Castello di Gambaro, un restauro che ha riportato alla luce la sua storia

Una Sala Corrado Sforza Fogliani del PalabancaEventi gremita ha fatto da cornice alla cerimonia di consegna del “Premio Gazzola 2024”, giunto alla sua diciannovesima edizione, assegnato al restauro del Castello di Gambaro di Ferriere e dedicato ad uno dei fondatori del riconoscimento, mancato di recente: Carlo Emanuele Manfredi. «Era il nostro pilastro – lo ha ricordato Domenico Ferrari Cesena, che insieme al dott. Manfredi e a Marco Horak istituì nel 2006 il Premio intitolandolo alla memoria di Piero Gazzola, architetto piacentino -, un grande protagonista della vita culturale della nostra città che ci mancherà».

Dopo i saluti del presidente della Banca di Piacenza Giuseppe Nenna («Fin dalla sua istituzione la Banca ha sostenuto questo premio, che abbiamo vinto anche noi nel 2020 con il restauro di questo palazzo, un sostegno sempre condotto in tandem con la Fondazione di Piacenza e Vigevano»), il prof. Ferrari Cesena, che ha coordinato l’incontro, ha annunciato per l’anno prossimo un «programma speciale per festeggiare l’edizione numero 20».

La 19 ͣ  ha dunque scelto di valorizzare il restauro del maniero del minuscolo borgo dell’Alta Valnure “per i radicali e straordinari lavori – si legge nella motivazione del Comitato del Premio Gazzola – compiuti dai suoi proprietari (i coniugi Clara Mezzadri e Valentino Alberoni, ndr) nell’ultimo decennio”. Un complesso intervento di recupero seguito dagli architetti Massimo Ferrari e Marco Jacopini.

La parola è quindi passata agli autori dei contributi raccolti nel consueto “Quaderno” dedicato all’edificio premiato (distribuito a fine serata a tutti gli intervenuti), che hanno riassunto quanto si trova nella pubblicazione curata dal prof. Ferrari Cesena e dal prof. Horak.

Giorgio Eremo ha ripercorso la storia del castello, la cui costruzione iniziò negli ultimi decenni del 1500 su iniziativa di Pier Francesco Malaspina (il borgo era sede del marchesato di Gambaro e degli Edifizi); nel 1624, alla morte del marchese Malaspina, la Camera ducale farnesiana avocò a sé tutti i suoi beni. Ranuccio II concesse poi il feudo ai Landi di Rivalta, che a fine ‘700 lo vendettero ai Bacigalupi (famiglia di notai liguri); in epoca napoleonica il castello fu sede comunale. «Fino all’immediato dopoguerra – ha spiegato il dott. Eremo – l’edificio era in discrete condizioni, che divennero critiche dal momento che non fu più abitato. Nel 1970 il primo crollo, con la Sovrintendenza che diede la disposizione di abbattere le strutture pericolanti. Per 25 anni il castello fu abbandonato e depredato, i crolli si susseguirono fino ad arrivare ad un ammasso di ruderi». Nel 1995 fu avviato un progetto di recupero (curato dall’architetto Benito Dodi e dal geom. Polo Negri) per iniziativa dei fratelli Lando e Lanfranco Tagliaferri; progetto che fu realizzato solo parzialmente. «Fortuna volle – ha concluso il dott. Eremo – che nel 2006 il castello venisse acquistato dagli attuali proprietari i quali, con un considerevole sforzo economico e sacrificio personale, animati da tanto amore per lo storico edificio, ne hanno portato a termine il recupero, secondo le indicazioni della Sovrintendenza, compiendo un vero miracolo grazie agli architetti Ferrari e Iacopini».

Marco Horak ha dal canto suo evidenziato «l’imponenza del maniero» che contrasta con il nostro comune sentire nei confronti di questi paesini del nostro Appennino. «Oggi Gambaro ha una ventina di abitanti – ha osservato il prof. Horak – ma un tempo questi centri pullulavano di vita e basavano la loro economia sull’agricoltura e la silvicoltura; in Alta Valnure rilevante era anche l’attività mineraria. E l’importanza di Gambaro è testimoniata da un dipinto che fino a 25 anni fa era collocato in un salone del castello». Si tratta del ritratto, probabilmente, di Ippolito Landi, studioso erudito che faceva parte del Collegio dei dottori e giudici di Piacenza. La famiglia Landi è una delle quattro casate che reggevano le sorti della città di Piacenza (insieme agli Anguissola, agli Scotti e ai Fontana). Difficile, invece, formulare ipotesi su chi possa averlo eseguito.

Fabio Obertelli ha offerto un approfondimento su una pala d’altare presente nella chiesa parrocchiale di Gambaro fino al 1711 (fu poi “rapita” da Francesco Farnese che la volle nella sua collezione d’arte e ora è esposta nel Museo di Capodimonte a Napoli, come tutti gli altri tesori dei Farnese). Simon Mago – questo il titolo dell’opera definita dall’oratore «strepitosa» – divide gli storici rispetto all’attribuzione: quando entrò nella collezione Farnese si pensava realizzata da Giovanni Lanfranco; quando venne portata a Napoli, però, già si ritenne realizzata da Ludovico Carracci ma portata a termine da qualche suo allievo, stante la differente qualità pittorica dello sfondo.

Lorenzo Bocciarelli ha raccontato la storia della famiglia Bacigalupi, che subentrò nella proprietà del castello di Gambaro verso la fine del ‘700, quando il dott. Angelo Giuseppe Bacigalupi, notaio di Santo Stefano d’Aveto dal 1785 al 1801, acquistò l’intero feudo dai Landi. Fu anche Podestà e fu l’ultimo Commissario ducale della giurisdizione feudale di Gambaro. Il castello fu sede del Comune nei secoli XVIII-XIX (e dal 1930 ospitò la scuola di Ferriere). I Bacigalupi si estinsero nel 1955 e il castello venne trasformato in un’azienda agricola: fu l’inizio del suo declino.

Gli architetti Ferrari e Icopini hanno quindi illustrato i lavori durati quasi 10 anni, sottolineando come il restauro sia stato impostato con l’intento di «riportare alla luce la storia del manufatto attraverso antiche tecniche di ricostruzione concordate con la Sovrintendenza». Sono stati utilizzati materiali di recupero ed è stata ridata all’edificio la forma geometrica originaria, riportando i locali alle dimensioni preesistenti. Dai professionisti una lode alle maestranze dell’Alta Valnure utilizzate nel cantiere.

È seguita la cerimonia di premiazione dei proprietari del castello da parte del prof. Horak, mentre Gian Paolo Bulla, già direttore dell’Archivio di Stato, ha consegnato il riconoscimento agli architetti Ferrari e Iacopini.

Clara Mezzadri ha infine ringraziato il Comitato del Premio («per aver acceso un faro sulla montagna piacentina»), la Banca di Piacenza, la Fondazione e «i tantissimi amici che in questi anni ci hanno sostenuto moralmente aiutandoci a raggiungere un obiettivo che sembrava impossibile».




