Legambiente: “Ben venga la raccolta differenziata puntuale a Piacenza”

Nei giorni scorsi sono state sollevate varie critiche al nuovo sistema di raccolta puntuale dei rifiuti a Piacenza. In città sono state segnalate molte criticità con rifiuti abbandonati per strada.  L’opposizione in consiglio comunale all’unisono (Alternativa per Piacenza, Centro Destra e Liberali) ha chiesto la convocazione della Commissione 4 per audire i vertici di Iren Ambiente e Atesir e i tecnici delle società proprio su questo tema. Intanto Legambiente Piacenza – circolo Emilio Politi, ha diffuso un comunicato con cui difende questa nuova modalità di raccolta.

Questo il testo. “A seguito del recente avvio della fase transitoria del nuovo sistema di raccolta differenziata da parte di IREN e dell’Amministrazione comunale a Piacenza, come Legambiente riteniamo importante ricordare che tale sistema di raccolta porta a porta a tariffa puntuale è la base fondamentale per dare un ulteriore stimolo alla differenziazione dei rifiuti e alla loro riduzione, insieme alla riduzione degli imballaggi al riuso ed al riciclo.

È quindi un passo in avanti, assolutamente positivo, che chiediamo da anni e che appoggiamo, anche considerando la necessità di allinearci con i capoluoghi e comuni più virtuosi dell’Emilia Romagna, ben 111 al 2023, che da anni la applicano.

Ovviamente, come tutti i cambiamenti, richiede un impegno iniziale da parte di tutti, sia nel differenziare correttamente i materiali, soprattutto la raccolta dell’umido che ancora troppi pochi cittadini fanno, sia nel correggere le criticità che si presentano.

Una cosa è certa, nel tempo i risultati si vedono e ce lo dicono proprio quei comuni e città dove da tempo il sistema è applicato, come i 6 Comuni del piacentino, Podenzano, San Giorgio, Cortemaggiore, San Pietro in Cerro, Carpaneto e Sarmato, tutti tra l’80 ed il 90% di RD, o Reggio Emilia all’83% e Ferrara all’87,9%

Le tariffe si abbassano, facendo ottenere un risparmio in bolletta, nel tempo diminuisce la spesa dei rifiuti anche per il Comune, migliora la qualità dei materiali differenziati e si va nella direzione di quell’economia circolare che è la chiave per diminuire i rifiuti di cui Piacenza è grande produttrice con 824 Kg a testa (CRF Rapporto Ecosistema Urbano 2024).

Certo la transizione al nuovo sistema può creare certamente qualche iniziale problema e quindi occorre assumere adeguati correttivi, tenendo nel giusto conto i suggerimenti dei cittadini.

Sul tema dell’utilizzo dei bidoncini dell’indifferenziato ad esempio, che sta creando tanta discussione in città, è questione sia di abitudine da parte dei cittadini che di organizzazione nella raccolta da parte del gestore e del Comune. Il rifiuto indifferenziato prodotto può essere davvero poco se ci si abitua a smaltire correttamente i materiali, ed il tema dei pannolini può essere risolto attraverso il bonus ‘svuotature’ aggiuntivo.

E’ comunque necessario ed opportuno, per superare le criticità legate a questo cambio di passo nel differenziare, aumentare gli sforzi da parte dell’Amministrazione e di IREN sia nell’informazione, anche a livello di quartiere e parrocchie, circoli, oltre a dépliant e spot, sia nell’attuare i correttivi necessari nel periodo di transizione, ascoltando le criticità iniziali evidenziate dai cittadini.

Un grande aiuto a risolvere il tema della raccolta dell’indifferenziato fatta dagli utenti deboli come gli anziani o del decoro rispetto all’esposizione dei bidoncini in strada è certamente la predisposizione di ecoisole nei vari quartieri, come già fatto a Parma, dove poter conferire, con la tessera, l’indifferenziato direttamente, senza doverlo esporre per strada nei giorni di ritiro, aumentando pertanto la flessibilità per i cittadini.

Un ruolo poi altrettanto importante lo giochiamo noi come Piacentini attraverso la nostra

disponibilità al cambiamento di consolidate abitudini e tanto senso civico, nella consapevolezza che il maggior impegno, soprattutto iniziale, verrà compensato sia da una minore spesa nella bolletta familiare sia dai benefici alla città ed all’ambiente attraverso la riduzione dell’inquinamento che i rifiuti provocano, sia che siano abbandonati sia che siano conferiti in discariche o inceneritori, permettendone così il riciclo.

Siamo certi che la strada finalmente intrapresa porterà frutti positivi se tutti, cittadini gestore ed Amministrazione, collaboreremo insieme alla sua realizzazione”.

 

 




Anche a Piacenza da martedì 21 gennaio sarà attivo il 112, il Numero Unico Europeo per le emergenze

Seconda tappa per il Numero Unico Europeo di Emergenza 112: da martedì 21 gennaio sarà attivo nei distretti telefonici di Parma, Fidenza, Fornovo di Taro (PR) e Piacenza.

Dopo l’avvio, lo scorso 3 dicembre, per i distretti telefonici con prefisso 051, che coinvolge prevalentemente la parte settentrionale della Città metropolitana di Bologna e il comune di Cento (FE), e 0534, che interessa per lo più l’area di Porretta Terme, sempre nel bolognese, prosegue il percorso di attivazione del Numero Unico Europeo di Emergenza 112, che sarà completato in tutta l’Emilia-Romagna entro il 1° aprile 2025.

Nei primi 40 giorni di operatività, nei due distretti telefonici dove è già attivo sono quasi 62mila, esattamente 61.950, le telefonate complessive ricevute, con una media giornaliera di 1.549, e un tempo medio di risposta al cittadino di 2,6 secondi.  Il 37% (23.220), hanno riguardato attività ed eventi non inerenti ad emergenze: gli operatori hanno così liberato le centrali di secondo livello da chiamate che non richiedevano interventi urgenti. 38.735 telefonate, invece, sono state inoltrate alle centrali di secondo livello: di queste, 17.521 riguardavano emergenze sanitarie, 11.337 i Carabinieri, 7.224 la Polizia e 2.653 i Vigili del Fuoco.

