Fernando Manzotti e il vescovo Scalabrini: due modi originali di studiare l’emigrazione

«L’emigrazione non è guerra tra popoli, è unità del genere umano». Con questa frase – che ben riassume il pensiero del vescovo Scalabrini – padre Mario Toffari ha concluso il convegno “L’emigrazione nell’Italia unita” che si è tenuto al PalabancaEventi (Sala Panini), promosso dall’Associazione Piacenza Città Primogenita d’Italia in collaborazione con la Banca Piacenza (rappresentata dal presidente Giuseppe Nenna, dal vicepresidente Domenico Capra, dal direttore generale e a.d. Angelo Antoniazzi, dal vicedirettore generale Pietro Boselli) e con il patrocinio della Fondazione Spadolini Nuova Antologia.
Andrea Manzotti, presidente del Patronato pei Figli del Popolo e Fondazione San Paolo e San Geminiano di Modena, che ha moderato l’incontro, ha in primo luogo ringraziato l’Istituto di credito di via Mazzini («squisita la sua vocazione di banca del territorio molto attenta alla cultura») per l’accoglienza e il supporto, l’Associazione Piacenza Primogenita, rappresentata dal presidente Danilo Anelli (che ha portato un saluto) e da Maria Antonietta De Micheli e la Fondazione Spadolini (in collegamento è intervenuto per un saluto il suo presidente Cosimo Ceccuti). Il moderatore ha quindi ricordato la figura del padre Fernando Manzotti (Correggio, 1923 – Reggio Emilia, 1970), argomento della prima relazione, insegnante di Storia e filosofia nella scuole superiori e poi docente universitario di Storia del Risorgimento, Storia moderna e Storia dei partiti e dei movimenti politici. I suoi lavori maggiori riguardano La polemica sull’emigrazione nell’Italia unita (1962 e 1969) e Il socialismo riformista in Italia (1965). Collaborò con saggi e recensioni a varie riviste (“Nuova rivista storica”, “Il Mulino”, “Il Ponte”, “Nuova Antologia”) e alla stampa quotidiana (Il Resto del Carlino e, dal 1968, il Corriere della sera) e strinse un sodalizio culturale con Giovanni Spadolini. Il figlio Andrea ha anche raccontato la genesi di questo appuntamento «nato da un’idea di Corrado Sforza Fogliani, a cui mandai gli atti di un convegno dedicato a mio padre a 40 anni dalla morte. Lui questo volume lo recensì su Bancaflash e mi colpì la sua abilità nel trovare agganci piacentini: il primo, il legame di parentela con i Manzotti fotografi storici a Piacenza (Gino, Eugenio ed Erminio) e il secondo il vescovo Scalabrini per il tema delle migrazioni, religioso che non a caso è il protagonista della seconda relazione di questo convegno».
Sandro Rogari, docente di Storia contemporanea all’Università di Firenze, ha fatto cenno all’incontro con Fernando Manzotti nel 1969, «tanto breve quanto intenso, io studente e lui giovane professore chiamato a Firenze da Spadolini; purtroppo morì l’anno successivo». Il prof. Rogari ha quindi distinto il contesto nel quale il prof. Manzotti scrisse il libro sull’emigrazione («fine anni ’50, quando era in atto la grande migrazione interna dal Sud alle industrie del Nord in pieno boom economico») e i movimenti migratori di fine ‘800 («rivolti verso le Americhe e l’Europa, Manzotti studiò il fenomeno del ritorno in patria che spesso si rivelava un fallimento»). Il docente ha sottolineato l’impostazione «originale» degli studi di Manzotti sull’emigrazione derivante dal fatto che era uno storico-politico «che affrontò due discorsi paralleli: le politiche pubbliche da un lato e il dibattito fuori dalle istituzioni dall’altro». Studi che nel libro si concentrano soprattutto sul primo decennio unitario, caratterizzato dalla trascuratezza dei governanti di allora verso il fenomeno. «Il primo provvedimento a tutela degli emigranti – ha spiegato il prof. Rogari – lo si deve a Crispi nel 1889; due anni prima mons. Scalabrini fondò la Congregazione per l’assistenza degli emigrati italiani in America, collaborando in seguito al miglioramento di quella prima legge e delle successive».
Del vescovo di Piacenza esperto di migranti si è occupato padre Mario Toffari, missionario scalabriniano, direttore dell’Ufficio pastorale per i migranti della Diocesi di Piacenza. Dopo aver rilevato che dal 1875 al 1913 gli emigrati italiani furono 9 milioni, il relatore ha definito la conoscenza del fenomeno migratorio da parte di Giovanni Battista Scalabrini «molto pratica e frutto di esperienza personale» derivante dalle visite pastorali (dove constatava il vuoto delle vallate piacentine), dai viaggi in America e in Brasile, da quello che vedeva nelle stazioni di Milano e Piacenza da dove i migranti partivano. «Scalabrini pose domande di fondo – ha sottolineato padre Mario – come perché esiste l’emigrazione (o emigrare o rubare) proponendo ricerca scientifica, lavoro politico, culturale e sociale, interventi del governo, sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Poi passò all’azione: con congregazioni religiose, contro quelli che definì “sensali di carne umana” riferendosi ai mediatori che sfruttavano la disperazione di chi voleva emigrare. Scalabrini sosteneva il diritto ad emigrare ma anche a “non” emigrare, migliorando le condizioni di vita in patria». Il missionario ha quindi citato alcuni capisaldi del pensiero del vescovo piacentino: è sbagliato ostacolare l’emigrazione e lasciarla a se stessa; è necessario l’intervento legislativo; l’emigrazione è strutturale e non è un fatto passeggero; no all’assimilazione, sì all’integrazione nel rispetto delle identità. «Più che di integrazione – ha concluso padre Mario – io preferisco parlare di comunione tra i popoli».
Agli intervenuti la Banca di Piacenza ha distribuito il volume “Via Francigena Italia e Vie Romee nella tratta Piacenza”.