Successo per la Festa delle Matricole all’ex chiesa del Carmine

Debutto in grande stile per l’ex chiesa del Carmine come location della Festa delle Matricole, la cui edizione 2024 si è svolta ieri sera nell’inedita cornice del Laboratorio Aperto di piazza Casali. Un appuntamento ormai tradizionale, rivolto agli studenti iscritti al primo anno dei percorsi accademici locali, promosso dall’Amministrazione comunale in collaborazione con il Conservatorio Nicolini e le sedi cittadine del Politecnico di Milano, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dell’Università degli Studi di Parma, con il fondamentale contributo dell’Azienda regionale per il Diritto allo Studio Er.Go. nell’ambito della convenzione che, insieme all’Amministrazione, vede l’ente impegnato nella valorizzazione della dimensione universitaria di Piacenza.

Tra buffet, intrattenimento musicale e saluti istituzionali – accanto al sindaco Katia Tarasconi, all’assessore a Università e Ricerca Francesco Brianzi e alla dirigente di Er.Go Patrizia Mondin, docenti e coordinatori in rappresentanza dei diversi atenei – la serata ha visto la partecipazione di oltre 350 giovani che hanno avuto anche l’opportunità di conoscere più da vicino i servizi loro dedicati, come TuoBus, nonché l’attività di numerose realtà del territorio, presenti con il proprio stand informativo: la Fondazione Teatri, il centro di aggregazione Zona Holden, Pc Radio Cult, Csv Emilia per la promozione della YoungER card, Orientagiovani, Piacenza Student Society, Rathaus, Otp-Gea Orienteering, Arcigay Piacenza Lambda, Luci&Ombre e la scuola di capoeira Senzala.

“Ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile l’ottima riuscita di questo evento, che come sempre è un’occasione importante di socializzazione e di incontro tra gli studenti, ma anche per presentare loro la città e tutto ciò che può offrire al loro cammino di crescita formativa e personale”. Così l’assessore Brianzi, che aggiunge: “Mi fa piacere sottolineare il ruolo prezioso dei componenti del Tavolo che riunisce i rappresentanti degli studenti universitari: non solo hanno garantito un supporto operativo e organizzativo fondamentale, insieme alla rete di gestione di Giardini Sonori, per gli artisti che si sono esibiti sul palco (Nilo Band, Neve’s Hammond Trio, Dj Nick e il visual artist Davide Morelli), ma hanno anche prestato servizio come staff della serata, durante la quale hanno inoltre presentato il contest per la creazione del logo che simboleggi il Tavolo Universitari”.

“Credo che questo momento di festa e condivisione – rimarca Francesco Brianzi – sia un elemento importante di quell’impegno, formalizzato con il Protocollo Atenei all’inizio dell’anno, che vede l’Amministrazione comunale sempre più orientata, in sinergia con tutte le componenti del tessuto accademico locale, a promuovere e rafforzare l’identità e la vocazione universitaria di Piacenza”.

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«È mancato un patto tra economia e politica che portasse sviluppo alla nostra montagna»

Tenere accesi i riflettori sui protagonisti della montagna: gli abitanti. Perché, come in ogni cosa, la differenza la fanno le persone. Questa la motivazione che ha spinto il giornalista Filippo Mulazzi a raccogliere ben 70 interviste ai cosiddetti “resistenti” delle alte valli piacentine, gente del posto che decide di rimanere nonostante la mancanza di lavoro e di servizi, o famiglie che vi si trasferiscono provenienti da altre zone d’Italia: quelli che si sono lasciati alle spalle le comodità della città e della pianura preferendo tenere vive piccole comunità disperse del nostro Appennino, una delle zone meno popolate d’Italia dove si lotta per il presente e per il futuro. Storie raccolte tra il 2019 e l’inizio di quest’anno e pubblicate sul quotidiano online “Il Piacenza” (dove Mulazzi è redattore) e ora raccolte nel volume “L’Appennino resistente e i suoi protagonisti” (Officine Gutenberg), presentato dall’autore in dialogo con Emanuele Galba, direttore responsabile di BANCAflash, al PalabancaEventi (Sala Panini) per iniziativa della Banca di Piacenza (presenti il presidente Giuseppe Nenna, il direttore generale Angelo Antoniazzi e il vicedirettore generale Pietro Boselli).

«Volevo mettere in circolo un po’ di energia positiva – ha spiegato il cronista originario di Ferriere – con questo libro che non racconta favole», nel senso che parla di problemi e disagi conosciuti e irrisolti «ma che trasmette l’entusiasmo di chi è rimasto e non vuole arrendersi». L’autore conosce molto bene la nostra montagna («sicuramente poco cool ma per certi versi più autentica e vera») e ha addebitato la sua arretratezza – evidente rispetto ad alcune zone appenniniche dell’Emilia Romagna più forti economicamente – alla mancanza «di un patto tra economia e politica» che avrebbe potuto portare infrastrutture e sviluppo, perché in quelle zone il problema principale è il lavoro: quello impiegatizio è impalpabile, mentre c’è richiesta di boscaioli, muratori, giardinieri, mestieri che quasi più nessuno vuole fare. «C’è assoluta carenza di imprese – ha aggiunto il dott. Mulazzi – e mi fa un po’ rabbia pensare che una delle aziende più importanti del mondo, la Luxottica, abbia sede in un paese grande come Farini, sulle montagne bellunesi». Realtà così fanno naturalmente la differenza, dando modo ai residenti di non abbandonare i loro territori d’origine.

«Con questa pubblicazione avevo un obiettivo facile, già raggiunto – ha argomentato il relatore -: alla gente che legge queste storie vien voglia di conoscere questi “resistenti”. E un obiettivo più ambizioso: che qualcuno, sempre dopo la lettura, decida di ripensare il proprio modo di vivere scegliendo la montagna. So che è un’utopia, ma non escludo possa essere possibile».

Assecondando le domande del direttore di BANCAflash, l’autore ha individuato tra i vantaggi dell’ambiente appenninico l’essere all’interno di una rete sociale stretta («una riserva di relazioni umane») e sottolineato la necessità di recuperare una visione complessiva del territorio: «Spesso parlando con i politici mi accorgo che quelli di città non conoscono i problemi della provincia; viceversa, nella vallate i problemi della città sono meno sentiti».