Il NUE, infatti, è il numero di telefono che permette, componendo il 112, di richiedere l’intervento della Polizia, dei Carabinieri, dei Vigili del fuoco, del Soccorso sanitario e del Soccorso in mare. La sua introduzione, con tempi diversi sull’intero territorio nazionale, recepisce la direttiva dell’Unione europea finalizzata ad armonizzare i servizi di emergenza e a permettere a chiunque si trovi sul suolo europeo di effettuare chiamate di emergenza componendo un unico numero di telefono valido in tutti gli Stati membri.

“Per il complesso sistema dell’emergenza- sottolinea l’assessore regionale alle Politiche per la salute, Massimo Fabi- il Numero Unico Europeo 112 è un passo avanti a servizio dei cittadini. L’attivazione in Emilia-Romagna sta procedendo secondo il cronoprogramma previsto, e i primi risultati sono positivi: le risposte sono ancora più veloci e precise e il sistema permette di migliorare il lavoro degli operatori. Ciò grazie all’ottimo lavoro di squadra portato avanti da tutte le istituzioni coinvolte nel progetto: Regione, Prefettura di Bologna, Prefetture e Questure regionali, articolazioni regionali e provinciali dei Carabinieri, dei Vigili del Fuoco, della Polizia Stradale, della Capitaneria di Porto e il Servizio 118, che ringraziamo”.

I primi risultati del Numero Unico Europeo di Emergenza 112

Esaminando ulteriormente i numeri dei primi 40 giorni di attività nei due distretti telefonici dove è attivo – che contano circa un milione di persone presenti sul territorio nelle ventiquattro ore tra residenti, lavoratori e persone di passaggio – nei momenti di picco, tra le 18 e le 19, il 112 ha ricevuto mediamente 110 chiamate all’ora, mentre tra le 3 e le 4 di notte, fascia oraria con meno richieste, le telefonate sono state 30 all’ora. Dati che generano circa 1.600 chiamate al giorno: quando il numero sarà a regime su tutto il territorio regionale, saranno circa 7mila le telefonate giornaliere, come era stato preventivato in fase di progettazione.

Il calendario delle prossime attivazioni

Entro il 1°^ aprile 2025 il Numero Unico Europeo di Emergenza sarà attivo su tutto il territorio regionale. Dal 4 febbraio 2025 sarà attivato nei distretti telefonici di Rimini, Forlì e Cesena; dal 18 febbraio 2025 nel distretto telefonico di Reggio Emilia; dal 4 marzo 2025 nei distretti telefonici di Ferrara, Comacchio (FE) e Lugo (RA); dal 18 marzo 2025 nei distretti telefonici di Modena, Mirandola e Sassuolo (MO); infine, a partire dal 1° aprile 2025 il servizio sarà attivo nei distretti telefonici di Imola (BO), Ravenna e Faenza (RA).

Cos’è il NUE

Il NUE 112 non sostituisce, ma si affianca e si integra con gli attuali numeri di emergenza nazionali (112, 113, 115, 118 e 1530), che continuano a restare attivi: i cittadini possono chiamare il 112 per qualsiasi tipo di emergenza, oppure continuare a comporre i diversi numeri abituali.

La centralizzazione delle chiamate assicura, dal punto di vista organizzativo e operativo, una gestione coordinata e integrata tra le diverse forze coinvolte, la tracciabilità della chiamata, la risposta multilingue e l’accesso alle persone con disabilità, anche dell’udito.

Il modello organizzativo messo a punto dalla Regione Emilia-Romagna, in collaborazione con il Ministero dell’Interno e i vertici delle Forze dell’ordine e dei Servizi di emergenza coinvolti, prevede che tutte le chiamate effettuate ai tradizionali numeri di emergenza nazionali (112, 113, 115, 118 e 1530) siano convogliate e prese in carico dalle due Centrali Uniche di Risposta (CUR), collocate una a Bologna e una a Parma, a seconda della provenienza della chiamata. Ogni CUR prevede 24 postazioni di lavoro, più 8 di riserva, sulle quali si alterneranno in più turni un totale di 90 operatori tecnici.

Il nuovo sistema di gestione delle chiamate permette alle CUR di ricevere in tempo reale l’identificativo e di localizzare in maniera rapida ed immediata la posizione geografica dell’utente, riducendo il tempo di intervista di chi chiama.




Il presidente de Pascale conferma l’impegno della Regione per il nuovo ospedale di Piacenza

“L’ospedale di Piacenza si farà e sarà un’eccellenza, per la città e per l’Emilia-Romagna. Chi nutre ancora dubbi stia certo: siamo impegnati al massimo perché il ‘quando’ sia il prima possibile, non è più in discussione il ‘se’”.

Il presidente Michele de Pascale, in visita ieri nella nostra città, ha confermato, alla presenza del sindaco, Katia Tarasconi, l’impegno della Regione ad affiancare il Comune per realizzare la nuova struttura ospedaliera. Durante la mattinata, al fianco dell’assessore alle Politiche per la salute, Massimo Fabi, ha anche incontrato gli operatori sanitari: il primo di una serie di appuntamenti previsti nelle strutture sanitarie del territorio per rafforzare la rete di relazioni con le realtà locali.

“La decisione sulla costruzione dell’ospedale è già stata presa, non è un tema di dibattito, c’è l’impegno di Regione e Comune- ha rassicurato de Pascale-. Negli anni scorsi si è giustamente discusso tanto, poi si è fatta una scelta. Tutti i costi saranno coperti”.

Per realizzare il nuovo polo ospedaliero si investiranno complessivamente 296 milioni di euro: 129 di risorse statali, 6,7 di risorse regionali e 160,3 milioni derivanti dal partenariato pubblico privato. De Pascale ha motivato la decisione di coinvolgere i privati nel progetto da un lato con l’esigenza di individuare i finanziamenti necessari a realizzare una struttura all’avanguardia, integrando le risorse pubbliche, dall’altro con la possibilità di responsabilizzare i costruttori. L’operazione economica prevede infatti che chi si aggiudicherà il Ppi realizzi la struttura impiegando anche proprie risorse; il pubblico si impegna ad affidargli la manutenzione della stessa, in modo da retribuire l’investimento iniziale. Nel caso in questione, l’impegno durerà trent’anni.

Chiuso intanto l’avviso pubblico per raccogliere le candidature dei soggetti interessati a partecipare al percorso: il partner sarà individuato entro l’anno, poi si procederà alla progettazione per iniziare i lavori entro il 2029 e concluderli entro il 2032.