L’Angil d’Or della Famiglia Piasinteina a Fausto Frontini

Martedì 6 maggio 2025 alle ore 17 si terrà la Cerimonia di consegna dell’Angil d’Or della Famiglia Piasinteina che il Consiglio direttivo del sodalizio ha conferito a Fausto Frontini.
Nel corso della manifestazione verrà consegnato a Fausto Frontini l’Angil d’Or della Famiglia Piasinteina, che il Consiglio direttivo ha pensato di conferire, con la lettura della pergamena recante la motivazione dell’importante riconoscimento attribuito, per l’impegno nel sostenere le attività dell’associazione e per la nostra città.
Attività che Fausto Frontini si è impegnato in ambito culturale, musicale, artistico e letterario. Ideatore e regista di innumerevoli eventi che rimarranno in modo indelebile nel ricordo delle persone che hanno vissuto quei eccezionali momenti.
“Un impegno costante svolto con straordinaria passione e di estrema qualità, con il quale Fausto Frontini ha saputo costruire relazioni e legami nello “spirito” di famiglia, – ha commentato il razdur Danilo Anelli – con le tante persone che si sono entusiasmate assistendo a tutte le sue iniziative. Un ruolo che ha richiesto a Fausto anche spirito di servizio, sacrificio e dono di sé per gli altri. Del resto Fausto è figlio di Virgilio Frontini, socio fondatore della Famiglia Piasinteina”.
Interverranno alla cerimonia Milly Morsia, Mario Schiavi e Fabrizio Solenghi.
Al termine aperitivo in onore del premiato a cura dei Rüscadür.
La partecipazione è libera




Euroflora 2025: Genova fiorisce tra innovazione, bellezza e sostenibilità

Genova rifiorisce. Dal 24 aprile al 4 maggio, Euroflora torna a incantare il pubblico trasformando il nuovo Waterfront di Levante in un’esplosione di colori e profumi. Con oltre 154 giardini allestiti da più di 400 espositori provenienti da tutto il mondo, la rassegna florovivaistica internazionale si conferma un appuntamento imperdibile, tra arte, scienza, paesaggio e cultura del verde.

Per la prima volta fuori dai Parchi di Nervi, l’evento si appropria di un’area portuale completamente riqualificata, simbolo di rinascita e visione urbana, con una superficie espositiva triplicata e suddivisa in cinque macro-aree tematiche. Dalle installazioni artistiche ai giardini galleggianti, dalle arene fiorite ai percorsi sensoriali, passando per origami vegetali, serre spaziali e biosfere sottomarine, Euroflora si presenta come un’esperienza immersiva e spettacolare.

“Un ritorno al futuro”, ha detto il presidente di Porto Antico Mauro Ferrando, “per una manifestazione che guarda lontano, tra sostenibilità, turismo e innovazione”.

Al centro dell’evento anche la riflessione sulla funzione del verde urbano. La ricerca “Dal bosco alla città: il verde che cura”, promossa da Coldiretti in collaborazione con il CNR e presentata nel corso dell’inaugurazione, evidenzia come gli spazi verdi non siano solo belli, ma anche fondamentali per il benessere fisico e mentale delle persone. Più natura nei contesti urbani significa meno stress, meno inquinamento, più salute e maggiore qualità della vita. Un’opportunità concreta anche per l’occupazione giovanile, la ricerca scientifica e la valorizzazione del paesaggio italiano.

In parallelo, il nuovo Rapporto ANVE-ICE snocciola numeri importanti: il florovivaismo italiano è un comparto in crescita, con 17.490 imprese attive e un export da 1,2 miliardi di euro (+5,4% rispetto al 2022). Tuttavia, resta ancora indietro sulla digitalizzazione e sull’accesso ai fondi per la transizione green, anche se il 70% delle imprese ha già investito in tecnologie per l’efficienza idrica ed energetica.

Ampio spazio anche al business: sono in programma incontri B2B con oltre 60 buyer internazionali grazie alla collaborazione con ICE e Camera di Commercio di Genova, mentre il 28 aprile sarà una giornata interamente dedicata agli operatori professionali, con focus anche sull’agroalimentare ligure e una missione commerciale di buyer francesi.

Ma Euroflora è anche cultura e spettacolo. Il tema “La natura si fa spazio” si declina in mostre, concerti e incontri con nomi come Stefano Mancuso, Mario Tozzi, Peppe Vessicchio e Federico Quaranta. Il coinvolgimento della città è totale, con sinergie d’eccellenza: dal Museo Egizio di Torino al Parco delle Cinque Terre, dall’Istituto Italiano di Tecnologia alla biosfera subacquea Nemo’s Garden, fino alla serra orbitale di Space V.

Non mancano le iniziative per i bambini, i laboratori per le scuole e la collaborazione con i Rolli Days, che in contemporanea aprono al pubblico i palazzi storici patrimonio UNESCO.

Euroflora 2025: Info pratiche

Date: 24 aprile – 4 maggio 2025
Luogo: Waterfront di Levante, Genova (accesso da Piazzale Kennedy)
Orari: tutti i giorni dalle 9:00 alle 19:00
Biglietti: Intero: €23
Ridotto (under 26, over 65, disabili): €19
Gratuito: bambini sotto i 6 anni
Disponibili online su euroflora.genova.it e nei punti autorizzati

Come arrivare:

Navette gratuite da stazioni ferroviarie e parcheggi
Fermata Metro Brignole a 10 minuti a piedi
Parcheggi convenzionati nella zona fieristica
Consigliato prenotare in anticipo, vista la grande affluenza attesa

Con Euroflora 2025, Genova si propone come laboratorio vivente di bellezza, sostenibilità e futuro, tra fiori, idee e paesaggi che raccontano un’Italia che sa innovare partendo dalla natura.




Daniele Benedetti con Ravioli di cotechino e Re Storione è il vincitore della 31° edizione della Süppéra d’Argint