Ma quali sono le storie che hanno colpito di più? «Per esempio – ha spiegato il giornalista piacentino – quelle che coinvolgono gli ormai pochi allevatori rimasti sulle nostre montagne: si alzano alle 4 del mattino per dare da mangiare agli animali, perché spesso fanno altro come occupazione principale, magari in pianura. Che cosa li spinge? L’amore per la propria terra e il desiderio di dare continuità ad una attività iniziata dai nonni e portata avanti dai genitori». Anche a qualcun altro la sveglia suona all’incirca alle 4: è quella dei fratelli Marco e Paolo Baldini, boscaioli di Pittolo che alle 6 sono già nei boschi della nostra montagna, bisognosi di cure per scongiurare il dissesto idrogeologico: «Un lavoro che non vuol fare più nessuno». Ancora, incuriosisce la piccola realtà di Groppallo, 300 anime con grande senso di appartenenza («si considerano altra cosa rispetto al capoluogo Farini»), un luogo dove resistono, per tradizioni famigliari tramandate da generazioni, attività commerciali e ricettive, nonostante tutto. Altro esempio, i coniugi Valentino Alberoni (di San Giorgio) e Clara Mezzadri (di San Nicolò). Sono i proprietari del Castello di Gambaro, il cui restauro si è meritato il Premio Gazzola 2024, manifestazione da sempre sostenuta dalla Banca locale. Tra i citati, non poteva certo mancare Marco Labirio, uno dei pochi imprenditori che ha scelto di sviluppare la propria attività nel luogo d’origine, Bobbio, dando lavoro con la sua Gamma (produttrice di componenti elettrici) a 200 persone, in maggior parte donne: «Un ammirevole esempio di “resistente”», ha osservato il dott. Mulazzi, che al termine della serata si è volentieri prestato al rito del firma-copia.

In apertura d’incontro, Emanuele Galba ha compiuto un salto indietro nel tempo (febbraio 1998) per portare i presenti a riflettere sul fatto che i problemi dello spopolamento della montagna non sono certo nati oggi, anzi. Ha quindi dato lettura di un articolo (“Vi racconto Farini con Gioia”) scritto quando era redattore di “Libertà” e successivamente pubblicato anche nel volume di Paolo Labati e Dina Bergamini “Orme su monti”. Un’intervista al cav. Lino Gioia, allora brillante novantenne (mancherà cinque anni dopo) memoria storica di Farini, decano dei componenti dei Comitati di credito della Banca e papà di Giuseppe, ex dipendente dello stesso Istituto di credito che a Farini inaugurò la propria filiale il 29 giugno del 1960. «Qui gli abitanti – osservava il cav. Lino – si sciolgono come neve al sole». Un fenomeno che non si è mai fermato. Non certo per colpa del surriscaldamento del pianeta ma – forse – di una politica un po’ distratta.




La festa dei mugnai al Mulino Lentino

La tradizionale festa dei Mugnai, che si è tenuta domenica nella pittoresca e affascinante atmosfera del Borgo di Mulino Lentino, è stata l’occasione per lanciare il progetto di Turismo delle Radici per il quale il Comune di Alta Val Tidone ha ottenuto nei mesi scorsi uno specifico contributo grazie al bando promosso dal Ministero degli Affari Esteri e legato alla ripresa del settore del turismo nell’Italia Post Covid 19 finanziato da Next Generation EU.
“La nostra terra di Alta Val Tidone – ricorda il Sindaco Franco Albertini – terra di confine e di passaggio per eccellenza nella storia, anche se poco se ne è parlato e se ne parla, ha conosciuto l’emigrazione verso l’America, in particolare il Sud America, la Francia, la Germania e la stessa Svizzera per lavori stagionali. Con questo progetto, compiamo un primo passo per codificare e mappare una realtà nascosta, quanto ramificata sul territorio, soprattutto tra fine Ottocento e Novecento e per promuovere quello che viene definito il Turismo delle Radici, cioè il turismo di ritorno nei luoghi d’origine”.
Ad intervenire sul tema, nel corso del convegno organizzato presso il Mulino Lentino, è stata la dottoressa Silvia Magistrali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza: “Il solo Comune di Alta Val Tidone – ha ricordato – conta oggi il 7.7% di residenti iscritti all’anagrafe italiani all’estero, su una media del territorio piacentino del 6.5%. I discendenti di seconda e terza generazione degli emigrati decidono sempre più spesso di fare ritorno nei territori d’origine, anche solo per turismo oppure per reinsediarsi nelle terre degli avi. Si tratta di un riappropriarsi della propria identità”.

A darne concreta testimonianza sono stati gli interventi di Carina Fiocchi, nata in Argentina ma che ha voluto ripercorrere a ritroso le orme del padre Roberto Fiocchi, emigrato dall’Alta Val Tidone con la famiglia di mugnai negli anni ’50 e rientrato in Patria in età adulta. Carina l’ha seguito negli anni 90, tornando “in queste terre, che ho capito essere casa. Da allora vivo qui, dove ancora c’è mio padre. Amo l’Argentina ma anche la Val Tidone”.  L’Assessore Giovanni Dotti ha invece ripercorso l’esperienza di Aldo Savini, emigrato in Venezuela ma poi ritornato in Val Tidone dove è stato per un periodo anche Sindaco di Nibbiano.
“Il Comune di Alta Val Tidone – ha detto Franco Albertini – ha in animo di fare una mappatura di queste esperienze e di tutte quelle che affiorassero. Da quando abbiamo dato annuncio di questo progetto, già diversi concittadini si sono palesati per raccontare la propria storia e quella di emigrazione della propria famiglia. Il turismo delle radici è un progetto di sviluppo ma anche di comunità a cui teniamo molto e l’abbiamo legato ai mulini che sono uno dei nostri luoghi identitari”.

Attorno al Mulino e ai suoi prodotti la giornata è proseguita, sempre nell’ambito del progetto Turismo delle Radici, con lo show cooking di De Smart Kitchen che ha proposto il classico Batarò in una veste gourmet in cui non è mancato il Nero di Pecorara, il tartufo de.co. che è oggetto di un ambizioso progetto di promocommercializzazione che vede il Comune di Alta Val Tidone in prima fila. Oltre alla visita al Mulino, alla benedizione dei prodotti e alla premiazione del mugnaio Bertolo, erede di una tradizione di arte molitoria che affonda le sue radici fin nel 1742, la giornata è trascorsa tra assaggi di prodotti tipici, i piatti preparati dalla maestria della famiglia Borghi che gestisce il Borgo di Mulino Lentino e degli artigiani locali. Il tutto con la partecipazione organizzativa dell’Associazione Sentiero del Tidone, presente con il presidente Daniele Razza, mentre la manifestazione si è conclusa con l’intervento musicale di Maddalena Scagnelli e gli Enerbia, che insieme al coro della Val Curiasca hanno ripercorso nei canti le storie di emigrazione.
“Rivolgo un sentito ringraziamento a tutti coloro che hanno permesso la realizzazione di questo evento, a partire dalla famiglia Borghi e l’associazione Sentiero del Tidone, che sono partner importanti del Comune di Alta Val Tidone nella cura e promozione del nostro territorio  ha sottolineato in chiusura il Sindaco Franco Albertini – Così come ringrazio chi ha permesso di unire a questa festa dei Mugnai l’avvio del progetto Turismo delle Radici che sono certo saprà essere un altro strumento per riscoprire la nostra identità e per guardare a un futuro di sviluppo per questa terra”.

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“Russia, Ucraina, Medio Oriente, Cina: abbiamo davanti a noi anni non facili e l’Europa in politica estera fa troppo poco”

Visti i temi trattati, la presentazione al PalabancaEventi di via Mazzini (Sala Panini) del volume “Operazione Pig” (Europea Edizioni) di Albert De Bonnet (un libro dove fantasia e realtà si intrecciano: la sparizione di un uomo dei servizi segreti italiani dà inizio a una serie di eventi, dall’Albania alla Corsica, dalla Francia al Belgio, fino in Cina, con un susseguirsi di colpi di scena) è stata l’occasione per far cenno, da parte dei due relatori (l’on. Cristiana Muscardini, analista politico e scrittrice e Andrea Vento, saggista e giornalista), degli scottanti problemi che l’attualità ci propone nello scenario nazionale e, soprattutto, internazionale.