Il nuovo ospedale di Piacenza: un’eccellenza per tutta la regione

Il presidente ha chiarito anche le ragioni che hanno portato la Giunta Tarasconi, sostenuta dalla Regione, a modificare il progetto iniziale cambiando anche l’area dove verrà costruito l’immobile: “La pandemia ha indotto a rivedere i modelli di costruzione degli ospedali, preferendo lo sviluppo orizzontale, su più padiglioni, rispetto alle strutture a più piani cui eravamo abituati. Questo semplifica la divisione in compartimenti e l’eventuale isolamento dei reparti. È stato necessario rivedere il progetto anche per l’aumento dei costi delle materie prime, causato dalla pandemia e dai conflitti bellici. Questa logica non vale solo per Piacenza, ma anche per i nuovi ospedali che costruiremo a Cesena e Carpi e per quelli che verranno dopo”.

La Regione ha l’obiettivo di consentire che il 95% delle cure dei cittadini avvenga all’interno di strutture presenti nel territorio provinciale di residenza: tuttavia, ha dichiarato de Pascale, “per il restante 5% di interventi molto specialistici, occorre fare gioco di squadra: perciò ci saranno ambiti in cui Piacenza sarà il centro di riferimento per tutta l’area vasta, così come ci saranno ambiti per i quali saranno specializzati Parma o altri ospedali emiliani”.

Il presidente ha infine evidenziato come sia più facile costruire nuovi ospedali che modernizzare quelli vecchi per ragioni di sicurezza sismica e di efficienza energetica. Per quanto si possa investire, infatti, le strutture con più anni difficilmente potranno essere rese completamente sicure ed efficienti. Le nuove tecnologie con cui si realizzano i nuovi immobili, invece, a fronte di un cospicuo investimento iniziale prevedono risparmi nel lungo periodo sulle spese di gestione.

“I nuovi ospedali sono investimento di lungo periodo per rendere sostenibile e sicuro il sistema sanitario” ha concluso de Pascale.




Borgotrebbia. Denunciati due nordafricani per spaccio

Nel corso delle ultime settimane, alcuni residenti hanno segnalato alla Squadra Mobile della questura di Piacenza una possibile nuova attività di spaccio nel quartiere di Borgotrebbia, condotta da cittadini nordafricani.

Già lo scorso anno la polizia aveva effettuato arresti e sequestri ingenti. Sono cosa stati organizzati appostamenti e, nella mattinata di venerdì 17 gennaio, la zona è stata setacciata da agenti della Mobile e da pattuglie delle Volanti. Vono stati individuati due cittadini nordafricani che si nascondevano nei campi. Uno è stato immediatamente bloccato, mentre il secondo è fuggito lungo l’argine, ma è stato a sua volta fermato.

I due sono stati trovati in possesso di denaro contante provento della giornata di lavoro, diversi telefonini ed un bilancino di precisione, lo stupefacente è stato verosimilmente buttato nei boschi durante la fuga. Si tratta di due cittadini marocchini di 35 e 24 anni, domiciliati in Provincia di Milano e di Ferrara. Entrambi sono stati denunciati per spaccio di sostanze stupefacenti in concorso, ed il questore di Piacenza ha emesso a loro carico il foglio di via obbligatorio da Piacenza.

Il primo dei due, incensurato ed in regola sul territorio nazionale, è stato segnalato all’ufficio immigrazione di Ferrara   per le valutazioni circa la permanenza dei requisiti per il permesso di soggiorno; a carico del secondo invece risultano diversi precedenti per spaccio di stupefacenti ed in più è irregolare sul territorio nazionale. E’ stato messo a disposizione dell’ufficio immigrazione  che ha adottato un  provvedimento di espulsione ed intimato a lasciare l’Italia entro sette giorni, con ordine del questore.




Influenza aviaria: risultato positivo un gatto a Valsamoggia (Bo)

A Valsamoggia (Bo) è stato riscontrato un caso di influenza aviaria in un gatto. L’animale viveva a stretto contatto con il pollame di un piccolo allevamento familiare in cui era già stata individuata l’infezione aviaria che aveva comportato, come previsto dalla normativa, la soppressione di tutto il pollame presente.

La positività nel gatto è stata diagnosticata dalla sede di Forlì dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna e confermata dal Centro di Referenza Nazionale per l’influenza aviaria.

“Nessuna novità e nessun allarme- ha commentato Pierluigi Viale, professore di Malattie Infettive del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università degli studi di Bologna e direttore dell’Unità Operativa di Malattie Infettive del Policlinico Sant’Orsola-. La circolazione dell’influenza aviaria è nota. I gatti sono già descritti dalla letteratura scientifica come animali abbastanza proni a contrarre la ‘bird flu’ e sono diversi i casi registrati di gatti deceduti per l’influenza aviaria negli Usa, in Canada e in Europa. Ma si tratta di gatti soprattutto randagi, da strada, che vivono in contesti rurali e che possono entrare in contatto con materiale organico infetto. Una situazione che non riguarda quindi i nostri gatti domestici che vivono in città o in appartamento”.

Il dott. Giovanni Tosi, direttore della sede dello Zooprofilattico di Forlì, conferma che esistono virus influenzali aviari che possono adattarsi anche ai mammiferi (uomo compreso), ma il rischio di contrarre l’infezione è molto basso ed è legato ad uno stretto e prolungato contatto con volatili infetti. Una situazione che non riguarda quindi gli animali domestici che vivono in città o in appartamento.

Anche per quanto riguarda la sicurezza alimentare, non vi è alcun rischio collegato al consumo di carni avicole e non vi è rischio di infezione per l’uomo, se non in condizioni di stretto contatto con gli animali infetti.

Vista l’eccezionalità dei casi la normativa comunitaria non prevede misure di controllo specifiche per i gatti positivi all’influenza aviaria, ma per la tutela degli animali stessi è raccomandato che siano tenuti isolati sotto il controllo del servizio veterinario della Ausl che effettua la sorveglianza per valutare l’andamento clinico della malattia e seguire il decorso dell’infezione.

Per circoscrivere il virus e impedirne la diffusione sono quindi in corso da parte del servizio veterinario della Azienda Usl di Bologna esami preliminari su prelievi di sangue e tamponi su un altro gatto che conviveva con quello risultato positivo.




