non ha subìto modifiche strutturali a seguito dell’ultimo Concilio e che dunque è conservata integra, sorge dove nel V secolo già esisteva un tempio dedicato ai santi Nazario e Celso e fu ceduta nel 1576 all’Arciconfraternita dei Disciplinati di San Giorgio (santo al quale venne dedicata), che nel 1624 si unì a quella della Beata Vergine del Suffragio, la quale nel 1645 decise di riedificare la chiesa tenendo conto di tutti quegli aspetti legati alla Controriforma. «In quegli anni – ha spiegato il dott. Iommelli – la Chiesa doveva mettersi al riparo dalle accuse del mondo protestante. Nacque perciò una vasta letteratura per dettare regole comportamentali a tecnici e artisti che si occupavano di costruire e arredare gli edifici religiosi. Due i testi fondamentali, oltre al testo sacro, che gli stessi artisti consultavano prima di mettersi all’opera: le Instructiones di Carlo Borromeo e il Discorso intorno alle immagini sacre e profane di G. Paleotti». Con il rifacimento l’Oratorio venne redistribuito secondo il principio che «la fede è al servizio dell’arte e viceversa», con il Sacramento che deve collocarsi frontalmente e quindi con l’altare al centro. Il direttore dei Musei Civici ha quindi preso in esame le opere e gli artisti che impreziosiscono San Giorgino, a cominciare da Roberto De Longe («un pittore da riscoprire che ha lasciato a Piacenza capolavori incredibili») con la Madonna del Suffragio (1686) che domina la copertina del volume. «Anche De Longe – ha osservato il dott. Iommelli – era attento alle Instructiones di un secolo prima. Il dipinto raffigura l’intercessione presso Dio per la salvezza delle anime del Purgatorio, uno dei casus belli della Riforma protestate. L’artista fiammingo, infatti, dipinge la Vergine in posizione superiore rispetto alle anime del Purgatorio».

CONTRIBUTI. Nella preziosa opera letteraria troviamo contributi di: Stefano Antonio Marchesi, Maria Luisa Laddago, Anna Còccioli Mastroviti, Susanna Pighi, don Grégoire de Guillebon (cappellano della Confraternita), Stefano Quagliaroli, Cristian Prati, Luca Panciera, Enrico Viccardi, Valentina Inzani.




“Storia dell’arte a Piacenza” dal Seicento all’Ottocento”. Presentato il libro strenna della Banca di Piacenza

Comprendere appieno la valenza culturale della nostra città. Un ambizioso obiettivo raggiunto in due step: il primo lo scorso anno – con il Volume I della “Storia dell’arte a Piacenza” (libro strenna 2023 della Banca di Piacenza), che aveva trattato l’arco temporale che andava dal Medioevo al Rinascimento; il secondo con il Volume II della “Storia dell’arte a Piacenza” dal Seicento all’Ottocento, strenna 2024 dell’Istituto di credito di via Mazzini, illustrata alle Autorità, oltre a numerosi ospiti e alle prime file della Banca, come tradizione dei primi di dicembre, nella Sala convegni della Veggioletta.