Daniele Benedetti è il vincitore della 31° edizione della Süppéra d’Argint 2024/’25, concorso indetto dall’Accademia della cucina piacentina. E’ stato premiato dal presidente della Banca di Piacenza Giuseppe Nenna nel corso della serata che si è svolta nella Sala Corrado Sforza-Fogliani del PalabancaEventi di via Mazzini. Bendetti si è aggiudicato il prestigioso riconoscimento grazie alle due ricette presentate, ovvero Ravioli di cotechino piacentino su fonduta di padano, lenticchie e zafferano e Re Storione.
Seconda classificata – premiata con il Miscül d’argint – è stata Martina Fantini con i suoi due piatti, ovvero La zucca attacca bottone e Merluzzo in giardino, mentre terzi classificati a pari merito, che si sono aggiudicati il Piatt d’argint, sono stati Massimo Biagioni con Tagliolino della Marchesa Viola e Coniglio lardellato “martundirodirundello” e Gianmarco Lupi con il Risotto verza e porcini e Costine di maiale in bassa temperatura su riduzione al gutturnio.
Inoltre, la giuria del concorso ha deliberato di assegnare un riconoscimento a Giovanna Vegezzi per la realizzazione del miglior piatto della tradizione antica piacentina e ad Augusto Ridella per la valorizzazione dei prodotti e delle tradizioni del territorio di alta collina.
Dopo il saluto del presidente Nenna («La Banca di Piacenza, che quando serve c’è, è lieta – e lo sarà anche in futuro – di sostenere questa bella manifestazione che valorizza il territorio e ci fa scoprire chef molto validi») e del consigliere della Fondazione di Piacenza e Vigevano Robert Gionelli («Un piacere anche per noi contribuire alla realizzazione di questo concorso che cementa tra l’altro la collaborazione con Banca di Piacenza e Camera di Commercio dell’Emilia»), il presidente dell’Accademia Alberto Paganuzzi ha rivolto anzitutto un sentito ringraziamento a tutti gli sponsor, «senza i quali non avremmo potuto affrontare un percorso così suggestivo ma molto impegnativo, ovvero la Banca di Piacenza, Camera di Commercio, Fondazione di Piacenza e Vigevano, con il supporto di Padana Impianti, RG Commerciale e la Cantina di Vicobarone che ha fornito lo spumante Iridium per l’aperitivo prima di ogni gara e che ha concorso a rendere sempre ogni serata serena, in un clima amichevole, con concorrenti che sovente si aiutavano tra loro. Un altro dato che vorrei sottolineare – ha aggiunto – è il buon livello qualitativo mostrato da tutti i concorrenti, la ricerca delle materie prime così come le accattivanti preparazioni da un punto di vista estetico. Grazie anche a tutti gli chef che di volta in volta hanno fatto parte della giuria, ai sommelier di Ais e Fisar, a Filippo Lindi per l’impeccabile e puntale servizio, al segretario Matteo Balderacchi per la perfetta organizzazione e a tutti coloro che si sono adoperati per diffondere al meglio il concorso. Non è stato semplice selezionare i quattro finalisti; i punteggi erano differenziati
solo di poco, quindi onore a tutti coloro che si sono cimentati nella gara. Vorremmo che ora facessero parte della nostra associazione e partecipassero alle tante iniziative che portiamo avanti per valorizzare le tradizioni enogastronomiche. Per il prossimo anno, con l’auspicio che gli sponsor possano ancora supportarci, oltre alla Süppéra d’Argint 2025-’26, vorremmo ripristinare il concorso “Padellino d’oro”, riservato agli studenti degli Istituti Alberghieri, perché è giusto valorizzare i giovani che rappresentano il nostro futuro. Inoltre, all’interno della Süppéra 2025/’26 contiamo di riservare una menzione speciale per i concorrenti che avranno presentato una ricetta che meglio risponda alla tradizione piacentina. Lo abbiamo già previsto per quest’anno».
Infine, il vicepresidente Mauro Sangermani ha consegnato gli attestati di partecipazione ai concorrenti Monica Trioli, Corrado Piazzi, Gianluca Dallospedale, Annamaria Losi, Augusto Ridella, Alessandro Zanella, Giuliana Biagiotti, Alessia Juszczysky, Federico Link, Alberta Calissardi e Giovanna Vegezzi.
Un riconoscimento “per la sensibilità dimostrata nei confronti dell’Accademia della cucina piacentina” è andato a Banca di Piacenza, Fondazione di Piacenza e Vigevano e Camera di Commercio dell’Emilia (Filippo Cella, assente per un piccolo problema di salute, ha inviato i suoi saluti complimentandosi con tutti i partecipanti).




Valeria Poli ricostruisce la mappa del potere nella Piacenza del medioevo

Sala Panini del PalabancaEventi esaurita in ogni ordine di posti per la storica dell’arte Valeria Poli, che ha presentato il suo ultimo studio dedicato ai castelli del Piacentino (Il sistema castellano nel Piacentino. Criteri insediativi e tipologie architettoniche), pubblicato dalla casa editrice Lir.
«Questo incontro è un’ulteriore testimonianza dell’attenzione della Banca di Piacenza per la conoscenza del patrimonio storico del territorio», ha sottolineato l’autrice aprendo la conferenza con i ringraziamenti all’Istituto di credito di via Mazzini, rappresentato nell’occasione dal presidente Giuseppe Nenna, dal direttore generale Angelo Antoniazzi e dal vicedirettore generale Pietro Boselli. «Il primo libro pubblicato con la Banca – ha ricordato la studiosa – risale ormai al 1995 e in generale la mia produzione editoriale ha raggiunto la trentina di opere».
Il volume arricchisce gli studi dedicati dalla prof. Poli alla ricostruzione della storia dell’architettura piacentina dal punto di vista tipologico, alla luce dell’approccio metodologico e disciplinare della storia della città e del territorio.
«L’indagine, condotta dal punto di vista politico e amministrativo, permette – ha spiegato l’autrice – di identificare la motivazione della ricchezza nell’ambito dell’architettura castellana, che non ha eguali nei territori limitrofi, nelle dinamiche sociali che permettono di identificare il patrimonio architettonico come la testimonianza della promozione sociale che vedrà la trasformazione del ceto mercantile in ceto aristocratico passando dal feudalesimo al neofeudalesimo, testimoniato dalla trasformazione della torre in castello e quindi in villa».
La ricostruzione del processo di nobilitazione, alle differenti soglie storiche, permette poi l’identificazione nel territorio di veri e propri scacchieri, che confermano le dinamiche di controllo, già verificate in sede urbana, da parte delle consorterie gentilizie.
La prof. Poli ha quindi illustrato il funzionamento della società piacentina nel medioevo, con la presenza di quattro “squadre”: due guelfe (gli Scotti e i Fontana) e due ghibelline (i Landi e gli Anguissola), famiglie che ebbero il controllo della città per molti secoli.
Le schede monografiche del libro, 35, sono state selezionate in virtù dell’identificazione della rilevanza ai fini della ricostruzione della storia e della trasformazione del sistema castellano nel territorio storico piacentino. Sono corredate, quando possibile, dalla planimetria e da alcune fotografie storiche dell’inizio del XX secolo.