«Abbiamo di recente assistito – è stata la riflessione dell’on. Muscardini – a fatti di cronaca inquietanti: i giovani uccisi a Napoli; la tredicenne lanciata da un terrazzo a Piacenza, la ragazza morta per un intervento di rinoplastica in una struttura scelta su TikTok. Occorre imparare a decifrare i messaggi che stanno dietro a questi fatti: non c’è più valore della vita umana. Ditemi voi quale altra razza al mondo oltre la nostra sperpera la vita altrui senza tenere conto delle conseguenze. “Operazione Pig” è una sequela di cose reali e possibili e tocca un tema: quasi mai quello che appare è quello che è».

Sollecitata dalle domande di Andrea Vento (esperto di temi relativi a sicurezza internazionale, conflitti in Medio Oriente ed Asia Centrale, relazioni transatlantiche, dialogo euromediterraneo e flussi migratori), la scrittrice (che si è definita una “portavoce” di de Bonnet, col quale ha avuto diverse occasioni di confronto scrivendo entrambi per il settimanale on line “Il Patto Sociale-Informazione Europa”, e che preferisce non presentarsi in pubblico vista l’attività che svolge come analista di delicati problemi legati a terrorismo, geopolitica e difesa dell’ecosistema) ha compiuto una rapida incursione negli interrogativi che la stessa geopolitica pone in queste fasi di grande incertezza legata ai conflitti aperti a livello internazionale, partendo dall’esito delle elezioni negli States: porteranno la pace o a un inasprimento della situazione? «Credo che ci troviamo di fronte a grandi cambiamenti – ha osservato l’on. Muscardini -. Russia e Cina nel 2021, quindi prima della guerra in Ucraina, hanno stretto un accordo (prodromo ad uno più ampio) con il quale la prima ha raddoppiato l’approvvigionamento di petrolio alla seconda. Putin vuole un nuovo ordine mondiale e sente la minaccia dell’espansione dell’India; per questo ha bisogno di trovare alleati. È da lì che ha poi creato un’alleanza di offesa con il presidente della Corea del Nord. Sugli equilibri internazionali, molto dipenderà da quello che succederà in Medio Oriente. Per quanto riguarda l’Ucraina, sono preoccupata per le decisioni che potrebbe prendere Trump. Non vedo anni facili e vedo sicuramente l’insipienza dell’Europa in politica estera. E questo non aiuta. Attenzione però, perché il nuovo ordine mondiale che vuole la Cina è un pericolo per la democrazia».

Il giornalista Vento ha quindi ricordato «la lunga e veloce corsa che il libro fa attraverso l’Europa» e spiegato come l’autore si prenda delle pause per «riflessioni quasi filosofiche sulle condizioni del mondo».




“Perché non segnare con pietre d’inciampo il percorso della Via Francigena piacentina?”

«La nostra Via Francigena era un po’ ammalata ma la stiamo curando con dei ricostituenti; tra questi ricostituenti, c’è senz’altro il Comitato Tratta Piacenza presieduto dal dott. Comolli. Dobbiamo lavorare in squadra per fare in modo che i pellegrini si sentano accolti. Cosa occorre? Ostelli, acqua, ombra, indicazioni chiare con una cartellonistica adeguata, passaggi in sicurezza. Un obiettivo sul quale convergere le azioni di Amministrazione comunale e provinciale, Banca, Associazioni per guardare al futuro con maggiore speranza». Questo il pensiero espresso dall’assessore alla Cultura del Comune di Piacenza, Christian Fiazza, intervenuto per un saluto alla presentazione del volume “Via Francigena Italia e Vie Romee nella Tratta Piacenza” (Edizioni Banca di Piacenza, stampa La Grafica), a cura del Comitato Tratta Piacenza delle Vie Romee e Francigena Italia, che si è tenuta in un’affollata Sala Corrado Sforza Fogliani del PalabancaEventi di via Mazzini.

Il curatore della pubblicazione (distribuita al termine dell’evento a tutti i partecipanti) Giampietro Comolli – che ha coordinato la serata – ha ringraziato l’Istituto di credito piacentino (presenti il presidente Giuseppe Nenna, il direttore generale Angelo Antoniazzi e il vicedirettore generale Pietro Boselli) per il rinnovato sostegno a un’iniziativa dell’Associazione, dopo quello assicurato per la realizzazione, lo scorso anno, della cartoguida della Via Francigena che attraversa il territorio provinciale. «La centralità del crocevia piacentino è nota da 2500 anni – ha sottolineato il dott. Comolli -. Cinque infatti sono le strade che confluiscono nel nostro territorio riconosciute punti strategici dove tutti sono passati: da Annibale a Napoleone, con in mezzo papi, re, regine, imperatori, vescovi cristiani e naturalmente pellegrini». Percorrere la Francigena significa camminare sulla nostra storia. Ecco allora l’idea di questo almanacco – agile nel formato – che riporta a galla un bagaglio culturale del passato «come fattore utile per i pellegrini moderni» che saranno accompagnati dal Po all’Appennino Emiliano. Il moderatore ha quindi ricordato la nascita del Comitato, nel 2020, per sostenere la candidatura a patrimonio dell’umanità del percorso italiano della Via Francigena-Romea: «Non c’era più interesse verso questi cammini e avevamo constatato come Piacenza non sempre figurasse nelle cartine ufficiali della Via Francigena, che spesso saltavano da Orio Litta a Fidenza. Ci siamo fatti sentire e abbiamo iniziato a studiare le criticità di questi tragitti un tempo sicuri ma ora utilizzati da mezzi di trasporto diversi (camion, ferrovie, automobili). Ecco allora la necessità di individuare le pecche dei tracciati e le modifiche possibili per arrivare a percorsi agevolati, comodi, sicuri. Cosa che abbiamo fatto con la realizzazione della già citata cartoguida».

Venendo al Taccuino, il dott. Comolli – dopo aver precisato che nella cartina della copertina curata da Manrico Bissi è rappresentata non la provincia di Piacenza ma il distretto diocesano più ampio dei confini provinciali – ha evidenziato come «il pellegrinaggio oggi sia un modo per conoscere il territorio, il paesaggio, la cultura, anche nei piccoli dettagli e questa pubblicazione ha cercato di mettere insieme i temi, dando un taglio che fosse anche il risultato di uno spessore di alto profilo del nostro territorio».