Piazza Plebiscito ormai ridotta a parcheggio (nonostante i divieti)

Come abbiamo già avuto modo di documentare con precedenti articoli, a Piacenza alcuni cartelli stradali sembrano avere un valore relativo ed in altre occasioni sono mal posizionati o equivocabili. Un po’ come sembra accadere in piazza Plebiscito, ad una cinquantina di metri proprio dal Municipio di Piacenza. Abbiamo spiegato (leggi qui) come questo luogo porti con sé un “peccato originario” il fatto di essere nato come “avanzo di demolizioni” e non sia invece frutto di un preciso progetto. Per questo, nonostante svariati tentativi, la piazza continua ad essere uno spazio poco vissuto dai piacentini, non sempre ben frequentata, e area sgambamento per cani (essendo l’unica area verde presente in centro storico). Recentemente poi sembra tornata ad essere un parcheggio, come lo fu in passato. Sul lato sinistro della piazza, in precedenza, erano previsti spazi per portatori di handicap ed alcuni posti per il parcheggio della stampa in occasione di conferenze in Municipio. Con l’introduzione dell’APU e l’entrata in funzione delle telecamere la scritta che consentiva la sosta ai giornalisti è sparita (coperta da un adesivo bianco) ma in compenso le auto sono rimaste, anzi sono aumentare. E qui nasce il primo problema legato ai cartelli. Sul lato opposto , di fianco ai chiostri, è presente un inequivocabile cartello di rimozione forzata vigente 24 ore su 24 con la specifica che il divieto vale su tutta la piazza. Peccato però che, a parte qualche multa, rimozioni se ne vedano assai poche e molte delle vetture da noi fotografate (nel corso dei mesi) siano una presenza costante. Sul lato sinistro invece non è presente nessun cartello legato al divieto di sosta. Evidentemente quando è stato coperto quello che consentiva la sosta alla stampa nessuno ha pensato di sostituirlo con uno che esplicitasse la vigenza della rimozione forzata (tranne negli stalli per invalidi). E’ invece presente un cartello (peraltro storto) che indica l’area pedonale con il transito consentito agli invalidi, alle forze dell’ordine e per il carico/scarico (in orari predeterminati). A rigor di logica dunque le auto in sosta che non rientrino in questa categoria dunque dovrebbero essere sia rimosse sia multate per essere entrate in area pedonale. Cosa come non dovrebbero essere tollerate le auto costantemente parcheggiate sui marciapiedi limitrofi.

Come sempre nulla di male ci sarebbe nel decidere che quell’area deve essere destinata a parcheggio, magari al servizio dei locali e negozi circostanti. Sarebbe una scelta, condivisibile o meno. Come sarebbe una scelta quella di mettere mano ad una vera progettazione o riqualificazione di una piazza che anche a Natale ha dimostrato di non funzionare. Qui erano state posizionate una giostrina e le casette in legno delle associazioni. Queste ultime hanno registrato un afflusso di visitatori talmente scarso  che, anche nei week-end sono rimaste, spesso, tristemente chiuse.

La presenza di cartelli non chiari e la mancanza di rimozioni forzate costanti per “educare” i trasgressori, favorisce l’uso di quel luogo come parcheggio e rientra a pieno titolo nella “teoria delle finestre rotte”,  generando cattive abitudini .  Perché le regole, se ci sono, vanno fatte rispettare puntualmente ed appieno. Altrimenti … è meglio toglierle.

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Piazza Plebiscito: un “nonluogo” nato senza essere mai stato progettato

Nonostante i piacentini abbiano in qualche modo imparato anche a volerle bene, si potrebbe dire che piazza Plebiscito è in realtà un “nonluogo”, uno spazio mai realmente pensato e progettato per essere “centro di riunione dei cittadini” (ed oggi trasformatosi in parcheggio, nonostante i divieti – leggi qui).  E’ invece una sorta di “risulta” creatasi in seguito alla sistematica demolizione dei chiostri del convento, avvenuta a partire dall’epoca napoleonica (quando venne soppresso l’ordine religioso). Il chiostro originariamente arrivava, con il convento, su Piazza Cavalli (immagine sotto).

«Per fortuna – spiega la professoressa Valeria Polimentre le  parti cenobitiche (conventuali) sparirono, si riuscì a salvare la chiesa con l’intitolazione a San Napoleone. Ottennero il titolo parrocchiale dalle chiese di San Protaso e San Gervaso. La prima si trovava dove ora c’è il Terzo Lotto, mentre la seconda dove è stato edificato il palazzo della Borsa. La planimetria risalente alla fine del XVIII secolo documenta l’articolazione del convento intorno a tre chiostri, quasi totalmente demoliti, dei quali rimangono solo i lati che delimitano la piazzetta Plebiscito, costituiti dal lato addossato al lato sud della chiesa e dal corpo di fabbrica perpendicolare che si sviluppa fino a via Sopramuro».

Le demolizioni crearono dunque questo “spazio d’avanzo” che non ha una sua logica progettuale: una piazza che non è mai stata pensata come tale. Lo smantellamento dei pochi edifici conventuali sopravvissuti continuò nella prima metà del ‘900 quando venne realizzato il Secondo Lotto (palazzo Inps, costruito fra il 1938 ed il 1940). Alla fine della Seconda Guerra Mondiale venne abbattuta anche la cinquecentesca cappella dell’Addolorata, una sporgenza cilindrica presente sul lato della chiesa che ben si vede (sotto) in un dipinto donato alla banca di Piacenza, nel 2008, dal rag. Pierandrea Azzoni, condirettore dell’istituto di credito.

Durante l’edificazione del palazzo Inps, grossomodo dove ora c’è il gazebo del vicino ristorante, venne approntato un deposito attrezzi nel quale probabilmente veniva conservato anche il gasolio utilizzato dai mezzi di cantiere, come lascerebbe intendere la scritta Agip. Successivamente, nella stessa area, venne costruito un piccolo distributore di carburante che rimase in funzione per svariati anni.

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Via al cantiere per restaurare la facciata del Duomo: durerà 8 mesi

Partirà in questi giorni l’intervento di restauro che interesserà la facciata della  cattedrale e che mira a risolvere importanti criticità evidenziate dalla caduta di materiale lapideo staccatosi in corrispondenza del quadrante superiore destro (il 6 gennaio 2024).