Sabato 5 aprile la maxi esercitazione di ANPAS Piacenza all’ex Manifattura Tabacchi

Si terrà sabato 5 aprile la maxi esercitazione organizzata da ANPAS Piacenza presso il cantiere all’ex Manifattura Tabacchi.
Nell’area è in corso un importante progetto di rigenerazione urbana e welfare cittadino, con l’obiettivo di
rispondere al fabbisogno abitativo esistente, grazie alla costruzione di circa 260 residenze (che saranno sia
in locazione che in vendita), oltre ad un parco urbano ed una scuola. L’intervento immobiliare si sta realizzando attraverso il Fondo Estia Social Housing, gestito da Prelios SGR, che ha concesso l’autorizzazione
allo svolgimento della simulazione “SISMANPAS25”.
L’attività formativa e di esercitazione, che si svolgerà principalmente tra le Vie Montebello e Strada Raffalda,
avrà luogo a partire dalle ore 08:00 e terminerà alle ore 12:00 circa. E’ prevista la simulazione di un
terremoto a cui seguirà la simulazione dell’evacuazione dal luogo di lavoro per i lavoratori‐attori collocati
all’interno della struttura edilizia. Lo scenario si evolverà step by step, con imprevisti e variabili che
renderanno l’esercitazione il più possibile vicina alla realtà.
Novità di “SISMANPAS25” saranno i suoi protagonisti. I figuranti saranno le più alte cariche istituzionali del
territorio piacentino: “Credo sia la prima volta che si svolge una simulazione di maxi emergenza in cui i
“feriti” non saranno volontari ma bensì principalmente personalità pubbliche ben conosciute alla
popolazione piacentina, perché appartenenti al contesto istituzionale locale e regionale”, afferma il
coordinatore provinciale Paolo Rebecchi, che aggiunge: “Le autorità locali hanno dato immediata disponibilità a partecipare all’attività formativa, dando valore al lavoro svolto quotidianamente da ANPAS Piacenza.”
Accanto al sindaco di Piacenza, Katia Tarasconi, parteciperanno la presidente della Provincia di Piacenza, Monica Patelli, il presidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano, Roberto Reggi e il responsabile Fund Management di Prelios SGR, Alessandro Busci.   
Verranno coinvolti nell’esercitazione numerosi sindaci del territorio provinciale e i consiglieri piacentini recentemente eletti nel Consiglio
regionale dell’Emilia Romagna, Lodovico Albasi, Luca Quintavalla e Giancarlo Tagliaferri.  
Molto soddisfatto dell’iniziativa anche Mario Spezia, Presidente di CONCOPAR, appaltatore delle opere edili
dell’area in questione, che ha evidenziato l’impegno sociale costante e quotidiano delle Pubbliche
Assistenze ANPAS sul territorio provinciale.
Per rendere lo scenario veritiero, ANPAS PIACENZA coinvolgerà il Gruppo Truccatori specializzato nella
creazione di simulazioni ad alto impatto scenico ed emotivo. I volontari sono addestrati per ricreare
situazioni anche particolarmente complesse, role play, condizionamento figuranti e trucco. I ruoli e gli
scenari di soccorso non verranno divulgati e saranno resi noti solamente al momento dell’esercitazione, del
5 aprile 2025.
“Sarà una giornata di formazione e di esercitazione molto importante per i volontari delle Pubbliche
Assistenze di ANPAS PIACENZA, che sono chiamati a confrontarsi con situazioni complesse che fanno parte
dell’addestramento di ciascun soccorritore”, afferma il coordinatore provinciale, Paolo Rebecchi che
aggiunge: “Gli equipaggi non saranno al corrente degli scenari che si presenteranno durante l’esercitazione
“SISMANPAS25” e delle conseguenti tipologie di soccorso che verranno richieste.
La maxi emergenza è una attività a carattere formativo ed esercitativo avente l’obiettivo di testare il
personale operativo che lavorerà in sinergia con gli enti che interverranno operativamente alla maxi
emergenza. L’esercitazione “SISMANPAS25” avverrà in collaborazione con AUSL, 118, Comando Provinciale
dei Vigili del Fuoco di Piacenza e con le Forze dell’Ordine del territorio piacentino.  
L’esercitazione di maxi emergenza del 5 aprile avrà una doppia valenza: all’interno di “SISMANPAS25” si
terrà l’esercitazione del “comparto sanitario”, mentre nell’area esterna al cantiere, verranno montate le
strutture impiegate nei contesti di emergenza e saranno esposti i mezzi operativi. “Compiremo verifiche
delle attrezzature in dotazione alla Protezione Civile ANPAS PIACENZA, e testeremo l’organizzazione e le
capacità operative dei volontari rispetto al complesso scenario logistico in cui agiremo. Si tratterà di
“un’esercitazione nell’esercitazione”, avente come obiettivo la verifica delle effettive tempistiche di
montaggio e di funzionalità delle strutture di cui disponiamo e l’operatività dei volontari in un contesto di
simulazione di emergenza sismica”, ha aggiunto Rebecchi.
Tutti i reparti del coordinamento provinciale di ANPAS PIACENZA verranno coinvolti in “SISMANPAS25”:
Fondamentale per lo studio dei casi di soccorso è stato il coordinamento con il Comando dei Vigili del Fuoco
di Piacenza e con il personale AUSL 118”.




Esplorare Piacenza in 162 click: il nuovo progetto virtuale

E’ stato presentato al PalabancaEventi “Piacenza 360 – La scoperta della città millenaria”, un tour immersivo tra i principali monumenti della città, ideato da Valeria Poli e Marco Stucchi. Durante la presentazione in Sala Corrado Sforza Fogliani, davanti a un folto pubblico e alla presenza di numerose autorità civili, militari e religiose il sindaco Katia Tarasconi ha espresso grande entusiasmo: «Un’iniziativa straordinaria che, grazie alla tecnologia, farà conoscere Piacenza a tutto il mondo. La nostra è una città autentica, sempre più una meta da visitare e vivere».

Il progetto, realizzato su iniziativa del Comune e supportato dalla Banca di Piacenza e dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano grazie all’Art Bonus, ha visto la collaborazione del Caseificio Valcolatte e di Blacklemon. A presentarlo sono stati Valeria Poli che ha curato l’aspetto storico-scientifico, Marco Stucchi che si è occupato della parte digitale e Nicola Bellotti di Blacklemon che ha supervisionato il sito e la parte grafica e creativa, dichiarando: «Abbiamo aderito con piacere a questo progetto che ci permette di valorizzare Piacenza».