Annamaria Carini, archeologa e ricercatrice, ha riassunto quanto trattato nel volume: le condizioni antropologiche e viabili prima e dopo i Romani. «Le strade – ha spiegato la studiosa – favoriscono i rapporti, veicolano idee e modelli culturali, rendono possibile lo scambio di materie prime e manufatti. Nella Preistoria queste strade erano “invisibili” perché essendo tracciati naturali non erano fissati al terreno. Ma la lavorazione a Piovesello di Cassimoreno, in comune di Ferriere, insieme al diaspro del Monte Lama, di un blocco di selce raccolto in Provenza, è indizio di una sorprendente mobilità degli Homo sapiens sapiens. Col Neolitico si registra un insediamento diffuso in Valtrebbia con contatti precoci tra Pianura Padana e costa ligure. In epoca romana le strade sono invece progettate e costruite: nel 187 a.C. il console Emilio Lepido fa realizzare la Via Aemilia, di cui Piacenza è il capolinea occidentale, importante nodo viario sia terrestre che fluviale; nel 148 a.C. Piacenza è tappa della via di collegamento tra la Postumia e la Cisalpina».

A Manrico Bissi, presidente di Archistorica, il compito di illustrare lo sviluppo urbano della Piacenza medievale. «Come molte altre città – ha argomentato – anche la nostra visse un profondo regresso economico e culturale. La vitalità logistica di Piacenza, con il suo fitto sistema di arterie stradali, innescò la ripresa della città a partire dal secolo IX. Principale sostegno della crescita economica e sociale, le vie di comunicazione ebbero un peso determinante anche per l’espansione dell’antico castrum romano: la nuova Piacenza medievale nacque infatti in una fascia suburbana di borghi, sorti lungo le principali vie di transito. I quartieri extra-murari sorsero (a nord) in corrispondenza del porto fluviale (borgo Sant’Agense), alla confluenza (a est) tra le antiche vie consolari Aemilia e Postumia (borgo San Savino), in corrispondenza dell’ingresso (nord-ovest) della Via Aemilia da Milano (Borghetto), ma soprattutto a sud, dove si localizzavano l’ingresso della Postumia proveniente da Tortona, l’arrivo della strada per Pavia e l’innesto dei tracciati viari appenninici della Valtrebbia, della Valnure e della Valdarda (borghi di S. Brigida, S. Lorenzo, S. Antonino e S. Paolo). La prevalente crescita a sud (coerente con la presenza del Po sul versante nord della città) innescò lo spontaneo slittamento dei transiti umani e mercantili dall’antico decumano massimo alla nuova tangenziale meridionale esterna la quale, scartando il quadrangolo romano, prese ad attraversare borghi del versante sud raccordandoli con la strada per Pavia e con il lato parmense della Via Aemilia; il tracciato di questa nuova bretella suburbana (attuali vie Garibaldi, S. Antonino e Scalabrini) garantì una più diretta saldatura tra le strade valligiane e le antiche vie consolari ad ovest e ad est della città, e finì per coincidere con il percorso urbano della Via Francigena».

Tiziano Fermi, filologo medievalista dell’Archivio della Cattedrale, ha ricordato il compianto mons. Domenico Ponzini come ispiratore dei suoi studi e spiegato – attraverso la citazione di documenti («testimonianze, anche commoventi, di vita straordinaria con componenti religiose e spirituali molto forti») – per quale ragione nel territorio diocesano di Piacenza e Bobbio rientrino zone di province limitrofe, in particolare Parma (valli Taro e Ceno) e Genova. Nell’Archivio della Cattedrale di Piacenza ci sono 11 chartae private provenienti dalla Val Ceno, in particolare dalla pieve di San Pietro in Varsi, che testimoniano una politica patrimoniale da parte di questo centro episcopale che volle acquisire terreni nelle zone circostanti. Altro esempio citato, il più antico documento pubblico, il diploma del re longobardo Ilprando del 744, che confermava e assicurava al vescovo Tommaso il controllo sui monasteri della diocesi, tra i quali c’erano anche quelli di Tolla e di San Michele di Gravago, in Valtaro.

In chiusura il dott. Comolli ha spezzato una lancia per il turismo escursionistico di cammino («molto diffuso e accettato»), posto l’accento sulla nostra posizione geografica «che ci ha reso persone tradizionalmente ospitali, un’ospitalità verso i pellegrini che si è tradotta in ostelli, alberghi, osterie, fonti di una ricchezza gastronomica che ci è tuttora invidiata» e lanciato un’idea: «Perché non segnare con pietre d’inciampo il percorso piacentino della Via Francigena? Così chi viene, sa dove andare».

GLI AUTORI – Il Taccuino di viaggio delle Vie Romee nella tratta Piacenza è stato scritto a più mani. Ecco l’elenco degli autori: Adelaide Trezzini, Annamaria Carini, Tiziano Fermi, Manrico Bissi, Paolo Buscarini, Marco Corradi, Anna Maria Riva, Carlo Francou, Ettore Cantù, Silvio Barbieri, Mauro Steffenini, Riccardo Rocca, Sergio Efosi, Pietro Chiappelloni, Umberto Battini, Giacomo Nicelli, Domenico Ferrari Cesena, Giuseppe Noroni, Alessandra Toscani, Giampietro Comolli, Confagricoltura Piacenza. Disegni dell’illustratore piacentino Sergio Anelli.




La grande Esposizione di Piacenza del 1908 al centro di un convegno

Bilancio estremamente positivo per il convegno del Comitato di Piacenza dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, tenuto sabato 9 ottobre presso Palazzo Rota Pisaroni, messo a disposizione dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano.

Un pubblico numeroso ha seguito e ascoltato con interesse una numerosa messe di ricerche dedicate alla grande Esposizione di Piacenza del 1908, la manifestazione tenuta per festeggiare l’inaugurazione del nuovo ponte stradale sul Po.

È l’occasione per approfondire quella che fu la transizione fra Ottocento e Novecento nelle sue implicazioni sociali, politiche ed economiche: per questo il titolo del convegno è appunto “Piacenza dal Risorgimento al futuro: l’Esposizione del 1908”.

Dopo i saluti del presidente ISRI Pietro Coppelli e del direttore dei Musei Civici Antonio Jommelli, coordinati dal giornalista Ippolito Negri si sono susseguiti ben nove relatori. Il prof. Matteo Sozzi, docente del Liceo “Gioia”, ha illustrato in modo approfondito il quadro culturale e sociale nel quale si inseriva la manifestazione; la dr.ssa Anna Riva, direttrice dell’Archivio di Stato, ha riferito sulle fonti d’archivio mentre l’architetto Marcello Spigaroli ha indagato le modifiche urbanistiche conseguenti alla inaugurazione del ponte.

Successivamente la prof.ssa Maria Giovanna Forlani sul tenore Tamagno e il suo rapporto con Piacenza, l’ing. Augusto Bottioni sulle manifestazioni sportive dell’epoca, il dr. Filippo Lombardi sulle medaglie e i distintivi commemorativi emessi per l’occasione, la dr.ssa Isabella Dordoni sulla partecipazione della Croce Rossa, il colonnello Massimo Moreni sulle attività dei Pontieri nel 1908 e infine il colonnello David Vanucci con quello che fu il “prequel” dell’apertura di Piacenza al mondo moderno, la venuta di Buffalo Bill e del suo famoso circo nel 1906.

La pubblicazione e la presentazione degli atti è prevista in un prossimo incontro nei primi mesi del 2025.