Il curatore Stefano Pronti (che ha ringraziato la Edizioni Tip.Le.Co per il sapiente lavoro di impaginazione e stampa della pubblicazione) ha ricordato come il progetto sia nato quattro anni fa con l’intento «di creare uno strumento utile al fine di rendere più percepibile il nostro patrimonio storico e artistico, rivolgendosi anche ai giovani». Il testo è organizzato in generi (architettura, pittura e scultura) e contiene un’ampia bibliografia, oltre all’indice dei nomi e dei luoghi. Il dott. Pronti ha dato merito alla Banca per il suo «mecenatismo sublime» che prosegue «l’azione portata avanti da Corrado Sforza Fogliani», che ha prodotto in trent’anni il finanziamento di oltre 300 interventi di restauri, 250 dei quali in edifici religiosi. E tornando al contenuto del libro, il curatore ha dato un po’ di numeri. Nella sezione architettura, sono stati presi in esame 14 chiese e 20 palazzi – per il periodo del ‘600 -; solo 2 (San Raimondo e San Bartolomeo) quelle del ‘700 (del periodo anche il Collegio Alberoni con la chiesa di San Lazzaro); 17 i palazzi (tra i quali Palazzo Galli della Banca di Piacenza) e 9 le ville. Tra i pittori, sotto la lente della strenna Malosso, Procaccini, Carracci, Guercino, G.E. Draghi, De Longe (‘600), lo Spolverini con i fasti farnesiani (nel ‘700). Per la scultura citati i Cavalli del Mochi e una serie di cantorie, cornici, consolle; e poi le decorazioni in stucco («c’erano le botteghe di stuccatori ticinesi»). L’Ottocento è stato trattato a grandi linee, ha precisato il dott. Pronti, soprattutto per ragioni di spazio. Attenzione quindi alle grandi opere pubbliche con le realizzazioni dell’architetto di Lotario Tomba (ad esempio il Teatro Municipale) e all’edilizia urbana dopo il Regno d’Italia. In quell’epoca, per la pittura e la scultura, il punto di riferimento era l’Istituto d’arte Gazzola.

Il direttore dei Musei Civici di Palazzo Farnese Antonio Iommelli (sua la Prefazione) ha ringraziato gli autori e la Banca per «il regalo che hanno fatto ai piacentini e agli storici dell’arte: quello di realizzare un’opera che colma una lacuna. Piacenza, infatti, non aveva un “atlante” che documentasse quello che Piacenza è stata nella storia dell’arte». E per dimostrare l’importanza della nostra città, il dott. Iommelli ha citato Luigi Scaramuccia (artista da lui studiato durante il dottorato), allievo di bottega di Guercino, Guido Reni e Lanfranco che nel 1672 venne a Piacenza lasciando ai posteri una bella descrizione della città. «Nel ‘600 Piacenza era una città ricca di tesori che vanno scoperti, anche oggi», ha concluso il direttore dei Musei Civici.

Anna Còccioli Mastroviti (co-autrice dei testi della strenna 2024) ha dal canto suo illustrato la parte dell’architettura, che ha definito «straordinaria in questa città, non a caso il volume si apre con la chiesa dei Teatini di San Vincenzo, che dà avvio al grande capitolo dell’architettura religiosa, che ha modificato la forma urbis di Piacenza, città anche di palazzi, con 120 e oltre residenze nobiliari; per l’architettura patrizia possiamo paragonarci a Bologna».

Susanna Pighi (autrice di una parte dei testi sia dell’edizione 2023, sia di quella di quest’anno) si è invece occupata dei pittori e scultori che hanno lavorato a Piacenza dal ‘600 al ‘700 ed ha in particolare riferito dell’attenzione dedicata agli stucchi («tanti gli esempi di altari decorati a stucco»), citando ad esempio l’oratorio di San Giuseppe a Cortemaggiore («un gioiello che vi invito a visitare»), restaurato dalla Banca di Piacenza. Ultima citazione per la scultura lignea, di cui Piacenza è ricca e di cui la studiosa è particolarmente appassionata.

Portando i saluti iniziali agli intervenuti, il presidente della Banca Giuseppe Nenna ha assicurato «il massimo impegno» nel promuovere e sostenere iniziative culturali «perché quando serve, la Banca c’è», e fatto una riflessone: «Il presidente Sforza Fogliani avrebbe gradito questi due volumi».

Al termine, a tutti i presenti è stata consegnata copia della strenna 2024 della Banca di Piacenza.




La storia di Piacenza raccontata attraverso le targhe pubbliche del centro storico

Pubblico delle grandi occasioni al PalabancaEventi (Sala Corrado Sforza Fogliani), per la presentazione del libro “SCRIPTA MANENT. La storia di Piacenza raccontata dalle targhe pubbliche della città”. Il testo, curato dall’arch. Manrico Bissi e pubblicato dalla Banca di Piacenza, offre una puntuale rassegna di tutte le iscrizioni affisse dall’età romana fino ad oggi sui muri e sui monumenti onorari della nostra città. La descrizione delle targhe, fotografate da Maria Paola Sforza Fogliani, non è soltanto tecnico-materica, ma soprattutto storica: il libro, ampiamente documentato, restituisce infatti l’inquadramento delle epoche e delle soglie culturali nelle quali fiorirono i personaggi celebrati nelle diverse iscrizioni. Di fatto, il libro di Bissi si configura come una vera e propria “Storia di Piacenza”, raccontata tuttavia in modo originale e inedito: quasi una sorta di “Spoon River”, nella quale la narrazione della comunità è affidata alla voce di lapidi, targhe e iscrizioni ancora oggi visibili nelle vie della città.