La presentazione è stata preceduta dagli interventi di saluto del presidente della Banca di Piacenza Giuseppe Nenna («Questa è la terza mappa realizzata da Valeria Poli e Marco Stucchi, coppia vulcanica, dopo quella di Caprarola – la rappresentazione di Piacenza che si trova affrescata in una sala del Palazzo Farnese della cittadina laziale – e la Mappa Bolzoni, dove è possibile viaggiare nella Piacenza del Cinquecento; tutti progetti sostenuti dal nostro Istituto») e del vicepresidente della Fondazione Mario Magnelli («Piacenza ha tante cose belle da mostrare, quindi è stata una bella idea sostenere questo progetto»).

L’assessore comunale alla Cultura Christian Fiazza ha da parte sua sottolineato come Piacenza 360 sia «la costola di un progetto più ampio che vuole riconsegnare il Gotico ai piacentini, perché è il palazzo che rappresenta la nostra storia» e che viene presentato ora perché è l’anno del Giubileo: «Chissà quanta gente sta scegliendo la meta di passaggio prima di arrivare a Roma».

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Il progetto e la visione digitale di Piacenza

Piacenza 360 rientra appunto nel più ampio progetto dell’Amministrazione comunale Gotico 2027, che punta a restituire pienamente ai piacentini il palazzo medievale simbolo della città che, sulla sua facciata est, presenta un’alta e slanciata torretta che si affaccia su Piazza Cavalli. Raggiungendo la sommità attraverso una stretta e suggestiva scala interna, si gode di un panorama unico di Piacenza. Vedendo questa prospettiva è nata l’idea di Piacenza 360, che ha il suo punto di partenza in un’immagine sferica ad altissima definizione che offre ai visitatori una visione panoramica della città, dei suoi monumenti e del territorio circostante. Da questa immagine digitale sono stati individuati 162 punti informativi corrispondenti ad altrettante dettagliate schede redatte dalla prof. Poli. Il percorso immersivo si arricchisce poi con la possibilità di entrare virtualmente nei monumenti, nei palazzi e negli edifici religiosi della città grazie a immagini sferiche a 360 gradi. In alcuni di questi monumenti Marco Stucchi ha realizzato immagini aeree dall’altezza di cinque metri che offrono visuali assolutamente spettacolari e inedite (per esempio di San Savino e Sant’Antonino). Fruibile attraverso il web, il progetto è accessibile da qualsiasi parte dell’universo e da qualsiasi dispositivo. «Da Palazzo Gotico verso il mondo; e dal mondo verso Palazzo Gotico», per dirla con le parole dell’assessore Fiazza che sintetizzano la descrizione di un viaggio digitale attraverso la storia e la cultura di Piacenza, una sorta di Wikipedia viva e in continuo aggiornamento della nostra millenaria città, che offre uno sguardo inedito e coinvolgente sul suo patrimonio. Una visione che potrà trasformarsi in un desiderio reale: quello di scoprire Piacenza di persona, passeggiando tra le sue strade lasciandosi sorprendere dalla sua bellezza. «Perché la nostra città – ne è convinto l’assessore alla Cultura – merita di essere vista, amata e vissuta».

La scoperta della città millenaria

La visione della città millenaria a 360 gradi offerta dalla torretta di Palazzo Gotico non è solo uno sguardo da un’inedita prospettiva, ma rappresenta soprattutto il punto di vista dell’Amministrazione cittadina che, attraverso i secoli, ha guidato la trasformazione urbana resa possibile dalle forze economiche locali. Vediamo di approfondire questo aspetto con la prof. Poli, che durante la presentazione ha sottolineato la «implementabilità» del progetto, il fatto che sia attivabile il percorso Francigena e che c’è una visione notturna «molto interessante e suggestiva». Il Palazzo, sede della Magnifica Comunità di Piacenza, è un’eloquente testimonianza della conquista del centro cittadino da parte del libero Comune medievale. Edificato nel 1281, la sua storia e la sua destinazione d’uso documentano le fasi salienti dell’evoluzione urbana. La piazza, situata al confine sud della città romana, fondata il 31 maggio 218 a.C., collega la città medievale, segnata dai poteri guelfi e ghibellini, all’espansione verso sud, caratterizzata da percorsi della via Francigena, che si trasformano in assi portanti dello sviluppo farnesiano a partire dal 1545.

Piacenza è la “città delle centro chiese”, secondo un rilevamento compiuto in età napoleonica, ma anche una città di palazzi, frutto del processo di nobilitazione promosso durante il ducato farnesiano-borbonico. Il patrimonio architettonico urbano testimonia in modo eloquente il processo di promozione sociale e, soprattutto, l’alleanza tra pubblico e privato per il comune obiettivo della magnificenza urbana.

La città contemporanea conserva i segni di questo importante passato, visibili anche nella riconversione d’uso di alcuni edifici monumentali, il tutto racchiuso dal segno forte delle mura rinascimentali, in gran parte ancora conservate.

“Piacenza, terra di passo”, come la definì Leonardo, testimonia nel suo patrimonio storico-artistico il passaggio di artisti di grande levatura. Basti pensare a Vignola, progettista di Palazzo Farnese, a Pordenone e a Guercino, autori delle cupole di Santa Maria di Campagna e della Cattedrale, senza dimenticare le opere iconiche custodite nelle istituzioni museali: l’Ecce Homo di Antonello da Messina presso il Collegio Alberoni, il Tondo di Botticelli ai Musei Civici di Palazzo Farnese e la Signora di Klimt alla Galleria Ricci Oddi. Tutti capolavori a portata di click grazie a Piacenza 360.

Marco Stucchi ha accompagnato i presenti dentro ai principali monumenti della città mostrando immagini dall’incredibile definizione. «Usate Piacenza 360 – ha detto rivolto al pubblico – diffondetelo, condividetelo. Tornare a lavorare per la mia città mi riempie di orgoglio. Viva Piacenza».

Dove trovare Piacenza 360

Piacenza 360 sarà disponibile online nel portale dedicato agli indirizzi piacenza360.it e piacenza360.com, ma anche sull’App Municipio, sul sito dell’autore (marcostucchi.com), su quello della Banca (bancadipiacenza.it) e sui siti degli altri attori che a vario titolo hanno sostenuto il progetto (Fondazione, Valcolatte, Blacklemon).




Veano, la prigione dove i sorveglianti se la passavano peggio dei sorvegliati

«Che cosa mi spinge a compiere queste ricerche storiche? Il desiderio far emergere le esperienze di guerra dei campi di prigionia, poco raccontate, e far rivivere questi luoghi (nel Piacentino, Cortemaggiore, Montalbo, Rezzanello e Veano, ndr) che senza memoria rimangono muti». Così il ten. col. David Vannucci ha concluso la brillante presentazione della sua ultima fatica editoriale – “Veano, la prigione della libertà” (Edizioni Tip.Le.Co.), realizzata con il contributo della Banca di Piacenza e la collaborazione del Collegio Alberoni – avvenuta al PalabancaEventi davanti a un folto pubblico che ha riempito Sala Panini.