La storia di Piacenza raccontata attraverso le targhe pubbliche del centro storico

Pubblico delle grandi occasioni al PalabancaEventi (Sala Corrado Sforza Fogliani), per la presentazione del libro “SCRIPTA MANENT. La storia di Piacenza raccontata dalle targhe pubbliche della città”. Il testo, curato dall’arch. Manrico Bissi e pubblicato dalla Banca di Piacenza, offre una puntuale rassegna di tutte le iscrizioni affisse dall’età romana fino ad oggi sui muri e sui monumenti onorari della nostra città. La descrizione delle targhe, fotografate da Maria Paola Sforza Fogliani, non è soltanto tecnico-materica, ma soprattutto storica: il libro, ampiamente documentato, restituisce infatti l’inquadramento delle epoche e delle soglie culturali nelle quali fiorirono i personaggi celebrati nelle diverse iscrizioni. Di fatto, il libro di Bissi si configura come una vera e propria “Storia di Piacenza”, raccontata tuttavia in modo originale e inedito: quasi una sorta di “Spoon River”, nella quale la narrazione della comunità è affidata alla voce di lapidi, targhe e iscrizioni ancora oggi visibili nelle vie della città.

Testimonianze concrete, che tuttavia – ha sottolineato l’autore – subiscono ogni giorno silenziose minacce alla loro integrità. Tra queste si deve considerare in primis l’esposizione secolare alle intemperie, che lentamente corrodono le pietre rendendone illeggibili le iscrizioni: è questo il caso, ad esempio, di una data medievale originariamente incisa sulle pietre cantonali di Palazzo Landi (Tribunale), ormai illeggibile ma di cui Bissi ha recuperato e pubblicato una fotografia risalente agli anni Sessanta, nella quale il testo era ancora distinguibile.

Altro nemico delle memorie epigrafiche – ha osservato il relatore, presentato da Emanuele Galba dell’Ufficio Relazioni esterne della Banca – è il deficit di conoscenza della lingua latina (ormai dilagante anche nelle scuole liceali), dal quale dipende l’incapacità di leggere anche solo sommariamente la quasi totalità delle epigrafi onorarie realizzate dall’età romana fino al pieno Settecento: si pensi, nel merito, alla grande lapide napoleonica sotto al Palazzo del Governatore, oppure alle iscrizioni poste alla base delle statue equestri farnesiane di piazza Cavalli.

Il libro di Manrico Bissi costituisce una sorta di antidoto culturale alle minacce di oblio: grazie alla sua pubblicazione, le future generazioni potranno infatti leggere i testi delle oltre cento iscrizioni che vi sono catalogate, anche se queste fossero state nel frattempo aggredite dal passare del tempo. L’obbiettivo di fondo di questo libro è quindi la costruzione di una memoria civica condivisa, che sappia indicare alla comunità del presente gli esempi positivi dei predecessori divenuti celebri per i loro meriti culturali, sociali e patriottici. Il tutto in piena coerenza con la famosa lezione ciceroniana, secondo la quale la “Storia è maestra di vita”.

«Non è quindi un caso – ha concluso l’arch. Bissi – che il promotore e ispiratore di questo libro sia stato proprio l’indimenticato presidente Corrado Sforza Fogliani, che per primo ebbe l’idea di una rassegna storica di tutte le targhe onorarie di Piacenza: città che egli amava dal profondo del cuore, e verso la quale sentiva un fortissimo impegno e senso di responsabilità culturale. Salvaguardare la memoria storica di Piacenza era, per il Presidente, un dovere irrinunciabile al quale non si è mai sottratto, e questo libro è stato il suo ennesimo contributo al patrimonio della nostra città».

In apertura di serata il giornalista Emanuele Galba ha ricostruito la genesi del volume. «Un giorno – ha raccontato – il presidente Sforza mi chiamò nel suo ufficio e mi mostrò la stampa di una serie di fotografie delle iscrizioni che ancora oggi possiamo leggere sui muri del nostro centro storico scattate dalla figlia Maria Paola. “Si potrebbe fare un libro”, mi disse. Chi ha collaborato con lui sapeva che il ‘potrebbe’ corrispondeva a ‘dobbiamo’. Convenimmo che la persone più indicata per realizzare un volume di quel genere fosse appunto l’arch. Bissi, a cui affidammo il compito. Il presidente di Archistorica accettò con entusiasmo che si è tradotto in questo che è un vero e proprio libro di storia di Piacenza raccontata in modo inedito, con l’ambizioso obiettivo – raggiunto – di scongiurare il rischio della perdita della memoria storica collettiva rendendo molto più agevoli e immediate la conoscenza e la trasmissione di quei ricordi che sono patrimonio dell’intera comunità».

A tutti gli intervenuti è stata riservata copia del volume.

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Successo per la festa dell’anolino di Trevozzo

Grande successo per la terza edizione della Festa dell’Anolino di Trevozzo che ha sfidato il tempo avverso e ha riunito in due giorni sotto il tendone del centro polivalente della frazione di Alta Val Tidone oltre 2000 persone, tra buon cibo, musica e solidarietà. Con l’organizzazione della Pro Loco d Strà e Trevozzo guidata dal presidente Luca Cassi, la riuscita manifestazione ha messo in tavola oltre due quintali del re della tavola piacentina, l’anolino, ma anche tante altre prelibatezze ed eccellenze culinarie. “Voglio ringraziare tutti i nostri volontari che hanno messo cuore e passione nella preparazione di questo evento” sottolinea Luca Cassi che ha consegnato, a nome del sodalizio, una targa “al volontario Stefano Fulgoni, ideatore e motore di questa festa”.
Una due giorni di buona, ottima cucina, di musica e convivialità ma nella quale non è mancata la solidarietà. Su iniziativa della Pro Loco di Strà e Trevozzo, infatti, è stata organizzata una raccolta fondi a favore dell’Hospice di Borgonovo a cui hanno aderito tante realtà associative del territorio, permettendo di raggiungere il contributo di 5000 euro. Oltre alla Pro Loco di Strà Trevozzo, hanno partecipato alla raccolta quelle di Sala Mandelli, Curte Neblani, di Pecorara, di Busseto, di Cicogni, l’Associazione Asd Marciatori Alta Val Tidone, il Mulino Lentino, il Sentiero del Tidone, la pro loco di Trebecco e di Montemartino.
“Grazie allo straordinario impegno e alla passione dei volontari, che nel nostro Comune sono oltre 500, in questi due anni sono stati raccolti oltre 20mila euro per attività e progetti sociali, oltre a quelli generosamente donati da privati. E’ sintomo di una comunità coesa e solidale, pronta ad aiutare il prossimo. Non posso che ringraziare Luca Cassi e la Pro Loco di Strà Trevozzo come tutte le altre associazioni e pro loco che hanno voluto partecipare, alle quali indistintamente l’Amministrazione comunale fornirà sempre il massimo supporto possibile”. Così è intervenuto durante la festa Carlo Fontana, consigliere comunale delegato al rapporto con le associazioni che ha ricordato come il contributo di 5000 euro servirà all’Hospice per implementare il servizio di supporto psicologico ai pazienti, passando da due a tre giorni a settimana.