Tale caduta di materiale ha costretto alla parziale recinzione e delimitazione al transito sul sagrato e totale impedimento del passaggio dal portone sud.

La costruzione del Duomo di Piacenza iniziata nel 1122

Il Duomo, la cui costruzione si attesta a partire dal 1122 in varie fasi edilizie fino alla metà del XIII secolo, presenta fronti esterni caratterizzati dal largo impiego di pietra arenaria come materiale di rivestimento, una roccia sedimentaria fortemente soggetta a degrado nei cicli di gelo e disgelo e a causa degli agenti atmosferici in generale.

I restauri cosiddetti “scalabriniani” di fine ’800 hanno modificato intensamente l’aspetto della Cattedrale; a rafforzare il principio applicato nei restauri dell’epoca – cioè il ripristino e la sostituzione – era la mancanza di tecnologie o prodotti che consentissero una maggiore conservazione della materia storica, l’unica strada da percorrere si manifestava quindi nella rimozione di materiale degradato e nella sua sostituzione o invasive ri-lavorazioni. L’intervento ai fronti esterni portò alla più vasta perdita di materiale scolpito, furono sostituiti più di 30 mc di arenarie in facciata e più di 300 ml di marmo veronese sui lati longitudinali, ed utilizzate tecniche invasive di abrasione, scalpellamento, parziale demolizione delle pietre o inserimento di materiali degradabili o non compatibili come ferro ossidabile, cemento, mattoni nuovi.

Gli interventi in facciata si erano resi indispensabili per il grave assetto dei conci e per la presenza di un quadro fessurativo importante soprattutto in corrispondenza del rosone e delle gallerie colonnate.

Inoltre si optò per la rimozione di tutti gli elementi decorativi estranei all’epoca di origine della Cattedrale: vengono eliminati quindi l’orologio e ripristinati i protiri eliminando gli “orpelli” barocchi.

A seguire la facciata fu interessata nel 1975 – a seguito di ulteriori cadute di materiale – da un intervento urgente volto a eliminare le parti pericolanti e transennare il passaggio. A seguire tra il ’78 ed il ’79 vennero svolti lavori di riparazione e consolidamento del rosone e dei baldacchini.

L’intervento di restauro.

Nel mese di febbraio scorso si è provveduto ad un’ispezione ravvicinata con cestello elevatore dalla quale è emersa una situazione di degrado diffuso risultato della vulnerabilità della pietra arenaria (proveniente dalle cave di Pianello e Bobbio), combinata all’azione degli agenti atmosferici. La diocesi si è attivata quindi per l’immediato reperimento delle risorse necessarie all’intervento che complessivamente ammonta a 380.000 €.

Concorrono a copertura della somma fondi derivanti dalla firma dell’8 per mille alla chiesa cattolica e della Fondazione Opera della Cattedrale, oltre a ulteriori risorse si spera arrivino dal MIC e di sponsor privati intenzionati a custodire e  a valorizzare i beni culturali della nostra città.

L’intervento si pone in continuità con quelli effettuati a partire dal 2009-2010 riguardanti i fronti sud, fino ai più recenti restauri delle absidi e della cappella del battistero sul fronte di via Vescovado.

Lo storico degli interventi eseguiti ha portato alla costituzione di un protocollo di intervento testato e verificato in cantiere grazie a numerose indagini svolte su paramenti, malte e tecniche operative. Il cantiere avrà una durata di otto mesi, e oltre agli interventi di consolidamento delle arenarie, comprenderà anche operazioni generali di pulizia dei portali.




Castaldini e Vignali (Forza Italia) interrogano la giunta regionale sui Cau

Due consiglieri regionali di Forza Italia Valentina Castaldini e Pietro Vignali interrogano la nuova giunta regionale per capire quale futuro stia pianificando per i Cau, i pronto soccorsi versione light messi in pista dal precedente assessore Donini.

«Al momento dell’istituzione dei centri – scrive Valentina Castaldini (FI)  – l’allora assessore alla Sanità Raffaele Donini aveva dichiarato che si voleva raggiungere l’obiettivo di un riduzione pari all’80% degli accessi in codice bianco e verde ai pronto soccorso regionali. Negli ultimi mesi i numeri fornitimi dalla Regione attraverso accessi agli atti hanno dimostrato che l’obiettivo prefissato è stato disatteso, la pressione sui pronto soccorso è rimasta pressochè immutata, con riduzioni dell’accesso nell’ordine del 3-5% e nell’odierna edizione del Resto del Carlino l’attuale assessore alle Politiche per la salute Massimo Fabi ha dichiarato, in merito ai Cau: “Chiuderli tutti e investire sui pronto soccorso”».

«Il quadro era chiaro ben prima delle ultime dichiarazioni dell’assessore Fabi – dichiara la consigliera regionale di Forza Italia Valentina Castaldini -. Ormai sono diversi mesi che cerchiamo di mostrare, numeri alla mano, i risultati infelici dei Cau. Gli ultimi dati usciti relativi agli ingressi ai Cau dicono che nei primi otto mesi del 2024 ci sono stati 55.045 accessi ai Cau dell’area bolognese, mentre gli accessi ai pronto soccorso nello stesso periodo sono stati 189.912, per cui gli ingressi complessivi alle strutture di emergenza e urgenza nei primi otto mesi del 2024 sono stati 244.957, quando in tutto il 2023 gli accessi ai pronto soccorso si sono fermati a 200.522. Circa 45mila accessi in più alle strutture pubbliche nel 2024, persone che prima non entravano in ospedale ma si rivolgevano al medico curante, e che per effetto di questa riforma fallimentare si trovano ad affollare gli ospedali. Questi dati mostrano chiaramente che è aumentato il carico sul servizio pubblico, ma per i motivi sbagliati. Troppi pazienti evitano il medico di famiglia e si riversano nei Cau saturando il sistema. Ora però bisogna chiarire alcuni aspetti. Il primo: quale sarà la sorte dei pronto soccorso che erano stati trasformati in Cau, il cui destino occorre definire il prima possibile, in quanto parliamo di territori – quelli montani – molto complessi che chiedono una rapida risposta. Il secondo aspetto da chiarire subito riguarda la strada che la politica intende percorrere in questa regione nel breve e nel lungo periodo, e quali passi fare per raggiungere questo obiettivo: l’amministrazione vuole davvero sostituire i Cau con le aggregazioni funzionali territoriali costituite dai medici di famiglia? In tal caso, il percorso da fare prevede una contrattazione e un dialogo con i medici di base che possono essere anche molto lunghi. Se non fosse già stato intrapreso un lavoro rigoroso, l’uscita dell’assessore Fabi rischia di essere una boutade. Il terzo punto che mi preme sottolineare è la necessità di rimodulare il lavoro che è stato fatto sui Cau. Per esempio, il 116 e il 117 che sarebbero serviti per smistare gli utenti tra Cau e pronto soccorso necessitano di una revisione profonda.