In dialogo con Emanuele Galba (da cui l’autore ha preso a prestito il titolo del libro, che il giornalista aveva utilizzato per un articolo della terza pagina di Libertà del primo agosto 1994, quando caporedattore era il compianto Ninino Leone), il col. Vannucci ha illustrato il contenuto del volume non prima di aver indirizzato un ringraziamento alla Banca per il sostegno e un pensiero a Corrado Sforza Fogliani («è anche grazie a lui se mi sono appassionato a queste ricerche»).

Le principali fonti per quest’ultima pubblicazione sono state l’Archivio storico dell’Opera Pia Alberoni, l’Archivio dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, l’Archivio del Comitato internazionale della Croce Rossa (Ginevra), l’Archivio di Stato di Piacenza, i report delle ispezioni dell’Ambasciata italiana in Svizzera e i vari racconti pubblicati dai prigionieri una volta tornati in patria.

Quello di Veano è stato l’ultimo campo di prigionia ad aprire nella nostra provincia (1 maggio 1942 con l’arrivo dei primi 15 ufficiali da Rezzanello e di 60 attendenti da altri campi). Villa Alberoni (residenza estiva dei seminaristi prima della requisizione) arrivò ad ospitare 268 tra ufficiali e attendenti britannici e dei domini imperiali inglesi su un’area di oltre 9mila metri quadrati: 2.450 di aree interne (160 vani tra camere, bagni e latrine; 102 vani accessori tra magazzini, locali di sgombero, guardaroba, dispensa, forno, cantina dei vini; 6 vani di grandi dimensioni (cucine, refettori, sala biliardo e cappella) e 6.800 di aree esterne (3 cortili e un ampio piazzale). Durante tutto il periodo comandarono il campo il ten. col. Enrico Poggiali (poco amato) e il col. Francesco Cornaggia Medici Castiglioni (più apprezzato).

«Nel campo si stava bene – ha spiegato l’autore – i pasti erano abbondanti grazie ai pacchi che la Croce Rossa faceva avere agli ufficiali prigionieri. Il problema principale era la noia, che veniva combattuta giocando a Monopoli, a basket, a volley, poker, ping pong, biliardo, bridge; con lezioni e conferenze, con letture attinte da una biblioteca ben fornita, con il cinema e con passeggiate concesse “sulla fiducia”. Non mancavano le lamentele: per la carenza d’acqua, per la mancanza di pigiami, per arredi inadeguati. Teneva comunque compagnia agli ufficiali un pensiero fisso: quello della fuga».

I tentativi di fuggire furono diversi. Epico quello attraverso il tunnel del mag. Evans lungo 14 metri che portò i fuggitivi fuori dal campo (poi tutti ricatturati, chi a 40 chilometri da Roma, chi prima di entrare in Svizzera, chi a Piacenza; il mag. Evans fu ripreso dopo 4 giorni a nord della capitale).

Con l’armistizio dell’8 settembre del 1943 iniziò la seconda parte della storia del campo p.g. 29: quella dell’evasione di massa agevolata (anzi, quasi co-condotta) dal comandante italiano di Veano col. Cornaggia Medici assieme all’SBO britannico col. Younghusband «e che è rimasta nell’immaginario collettivo locale e in tutta la Valnure – ha sottolineato il col. Vannucci – come un atto eroico divenuto poi leggenda». Un’evasione epica (10 settembre ’43) di quasi 300 uomini (organizzati in piccoli gruppi per non essere individuati e ricatturati) in direzione delle coline, con le truppe tedesche alle calcagna, anticipate davvero di pochissimo tempo nel loro intento di occupazione del campo e di cattura degli occupanti. La “prigione della libertà”, appunto, per gli ufficiali dei Paesi del Commonwealth ai quali in verità – come da testimonianze raccolte – non era andata poi così male: a Veano, infatti, i prigionieri stavano decisamente meglio delle loro guardie.

Agli intervenuti è stata riservata copia del volume.




Banca piccola o banca grande? «Banca utile»

«Piccolo è bello o piccolo è brutto? Piccolo è possibile». Questa la risposta data dal prof. Mario Comana – ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari dell’Università Luiss Guido Carli di Roma ed editorialista di MF-Milano Finanza – ospite della Banca di Piacenza al PalabancaEventi, dove ha tenuto una conferenza sul tema “Preservare l’identità delle banche locali con l’efficienza e la sostenibilità” davanti a un numeroso pubblico che ha affollato Sala Panini.
Dopo l’intervento di saluto del presidente dell’Istituto di credito Giuseppe Nenna, il relatore – dati alla mano – ha rappresentato che cosa sta accadendo nel sistema bancario italiano. Nel 2001 c’erano 761 banche; nel 2023, 428: di queste, però, 350 sono banche di credito cooperativo che fanno parte di 2 gruppi bancari. Quindi gli Istituti di credito che si fanno concorrenza in Italia sono di fatto un’ottantina, ha precisato il professor Comana, che ha evidenziato come alla diminuzione del numero di banche abbia fatto seguito un ridimensionamento degli sportelli, passati dai 33mila del 2001 ai 20mila del 2023, anno in cui la quota di mercato delle prime 5 banche italiane era del 48,7% (22,68% nel 2001). Oggi siamo al 74,82%, percentuale che salirebbe al 78,87% se andasse in porto l’ipotesi di fusione Unicredit-BPM, all’82,15% se si aggiungesse anche la fusione tra MPS e Mediobanca e addirittura all’84,05% con l’ulteriore unione tra BPER e Popolare di Sondrio. «Il che vuol dire – ha spiegato l’economista – che il resto degli operatori si dividerebbero il 15% del mercato. Di fatto un oligopolio, quando sappiamo che i mercati più efficienti sono quelli aperti e competitivi».
Per non cadere nell’errore di considerare una banca cosa positiva o negativa in base alle dimensioni, il prof. Comana ha invitato a prendere lezione dalla natura: «Che ci dimostra come gli animali più grandi non vincono su quelli più piccoli, ma che ogni specie usa le sue caratteristiche per assicurarsi il successo ecologico ed è utile a suo modo per l’equilibrio dell’ecosistema».
Il relatore ha quindi sfatato il mito delle economie di scala («nel sistema bancario cessano di manifestarsi al di sopra di soglie dimensionali piuttosto modeste») sostenendo che l’importante è «saper definire, raggiungere e soddisfare un mercato adeguato alle proprie dimensioni». Il prof. Comana ha poi riferito i risultati di una ricerca commissionata dall’Associazione delle banche popolari, secondo i quali dei modelli di business individuati nessuno appare dominante. «Quello che conta per l’efficienza e l’efficacia della banca sono i fattori individuali più che caratteristiche generali (come ad esempio la dimensione o la collocazione competitiva) e la sostenibilità si acquisisce nel tempo attraverso la persistenza dei risultati, non con profitti brillanti ma episodici e volatili».
In conclusione l’illustre relatore si è domandato se piccolo è utile o bastano le banche grandi. La risposta la troviamo nel fatto che le banche locali servono utilmente le comunità dei territori di appartenenza e i loro soci. Ma il radicamento sul territorio e la prossimità alla clientela sono ancora un vantaggio competitivo ai tempi della banca digitale? «La risposta è sì – ne è convinto il prof. Comana – perché essere una banca piccola non è una condanna ma un’opportunità che si giustifica nel fatto di portare un servizio con efficienza e correttezza in territori dove c’è ancora richiesta di banche fisiche. La sfida è quella di integrare il rapporto interpersonale con soluzioni digitali, non solo nel credito ma anche nell’offerta di servizi, individuando grazie all’intelligenza artificiale bisogni, target e soluzioni più efficaci».
«Lei ha dato “scientificità” al nostro pensiero – ha chiosato il presidente Nenna -. Abbiamo avuto in Corrado Sforza Fogliani un grande maestro e portiamo avanti i suoi insegnamenti»