«Troppo potere ai Governi. In Parlamento si ha la sensazione di essere lì a scaldare la sedia»

Descrivere dal di dentro il funzionamento del nostro Parlamento, o meglio il malfunzionamento dello stesso e della politica in generale. È l’obiettivo che si è dato Carlo Cottarelli con la sua ultima fatica editoriale “Dentro il Palazzo, cosa accade davvero nelle stanze del potere” (Mondadori), presentato al PalabancaEventi per iniziativa della Banca di Piacenza e di Arca Fondi SGR.

In una Sala Corrado Sforza Fogliani gremita, l’illustre ospite ha raccontato la sua esperienza da senatore (eletto con il Partito democratico nell’ultima tornata elettorale) durata solo otto mesi e ha ricordato i giorni passati al Quirinale da Presidente del Consiglio incaricato per risolvere una crisi istituzionale senza precedenti dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018: argomenti che formano le due parti nelle quali è diviso il libro.

A fare gli onori di casa il direttore generale della Banca Angelo Antoniazzi, che ha introdotto gli ospiti (il vicedirettore di Arca Fondi SGR Simone Bini Smaghi e l’economista cremonese, di cui ha ricordato le esperienze al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca d’Italia; attualmente dirige l’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica, dove insegna) e concluso con una domanda al prof. Cottarelli relativamente al fatto che i programmi presentati dai partiti quando ci sono le elezioni sembrano più suggeriti da esperti di marketing piuttosto che da visioni di uno statista. «I programmi elettorali – ha risposto l’ex senatore – sono pieni di promesse che poi non possono essere mantenute, e questo toglie interesse ai programmi stessi. Chi vince le elezioni, infatti, poi si accorge che i soldi non ci sono; ma non è complicato vedere prima che spazi ti concede la finanza pubblica. L’unico disegno di legge che ho presentato durante i miei otto mesi al Senato riguardava proprio l’introduzione dell’obbligo per i partiti di indicare dove prendevano i soldi. Una proposta di cui non è stata avviata nemmeno la discussione».

Attraverso le domande del dott. Bini Smaghi, l’autore ha illustrato la prima parte del volume. Perché si è dimesso? «Non ero molto felice per quello che stavo facendo. Avevo l’impressione di essere lì a scaldare la sedia. Nel Pd, poi, la situazione era cambiata. Ero stato eletto come indipendente e avevo scelto quel partito sulla base di un documento sui valori del 2018 che nel 2023 sono cambiati, spostandosi a sinistra. Mi è stato proposto di cambiare casacca, ma non mi è sembrato giusto e ho lasciato il posto al primo dei non eletti. Abbandonare il Parlamento non è però così semplice: devi dimostrare di andare a fare qualcosa di rilevante, altrimenti le dimissioni non te le accettano. Allora con la Cattolica abbiamo studiato il progetto PESES (Programma di Educazione per le Scienze Economiche e Sociali); nel primo anno siamo andati in 165 scuole a ridare fiducia a insegnanti e studenti attraverso la partecipazione di personaggi di primo piano, tra i quali cinque ex Presidenti del Consiglio, da Amato e Monti, a Draghi; abbiamo ora aperto il secondo anno e le domande sono già arrivate a 200».

Un’esperienza, quella a Palazzo Madama, archiviata dunque da Cottarelli come non esaltante: «L’unica cosa buona è lo stipendio – ha rimarcato -. Il problema fondamentale è che nel corso degli ultimi 15 anni il potere del Parlamento si è ridotto rispetto a quello del Governo. E se il Parlamento perde peso, se sei in maggioranza sei lì a prendere ordini dai tuoi capi-partito a cui devi la tua elezione, con la legge elettorale attuale senza preferenze; se sei in minoranza, fai opposizione per partito preso. Capite che la demotivazione è massima». I segnali principali della sempre maggior prevalenza del potere esecutivo? Per l’autore di “Dentro il Palazzo”, l’abuso nell’utilizzo dei decreti legge, l’eccessivo ricorso al voto di fiducia, l’uso della legge delega, l’atto in cui il Parlamento delega appunto il Governo a scrivere le leggi («prassi pericolosa anche perché i principi entro i quali muoversi che detta il Parlamento sono sempre più vaghi, come è capitato sulla legge delega sul Fisco che ha permesso al Governo di emanare 10 decreti legge»).

Tornando ai costi della politica sollecitato dal dott. Bini Smaghi, il prof. Cottarelli ha snocciolato qualche cifra: i nostri parlamentari guadagnano circa 3-4mila euro in più dei colleghi francesi, tedeschi e spagnoli e se è vero che il cedolino dello stipendio base è di 4.500 euro netti al mese (come dichiarato da Fassino) a entrarti in tasca – considerando le varie indennità – sono in realtà 12mila euro netti al mese, senza contare i vari benefit come i viaggi gratis in treno e in aereo (anche non per motivi di lavoro) o la carta di credito che come la inserisci avvia il pagamento senza chiederti nessun codice («la cosa che mi manca di più», ha scherzato l’ex senatore).

Altro argomento toccato, l’astensionismo. «Problema molto serio – ha sottolineato l’economista – perché denota il senso di sfiducia generalizzato nei cittadini. Nel libro ci sono 14 proposte di riforma del sistema politico-parlamentare che potrebbero attenuare questa sfiducia. L’importanza di andare a votare, che ricordo è un obbligo, andrebbe insegnata nelle scuole».

Nella seconda parte del volume, come già accennato, si racconta l’esperienza di presidente del Consiglio incaricato vissuta da Cottarelli nel 2018. Dopo il voto (nessuno aveva vinto) Lega e 5Stelle si accordarono per formare un governo. Sorse però un problema sulla scelta del ministro dell’Economia nella persona di Paolo Savona, considerato a capo dei no-euro. Un nome sul quale Mattarella mise il veto. Si aprì quindi una crisi istituzionale senza precedenti e il Presidente della Repubblica diede l’incarico a un tecnico di formare un Governo che portasse il Paese a nuove elezioni: Carlo Cottarelli. «Una sera ero a casa e mi accingevo a prepararmi un piatto di lenticchie, quando squillò il telefono: “Buonasera prof. Cottarelli, le posso passare il presidente Mattarella? Tutto iniziò così. L’indomani presi il treno per Roma. Al mio arrivo alla stazione constatai che non c’erano auto blu ad attendermi (forse perché qualche tempo prima avevo chiesto la loro abolizione?); presi allora un taxi che mi portò al Quirinale. Per quello che mi presentai con il trolley (un’immagine che ha fatto il giro del mondo, ndr), mica potevo lasciarlo al taxista. Dopo il primo colloquio con il Presidente accettai con riserva e il giorno successivo ero pronto con la lista dei ministri, leggendo la quale avrei sciolto la riserva stessa. Ma era successo che i mercati finanziari, nel timore di nuove elezioni, erano impazziti e lo spread era salito di 100 punti toccando quota 300. Mattarella mi domandò se era il caso di andare avanti; gli risposi di no, perché non avrei mai ottenuto la fiducia del Parlamento e il mio Governo avrebbe potuto gestire solo l’ordinaria amministrazione e in quelle condizioni non si può gestire una crisi finanziaria. Dissi al Presidente che era necessario convincere i giallo-verdi a scendere a un compromesso, abbandonando il nome di Savona. La mattina del 31 maggio il Quirinale mi chiamò: si era aperto uno spiraglio, Conte stava arrivando a Roma. Tornai quindi al Colle a restituire l’incarico per far partire il Governo Conte. Mattarella mi ringraziò con queste parole: “La Repubblica è in debito verso di lei”».