La situazione attuale è il risultato di una gestione che non ha saputo tenere conto delle reali esigenze dei cittadini e delle complessità del sistema sanitario regionale. Serve un cambio di passo deciso e un confronto costruttivo con tutti gli attori coinvolti per evitare che il servizio pubblico si trovi ulteriormente in affanno».

Vignali (FI): Esperienza CAU bocciata anche dalla Giunta

«È necessario – annuncia Pietro Vignali, capogruppo di FI in Regione – lanciare una grande operazione ‘verità’ sui CAU, soprattutto dopo l’uscita pubblica del neo assessore alla salute e della Giunta De Pascale che, platealmente, affossano la riforma Bonaccini sui Pronto Soccorso. A luglio 2023, la Regione, per alleggerire i PS dai pazienti meno gravi, si è “inventata” i CAU, strutture che forniscono assistenza per urgenze di bassa complessità. Già dagli esordi è emerso un macro errore: i primi centri sono stati aperti per sostituire i “piccoli”, ma preziosi, punti di primo soccorso sparsi nelle province e poi, solo dopo mesi, sono stati realizzati nei pressi dei grandi PS».

«Nel libro dei sogni dalla sinistra, – ricorda l’azzurro – il paziente doveva rivolgersi ad un triage telefonico con il “mitico” numero 116117 (annunciato, ma mai attivato) e poi essere smistato al Cau o al PS a seconda della gravità. Invece non è andata così. Se uno si presenta al Pronto Soccorso, ma non è grave non può essere invitato a recarsi al CAU e se un paziente arriva al CAU, ma è grave bisogna impegnare un’ambulanza del 118 per riportarlo nel luogo di cura appropriato. Un vero e proprio giro dell’oca che ha portato alla duplicazione di servizi e, di fatto, non ha alleggerito i pronto soccorsi, ma impiegato molto più personale e ridotto l’emergenza-urgenza nei territori più distanti dai grandi centri».

«Credo – attacca Vignali – che la Giunta De Pascale non abbia bisogno, come dichiarato, di dover aspettare altri 3 mesi per decretare il fallimento di questa esperienza. Bisogna fare retromarcia e dare nuove linee guida. Di soldi spesi a vanvera, ne sono stati sprecati già abbastanza. I Cau funzionano solo dove sono adiacenti ad un PS e diventano una sorta di appendice, un ambulatorio aggiuntivo per gestire i casi meno gravi. Altrove va ricalibrata l’emergenza-urgenza e creato strutture, come auspicato anche dai medici di famiglia, di vera integrazione con i servizi di prossimità e del territorio. Infine, non va dimenticata un’altra grave perversione che questo sistema, creato dalla giunta Bonaccini, ha alimentato. Da un lato la Regione paga molto di più i medici in servizio al CAU rispetto a quelli del PS e dall’altro le Aziende sanitarie inseguono il personale in fuga».

«I professionisti dell’Emergenza-Urgenza – sottolinea il forzista – stanno svolgendo turni massacranti per ridurre al minimo i tagli alle ambulanze ed alcune Ausl, come quelle di Modena e Reggio Emilia, stanno ricorrendo ancora alle cooperative private nei PS, pagando i dottori quasi 2mila euro per singolo turno. Anche per questa ragione, chiederò conto di tutte le spese sostenute per creare e mantenere questi 43 CAU in Regione. Le risorse per la sanità non sono infinite ed è compito di Forza Italia monitorare e vigilare perché non siano più sciupate. Sul caso – conclude Vignali – depositerò una dettagliata interrogazione in Assemblea legislativa».

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Soresi (FdI): “La Raccolta puntuale dei rifiuti a Piacenza è un fallimento”

“La raccolta puntuale, a Piacenza, si sta rivelando un vero e proprio fallimento”, così Sara Soresi, capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio Comunale, a commento delle diverse segnalazioni ricevute dai piacentini negli ultimi mesi.

“I cittadini di ogni frazione e quartiere – osserva la capogruppo – lamentano come il nuovo metodo di raccolta sia organizzato in modo tale da rendere la città più indecorosa e la raccolta dei rifiuti più difficoltosa: a parte le iniziali problematiche collegate alla sostituzione dei vecchi bidoncini con quelli nuovi, ancora oggi permangono diverse criticità che devono essere necessariamente affrontate”.

“In particolare – prosegue Soresi – ogni frazione, quartiere e strada cittadina è ormai invasa da bidoncini esposti lungo i marciapiedi, rendendo difficoltoso il passaggio e, senza dubbio, creando una situazione fortemente indecorosa. Il problema si evidenzia soprattutto là dove sono presenti condomìni, considerando che ogni unità abitativa possiede il proprio contenitore che, conseguentemente, espone poi all’esterno. E così, per esempio, un condominio composto da venti abitazioni, lascerà sul marciapiede prospiciente venti bidoncini. E così, ovunque. Senza contare che, stante le dimensioni più ridotte dei nuovi bidoni rispetto ai precedenti, chi non ha un giardino, un cortile o un balcone, è costretto a tenere i rifiuti all’interno della propria abitazione per una settimana, con conseguenti disagi in termini di ingombro e cattivi odori. Ciò conduce, inevitabilmente, all’abbandono dei rifiuti lungo le strade, i canali ed i marciapiedi; pratica, questa, che, purtroppo, ha subito un drastico aumento proprio negli ultimi mesi”.

“E la situazione – insiste la Consigliera – non può che peggiorare considerando che questi bidoncini sono altresì privi di idonea chiusura: cosa accadrà quando entrerà formalmente in vigore il sistema di “misurazione” dei rifiuti? Si assisterà all’abbandono dei rifiuti nei contenitori altrui?”.