Testimonianze concrete, che tuttavia – ha sottolineato l’autore – subiscono ogni giorno silenziose minacce alla loro integrità. Tra queste si deve considerare in primis l’esposizione secolare alle intemperie, che lentamente corrodono le pietre rendendone illeggibili le iscrizioni: è questo il caso, ad esempio, di una data medievale originariamente incisa sulle pietre cantonali di Palazzo Landi (Tribunale), ormai illeggibile ma di cui Bissi ha recuperato e pubblicato una fotografia risalente agli anni Sessanta, nella quale il testo era ancora distinguibile.

Altro nemico delle memorie epigrafiche – ha osservato il relatore, presentato da Emanuele Galba dell’Ufficio Relazioni esterne della Banca – è il deficit di conoscenza della lingua latina (ormai dilagante anche nelle scuole liceali), dal quale dipende l’incapacità di leggere anche solo sommariamente la quasi totalità delle epigrafi onorarie realizzate dall’età romana fino al pieno Settecento: si pensi, nel merito, alla grande lapide napoleonica sotto al Palazzo del Governatore, oppure alle iscrizioni poste alla base delle statue equestri farnesiane di piazza Cavalli.

Il libro di Manrico Bissi costituisce una sorta di antidoto culturale alle minacce di oblio: grazie alla sua pubblicazione, le future generazioni potranno infatti leggere i testi delle oltre cento iscrizioni che vi sono catalogate, anche se queste fossero state nel frattempo aggredite dal passare del tempo. L’obbiettivo di fondo di questo libro è quindi la costruzione di una memoria civica condivisa, che sappia indicare alla comunità del presente gli esempi positivi dei predecessori divenuti celebri per i loro meriti culturali, sociali e patriottici. Il tutto in piena coerenza con la famosa lezione ciceroniana, secondo la quale la “Storia è maestra di vita”.

«Non è quindi un caso – ha concluso l’arch. Bissi – che il promotore e ispiratore di questo libro sia stato proprio l’indimenticato presidente Corrado Sforza Fogliani, che per primo ebbe l’idea di una rassegna storica di tutte le targhe onorarie di Piacenza: città che egli amava dal profondo del cuore, e verso la quale sentiva un fortissimo impegno e senso di responsabilità culturale. Salvaguardare la memoria storica di Piacenza era, per il Presidente, un dovere irrinunciabile al quale non si è mai sottratto, e questo libro è stato il suo ennesimo contributo al patrimonio della nostra città».

In apertura di serata il giornalista Emanuele Galba ha ricostruito la genesi del volume. «Un giorno – ha raccontato – il presidente Sforza mi chiamò nel suo ufficio e mi mostrò la stampa di una serie di fotografie delle iscrizioni che ancora oggi possiamo leggere sui muri del nostro centro storico scattate dalla figlia Maria Paola. “Si potrebbe fare un libro”, mi disse. Chi ha collaborato con lui sapeva che il ‘potrebbe’ corrispondeva a ‘dobbiamo’. Convenimmo che la persone più indicata per realizzare un volume di quel genere fosse appunto l’arch. Bissi, a cui affidammo il compito. Il presidente di Archistorica accettò con entusiasmo che si è tradotto in questo che è un vero e proprio libro di storia di Piacenza raccontata in modo inedito, con l’ambizioso obiettivo – raggiunto – di scongiurare il rischio della perdita della memoria storica collettiva rendendo molto più agevoli e immediate la conoscenza e la trasmissione di quei ricordi che sono patrimonio dell’intera comunità».

A tutti gli intervenuti è stata riservata copia del volume.

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