L’incontro si è concluso dopo un ampio dibattito nel quale si è dato spazio alle domande degli intervenuti ai quali – fino ad esaurimento – è stata consegnata copia del volume con precedenza ai Soci e ai Clienti prenotati.




Anche a Piacenza sbarca #SicurezzaVera, un progetto di Fipe Confcommercio che promuove la sicurezza delle donne

E’ stato presentato questa mattina Piacenza, nella suggestiva cornice della Cappella Ducale di Palazzo Farnese, il progetto #SicurezzaVera, un’iniziativa di Fipe Confcommercio, in collaborazione con la Polizia di Stato, che mira a diffondere la cultura di genere e a promuovere la sicurezza delle donne attraverso una rete capillare di pubblici esercizi. L’idea alla base del progetto è quella di trasformare bar, ristoranti e altri locali pubblici in veri e propri presidi di sicurezza per le donne, offrendo supporto alle vittime di violenza di genere e contribuendo alla prevenzione.

Dopo i saluti istituzionali portati dal sindaco di Piacenza Katia Tarasconi e quelli di Raffaele Chiappa, presidente di Confcommercio Piacenza Roberto Carbonetti, presidente di Fipe provinciale ha introdotto il tema dell’incontro che ha visto gli interventi di  Simona Marinai, vicepresidente del Gruppo Donne Imprenditrici di Fipe-Confcommercio, Donatella Bertolone, presidente del Gruppo Donne Imprenditrici di Fipe-Confcommercio Vercelli, Paolo Ferri, commissario capo della questura di Piacenza, divisione anticrimine, Alberto Mariani, preside dell’Istituto Raineri Marcora e Nicoletta Mazzari, Gruppo Donne Fipe Piacenza.

Come già avvenuto in altre città si vorrebbe fare in modo che i pubblici esercizi divengano luoghi sicuri, dove il personale, formato adeguatamente, sia in grado di riconoscere situazioni di pericolo e offrire un primo supporto a donne vittime di violenza, attivando, se necessario, l’intervento delle forze dell’ordine.

Questo approccio, che punta a una diffusione capillare della cultura di genere, non è un caso isolato. In altre città italiane il progetto ha già preso piede con risultati incoraggianti e gli esercenti stanno seguendo corsi di formazione specifici per diventare “sentinelle” contro la violenza sulle donne, unendo le forze con la Polizia di Stato. #SicurezzaVera rappresenta un passo concreto verso una rete di protezione più ampia, che coinvolge tutte le realtà locali per garantire maggior sicurezza e sostegno alle donne, mettendo a frutto la collaborazione tra istituzioni, forze dell’ordine e attività commerciali nel contrastare la violenza di genere, facendo sì che ogni angolo delle città diventi un luogo sicuro.




Lo stilista Ettore Bilotta ha scelto Piacenza come sede del suo nuovo atelier

Si è recentemente svolto nella meravigliosa cornice di Palazzo Anguissola da Grazzano l’evento di inaugurazione del nuovo atelier di Ettore Bilotta, fashion designer con esperienze internazionali, che ha scelto di proseguire la sua attività proprio tra le stanze di questa prestigiosa dimora storica di Piacenza.

Gli ospiti, eleganti signori e signore di Piacenza, oltre ad appassionati di moda, operatori del settore, amici ed estimatori di Ettore Bilotta, hanno avuto l’opportunità di ripercorre la carriera dello stilista vedendo esposta, sulla meravigliosa scalinata del palazzo, una selezione di abiti rappresentativi di decenni della sua attività creativa.

Durante l’esclusivo evento, accompagnato dalle note magistralmente eseguite da Carmine Padula, compositore e direttore d’orchestra ed Eduardo Caiazzo, violinista, hanno sfilato i capi dell’ultima collezione di Ettore Bilotta, ispirata proprio alla città di Piacenza, da lui paragonata a Roma e che sente maestosa come una capitale.

Raffinate modelle hanno indossato abiti per occasioni speciali, realizzati con tessuti pregiati e rigorosamente su misura. Sete, tulle, velluti, chiffon, opulenti ricami, pizzi chantilly, impreziosiscono i capi, sapientemente modellati per valorizzare la femminilità e l’eleganza della donna.

Non sono mancati gli abiti da sposa, tra le prime passioni dello stilista e ancora oggi parte integrante della sua produzione.

L’emozione e l’entusiasmo di tutti hanno accolto Ettore Bilotta alla fine del defilé, che ha ringraziato di nuovo la città di Piacenza, nuova casa e fonte d’ispirazione.

Chi è Ettore Bilotta

Dopo la maturità, inizia nel 1984 gli studi di fashion design presso lo IED di Roma. Dal dicembre 1984 al novembre 1988 inizia la sua prima collaborazione come stilista in un’azienda di abiti da sposa, la “Radiosa”. Nell’ottobre 1988 si trasferisce a Zurigo, lavora per la GVL, prêt-à-porter, e nel 1992 a Milano da Raffaela Curiel dove inizia ad apprendere la “Haute Couture”. Torna poi a Roma e collabora con “ Pino Lancetti “. Contattato da una Buyer del mondo arabo si dedica alle creazioni di collezioni Haute Couture e Sposa per la maggior parte degli anni ’90 e i primi anni 2000. L’esperienza con il mondo arabo gli permette di essere selezionato nel 2003 come designer dell’immagine delle divise per la prima compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Uniti “ Etihad Airways “, che inizia a volare per la prima volta nel novembre 2003. Nel 2004 crea la sua prima collezione di Haute Couture ispirata allo “Jugendstil”, poi seguiranno le “Ninfe”, la collezione dedicata a “Maria Antonietta” e ancora la collezione “Acqua”. Seguiranno molte altre collezioni che hanno sfilato nel calendario romano. Nel 2006 la prima collezione di abiti da Sposa “ Shewhite ” proposta a Milano alla fiera di settore “Si Sposa Italia”. Nel 2008 firma il restyling delle Uniformi Storiche della Guardia di Finanza. Insegnante dal 1999 al 2003 di illustrazione e fashion designer presso lo IED di Roma e l’Istituto di Design di Napoli.

Nel 2013 viene richiamato da Etihad Airways per ridisegnare la nuova immagine delle divise della compagnia aerea. Seguiranno Alitalia nel 2015, Turkish Airlines 2017 e nel 2023 Kuwait Airways. Oggi disegna collezioni di Haute Couture, collezioni Sposa e Prêt-à-porter.

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