“E’ evidente – conclude Soresi – che così come organizzato questo sistema non funzioni e debba essere rivisto. A tal fine, credo sarebbe utile la convocazione della competente Commissione Consigliare al fine di poter audire i vertici Iren”.

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Sulla sanità in Val Trebbia “tante promesse ma nulla di concreto”

Il Coordinamento provinciale su sanità e medicina territoriale – Associazione “Terme e Val Trebbia” – “Le radici del sindacato”, area congressuale CGIL Piacenza intervengono  attraverso un documento di riflessione sullo stato della sanità in Val Trebbia “alla luce di incertezza tutt’ora presenti sulla sua organizzazione e che non trovano nelle recenti azioni risposte significative”.

Una riflessione che nell’intento dei suoi estensori si spera possa contribuire, da parte dei livelli amministrativi responsabili (Ausl e Regione) “a rendere evidenti e quindi comprensibili alla popolazione della valle  quale assetto dovrà assumere l’organizzazione della sanità sia per quanto riguarda il presidio ospedaliero  che la rete di medicina territoriale”.

Secondo il coordinamento infatti “Negli anni e nei mesi precedenti tante sono state le promesse ma ancora nulla di concreto si riesce a vedere”.

Questo il testo del documento:

«Nell’ottobre 22 (dopo le proteste per l’eliminazione della presenza del medico sull’auto medica e del medico di emergenza al PPI) Bardasi per  Ausl e Donini la Regione garantirono che la funzione del PPI non sarebbe venuta meno. Invece già a dicembre 22 Bardasi conferma la riduzione del PPI alle sole cure primarie. Per l’emergenza-urgenza si va a Piacenza. Il PPI è stato eliminato, spiega Bardasi, perché gli accessi sono pochi e i casi gravi al 5-6%. I casi gravi devono sperare di esser riconosciuti come tali dal “protocollo 118” perché l’auto medica non ha medici a bordo,e sperare di arrivare in tempo giù a Piaceenza.  Per rassicurare la popolazione viene promessa la costruzione della Casa di Comunità nel 2024 e deliberato che l’Osco di Bobbio si sarebbe elevato ad “ospedale di montagna” con un potenziamento delle prestazioni a cominciare dalla disponibilità di una TAC.
Nella recente campagna elettorale per le regionali, molta attenzione è stata dichiarata dai candidati sul potenziamento dei servizi in montagna. Abbiamo sentito annunci e promesse sulla riapertura dei punti nascite, sulla riapertura dei servizi di emergenza/urgenza, su urgenti investimenti nella medicina territoriale.
Nel piano di programma, presentato in questi giorni dalla nuova giunta regionale di parla di potenziare i servizi nelle zone marginali di montagna, puntando su adeguate strutture ospedaliere e su reti di medicina territoriale.
 

Per ora quello che la sanità pubblica offre è ben lontano dai bisogni:

A Bobbio per tutta la valle c’è un CAU che (come da protocollo regionale) ha compiti di assistenza ambulatoriale gestiti da MMG. Della TAC non si parla più, l’unico pediatra non ha disponibilità sufficiente per tutti i minori e   preoccupano le ulteriori fragilità nel garantire le presenze dei servizi ambulatoriali.
La Casa di Comunità (con i servizi previsti dal DM 77/2022) perno della medicina territoriale non c’è Si sa solo che verrà allocata all’interno dell’OsCo di Bobbio, soprattutto manca un piano d investimenti che chiarisca personale e dotazioni. Nel frattempo, parte dei servizi che Ausl dovrebbe organizzare nella medicina territoriali sono stati assunti in carico (a spese loro) dei comuni. Ottone (pediatria e punto prelievi), Marsaglia (punto prelievi).
Il CAU che nell’obiettivo della regione veniva presentato come servizio interno alle Case di Comunità (come si sta facendo correttamente in Toscana) è l’unico presidio, con presenza medica dichiarata h24, in realtà limitata ad ore diurne e con eventuale reperibilità di un medico. Più che di un investimento stiamo quindi parlando di una razionalizzazione, come anche i sindacati medici a livello regionale hanno recentemente denunciato rivendicando il ripristino di un  corretto rapporto tra organizzazione ospedaliera e medicina territoriale.

Allo stato attuale, non si capisce quale futuro, su quali servizi Ausl intenda organizzare la sanità per l’alta val Trebbia,al di là di impegni generici, mai realizzati, e carenze che aumentano.

Da qui il bivio: cosa sceglie Ausl tra obiettivi di bilancio e un’organizzazione della sanità pubblica in val Trebbia coerente coi bisogni della popolazione?».




Piacenza nella Top 5 italiana per rapidità dei soccorsi: 13 minuti dalla chiamata al 118

Tredici. Sono questi i minuti in media che passano tra il primo squillo alla centrale operativa Emilia Ovest 118 e l’arrivo di un mezzo di primo soccorso. Tredici minuti che mettono Piacenza ben al di sotto della media standard della Regione e tra le cinque migliori realtà italiane insieme a Vercelli, Parma, Imola e genovese.

È quanto emerso dalla presentazione delle attività svolte nel 2024 da Emergenza territoriale 118 presentate dal direttore generale Paola Bardasi affiancata da Enrica Rossi, direttore Emergenza territoriale 118, Stefano Nani, dirigente delle professioni sanitarie – Area Emergenza territoriale 118 Pronto soccorso e Cau alla presenza di Paolo Rebecchi, responsabile Anpas Piacenza, Giuseppe Colla, presidente Croce Rossa, dal direttore del Distretto di Ponente Giuseppe Magistrali e i rappresentanti delle amministrazioni comunali di Travo, Bobbio, Coli, Cortebrugnatella, Zerba, Cerignale e Ottone. Durante l’incontro, che ha messo in luce i numeri delle azioni svolte e i notevoli traguardi raggiunti negli ultimi 12 mesi, sono stati anche presentati i risultati del progetto sperimentale dell’auto infermieristica itinerante in Val Trebbia.