Quando nei ristoranti piacentini non si mangiavano né tortelli né pisarei

Pubblico straripante al PalabancaEventi della Banca di Piacenza (Sala Panini e Sala Verdi e Sala Casaroli videocollegate) per la presentazione del volume “A regime: storia dell’alimentazione a Piacenza tra le guerre mondiali” (Edizioni Tip.Le.Co., Prefazione di Michele Mauro, cuoco gentleman), illustrato dall’autrice Laura Bricchi in dialogo con il giornalista Giuseppe Romagnoli.

Nipote del compianto critico d’arte Ferdinando Arisi, la neo scrittrice – alla sua prima fatica editoriale – è giornalista professionista (dieci anni come redattrice responsabile delle pagine culturali al quotidiano La Cronaca di Piacenza) e ora insegnante. Una laurea in Scienze della comunicazione allo Iulm e una seconda in Storia contemporanea alla Statale di Milano. Ed è proprio dall’attività di ricerca per quest’ultima tesi di laurea che è nato il libro che – come ha spiegato il prof. Romagnoli – tratta in particolare della storia dell’alimentazione in periodo fascista «ed è attualissimo, perché parlando del periodo autarchico affronta il tema della valorizzazione dei prodotti locali».

Stimolata dalle domande del coordinatore della serata, la prof. Bricchi si è soffermata sui principali argomenti presenti nell’opera, a partire dal futurismo (è stato ricordato che proprio a Piacenza, all’Albergo Italia, si tenne una cena alla presenza di Tommaso Marinetti, organizzata da Bot). «Marinetti – ha spiegato l’autrice – ha portato gli italiani ad interessarsi di alimentazione e lo ha fatto con la provocazione: proponendo l’abolizione della pastasciutta o il mangiare senza posate. Le tematiche che portavano avanti erano funzionali al regime; pensiamo all’autarchia e all’abolizione dei termini stranieri».

Il libro riporta i menu delle cene governative consultati alla Biblioteca Barilla, «prima del 1935 ricchi di portate ed esterofili, dopo il ’35 più “poveri” con piatti italiani», e delle abitudini del Duce a tavola (sofferente di ulcera, considerava i pranzi ufficiali una perdita di tempo e mangiava e beveva in maniera contenuta: latte, pasta, riso, carne bianca, frutta e verdura).

Dopo le sanzioni all’Italia della Società delle Nazioni conseguenti all’invasione dell’Etiopia, gli italiani (e i piacentini) si sono dovuti arrangiare con quello che avevano: verdure, riso, minestre, carni povere. «Il monito – ha argomentato la prof. Bricchi – era “non sprecare”, tutto si ricicla: stracci, spaghi, carta, ossi, gusci d’uovo, bucce. Studiando queste cose, ho capito i comportamenti di mia nonna Dina. Si sentiva la mancanza di caffè, zucchero, carne, grassi da condimento e ci si ingegnava con i surrogati». In quegli anni nascono importanti industrie alimentari (Cirio, Buitoni, Barilla, Lazzaroni e tante altre) e si sviluppano tecniche di conservazione dei cibi: la pastorizzazione e la refrigerazione meccanica con i primi vagoni e le prime navi in grado di trasportare prodotti surgelati. Nascono così i mercati del pesce.

Il volume dedica un capitolo a osterie, trattorie e ristoranti. «Molto interessanti le liste vivande del 1918 depositate per calmierare i prezzi e consultate al locale Archivio di Stato. Ho scoperto l’assenza di tipicità locali (bortellina, salumi, pisarei, tortelli) e piatti generici. Una cucina borghese, insomma, senza identità. Perché? Il motivo è semplice: al tempo non si andava al ristorante per svago e i clienti erano per la maggior parte commessi viaggiatori, comunque gente in giro per lavoro». Poi con il fascismo le produzioni tipiche hanno guadagnato spazio.

Nel libro troviamo anche testimonianze dirette raccolte dall’autrice. Tra queste, anche quella di Giacomo Scaramuzza, decano dei giornalisti piacentini mancato di recente all’età di 102 anni: «È stata la parte più arricchente del lavoro di ricerca, con il racconto della cucina di tutti i giorni, dei piatti delle feste, che sono poi gli stessi di oggi; e poi della polenta come pasto principale».

Infine, un cenno ai differenti tipi di alimentazione rispetto al territorio nella cucina piacentina casalinga tra le due guerre. «In pianura – ha osservato la prof. Bricchi – si mangiava maiale, mais (polenta), latte, formaggi, pesce di fiume; in collina, dove si stava meglio in tempo di guerra, si potevano trovare alberi da frutto, ortaggi, erbe spontanee, lumache, animali da cortile; in montagna si utilizzavano molto le castagne (per fare la polenta), nocciole, patate, frutti di bosco».

Agli intervenuti, con precedenza ai primi soci prenotati e ai primi clienti prenotati, è stato riservato il volume fino ad esaurimento copie.




Quarta edizione per la Giornata dell’economia piacentina

È stato firmato nella Sala Ricchetti della Sede centrale della Banca di Piacenza il protocollo d’intesa tra Istituto di credito locale, Università Cattolica del Sacro Cuore-Campus di Piacenza e Camera di Commercio dell’Emilia per la realizzazione della Giornata dell’economia piacentina, tornata con successo tre anni fa – dopo un lungo periodo di interruzione – per iniziativa della Banca e dell’Università Cattolica, che hanno coinvolto la Camera di Commercio, con specifico riferimento all’evento finale – che quest’anno si terrà lunedì 26 maggio – durante il quale sarà presentato il Report annuale sul sistema economico piacentino curato dal Laboratorio di Economia Locale-LEL (Centro di ricerca dell’Università Cattolica) sotto la responsabilità scientifica del prof. Paolo Rizzi.

Al fine di programmare l’attività, è stato istituito un Comitato di indirizzo e coordinamento, promosso da Eduardo Paradiso, composto dai professori Enrico Ciciotti e Paolo Rizzi (Università Cattolica); dall’avv. Domenico Capra e dal dott. Stefano Beltrami, rispettivamente vicepresidente del Cda e responsabile Ufficio Marketing della Banca di Piacenza; dal dott. Filippo Cella e dal dott. Matteo Ruozzi della Camera di Commercio dell’Emilia.

Il protocollo d’intesa è stato firmato dal presidente della Banca Giuseppe Nenna, dal direttore dell’Università Cattolica di Piacenza Angelo Manfredini e dal vicepresidente della Camera di Commercio dell’Emilia Filippo Cella. Il dott. Manfredini ha anche siglato, insieme al presidente Nenna, l’accordo tra Università Cattolica e Banca per la realizzazione del Report annuale citato.




«Togliere agli Stati il potere di legiferare per tornare a essere cittadini e non sudditi»

Più diritto che viene dal basso, meno leggi prodotte dall’alto. Questo, in estrema sintesi, il “Modello Leoni” di organizzazione sociale di cui si è trattato al PalabancaEventi di via Mazzini dove, in Sala Panini, è stato presentato il volume “La libertà e il diritto” di Bruno Leoni e a cura di Carlo Lottieri (edizioni liberilibri, saggio introduttivo del prof. Raimondo Cubeddu, realizzato con la partecipazione di Confedilizia) per iniziativa dell’Associazione culturale Luigi Einaudi in collaborazione con la Banca di Piacenza, ringraziata nei saluti introduttivi del presidente dell’Associazione Einaudi Danilo Anelli. La pubblicazione è stata illustrata dal curatore, filosofo del diritto, in dialogo con Antonino Coppolino, presidente di Confedilizia Piacenza, e con Giorgio Spaziani Testa, presidente nazionale della Confedilizia (in collegamento da Roma).

Il libro (titolo originale Freedom and the law) è il frutto di lezioni tenute da Leoni in California nel 1958, pubblicato negli Stati Uniti nel 1961 e poi anche in Italia, dove uscì soltanto nel 1995.

Il prof. Lottieri ha definito Bruno Leoni «uno dei più grandi maestri della scienza politica del dopoguerra, molto appassionato di questioni economiche». E con economisti del calibro di von Hayek, Friedman e von Mises si confrontava alla Mont Pelerin Society, circolo liberale internazionale contro i totalitarismi. «Aveva capito – ha spiegato il curatore – che gli economisti liberali non avevano compreso alcune questioni fondamentali legate al diritto. Sosteneva la necessità di meno leggi e di un nuovo modo di pensarle: non come “comandi” ma come frutto di ciò che emerge dai tribunali, un diritto giudiziario sul modello anglosassone». Sì alla Common law dunque (il sistema giuridico dei Paesi anglo-americani basato su precedenti giurisprudenziali) e no alla codificazione prodotta dagli organi politici (su tutti, il Parlamento). Leoni sottolineava che se le leggi nascono dai tribunali “nessuno è padrone del diritto” che nasce invece dal consenso sociale ed è indipendente. «Bruno Leoni – ha proseguito il prof. Lottieri – ha teorizzato la destatizzazione del diritto: dove c’è un legislatore, questo vuole legiferare di continuo provocando un’instabilità normativa che porta assoluta incertezza». E qui l’avv. Coppolino ha posto il tema della burocrazia che limita la libertà individuale. «Vero – ha affermato il relatore – perché la burocrazia è autoreferenziale e crea cittadini-sudditi». Il prof. Lottieri ha a questo proposito citato un esempio che amava fare Einaudi: nel ‘700, in Piemonte, c’era il problema della moltiplicazione delle volpi; fu formato un Corpo di cadetti con il compito di cacciare questi animali; il loro numero inizialmente diminuì, poi si stabilizzò. Il motivo? Se fossero state debellate, la ragion d’essere di questo Corpo sarebbe venuto meno. Ecco perché la burocrazia non risolve, ma complica: per sopravvivere.

Sull’eccesso di norme è intervenuto Giorgio Spaziani Testa: «La nostra principale “fabbrica” del diritto, il Parlamento, si sta espandendo provocando molti danni. Poi abbiamo anche tante “succursali”: le Regioni, i Comuni e via elencando. Leoni combatteva il diritto che proveniva dall’alto e noi come Confedilizia tutti i giorni siamo alle prese con continui attacchi alla proprietà. Non parliamo poi della “fabbrica” del diritto della Commissione europea, che produce cose come il green deal che, oltre a minacciare la proprietà, lede anche la capacità di libera iniziativa. Rispetto alla realtà di tutti i giorni, il Modello Leoni è purtroppo un’utopia».

«Bruno Leoni – ha concluso il prof. Lottieri – aveva una sua filosofia di società basata su regole, diritto ed economia derivanti da azioni individuali. Lasciando spazio a queste, le norme nascerebbero in un clima corrispondente al bene comune. Credeva nel mercato, nella concorrenza come motore di una vita spontanea che definisse la società. In questo modo, il senso comune sarebbe elemento fondamentale nella formazione della giurisprudenza. In un sistema aperto e competitivo saremmo più tutelati. Il Modello Leoni risocializza il diritto riportandolo ai nostri comportamenti».