“Ancora una volta siamo qui a presentare il lavoro svolto da Emergenza territoriale 118, servizio che ritengo essere il cuore della nostra Azienda – ha esordito il direttore generale Paola Bardasi, sottolineando la peculiarità e le eccellenze della realtà piacentina – e ancora una volta mi voglio complimentare con tutti i professionisti e i volontari che operano in questo importante settore. La nostra capacità di riposta alle emergenze è il nostro fiore all’occhiello con tempi di azione: la media di arrivo del primo mezzo di soccorso dal momento della chiamata è di 13 minuti, siamo al 75esimo percentile del tempo soccorso: ben al di sotto della media standard della Regione. La vostra forza, che è anche la nostra, è la forte compenetrazione tra mondo del volontariato e della componente professionale con un forte input alla formazione di altissimo livello, sia del personale medico e infermieristico, sia dei volontari. Da qui nascono i risultati che presentiamo oggi che ricalcano la nostra storia di obiettivi raggiunti e la vocazione di essere al fianco dei cittadini”.

I numeri del 2024
Nel 2024 sono state attivate 34.231 segnalazione che si sono tradotte in 32.304 le persone soccorse e, quando necessario, trasportate in una struttura sanitaria con un impiego di circa 40.742 mezzi intervenuti: 226 interventi dell’elisoccorso, 9.470 interventi con mezzi di soccorso avanzati (otto mezzi per un totale di 8.736 ore all’anno) e 30.887 interventi con Basic Life Support Defibrillation, ovvero le manovre di primo soccorso con l’impiego, se necessario, di defibrillatore, con un monte ore all’anno di 161.876.

Progetto Telecamere su ambulanze
Essere sempre più performanti e operativi è il primo obiettivo del team di Emergenza territoriale 118 che, tra le sue attività annovera il costante aggiornamento della rete cartografica piacentina indispensabile al fine della corretta individuazione del luogo dell’evento durante una chiamata 118.
Prosegue in linea con gli obiettivi dati dalla Regione il progetto di videosorveglianza integrato con telecamere in diretto collegamento con il Pronto soccorso di Piacenza e la Centrale Operativa Emilia ovest 118. I dispositivi, già testati in base agli obiettivi di telemedicina aziendale funzionano trasmettendo le immagini dall’ambulanza all’area ospedaliera consentendo un canale di comunicazione visivo oltre che vocale. Grazie al sistema di telecamere, infermiere e medico che operano sul mezzo di soccorso, infatti, sono in contatto video diretto e costante con lo specialista ospedaliero. Questa connessione si affianca e potenzia la trasmissione in tempo reale di parametri vitali, tracciato dell’elettrocardiogramma e messaggistica bidirezionale che già è in essere sui mezzi del 118. Con le immagini in diretta, lo specialista di Emergenza urgenza presente in Pronto soccorso può visionare l’aspetto del paziente per una più puntuale e tempestiva diagnosi, elemento fondamentale sia in caso di politraumi sia di complicazioni neurologiche, cardiache o respiratorie.

Progetto Dae
A Emergenza territoriale 118 compete il monitoraggio dei dispositivi Dae presenti sul territorio. Il controllo avviene attraverso un software di censimento e gestione degli strumenti che identifica la tipologia di tecnologia, la localizzazione e la disponibilità (se il Dae si trova in un’area pubblica con completo accesso o se è inserito all’interno di un contesto privato – aziende, circoli sportivi, locali – accessibili solo in determinati orari). Attraverso questo software gli operatori sono in grado, in caso di chiamata al 118, di indirizzare i soccorritori al dispositivo più vicino anche attraverso l’app RespondER collegata e guidare i presenti in attesa dell’arrivo del personale 118.
Piacenza mantiene il suo primato di città del cuore con circa 1.259 con un incremento del 10,9 per cento nell’ultimo anno. Nei centri pubblici sono 104, nelle farmacie 2, in dotazione alle forze dell’ordine 116, negli impianti sportivi 156, nelle imprese private 307, negli istituti scolastici 83, nei luoghi di svago 38, nei luoghi classificati come privati 4, nei luoghi pubblici 438, nelle strutture ricettive 5 e negli studi medici 6.
Sono invece 2.024 i volontari sul territorio (in aumento del 13 per cento rispetto al 2023) che hanno dato la disponibilità a rispondere a una chiamata di emergenza per arresto cardiaco tramite l’applicazione Dae responder. In linea con gli indirizzi regionali, entro giugno 2025 verranno installati e registrati altri 53 defibrillatori per garantire la copertura anche alle aree più periferiche. Il progetto rientra nel novero del progetto che la Regione ha finanziato con 1,5 milioni di euro per l’acquisto da parte delle Aziende sanitarie dell’Emilia-Romagna di circa mille nuovi strumenti salvavita. Nella nostra provincia i defibrillatori si stanno installando nelle zone più decentrate, dove i soccorsi hanno tempi di percorrenza necessariamente più lunghi e dove non ne sono già non sono presenti altri. A Piacenza sono stati assegnati 98 mila euro.

Progetto sperimentale delle auto infermieristiche itineranti in Val Trebbia
Enrico Lucenti, infermiere del 118, ha illustrato i risultati ottenuti dal progetto sperimentale che si è svolto dal 1 giugno al 30 settembre 2024 con auto infermieristiche itineranti per migliorare la risposta dei soccorsi alla cittadinanza e ridurre ulteriormente i già ottimi tempi di intervento nella media e alta Val Trebbia, da Travo a Ottone.
Il progetto si è fondato su una stima puntuale dei tempi di permanenza dei mezzi calcolando la probabilità di intercettare una chiamata di emergenza zona per zona. In base a queste stime si è predisposto che una delle due auto infermieristiche 118 in partenza da Bobbio svolgesse la sua attività in maniera itinerante muovendosi sulla SS45 secondo un algoritmo specifico, con tappe a Marsaglia e Ottone a servizio dei comuni di Ottone, Zerba, Cerignale, Corte Brugnetalla, Coli e Bobbio. In 62 casi (totale di 78 interventi ) i dati hanno dimostrato che l’auto infermieristica al momento della chiamata era localizzato o nel comune di riferimento o nelle immediate vicinanze riducendo considerevolmente i tempi di arrivo del mezzo di soccorso.

“Un sistema che funziona – conclude il direttore generale Bardasi – grazie a una commistione di elementi: in primis la professionalità del personale aziendale che va di pari passo con la stretta collaborazione con il mondo del volontariato. È questa sinergia che permette alla cittadinanza di avere un servizio attivo 24ore su 24, 365 giorni all’anno. Un servizio altamente qualificato fondato sulla formazione di volontari e professionisti e sulla rapidità dell’intervento che, come detto all’inizio ci mette tra i migliori a livello nazionale come risposta al cittadino: una risposta importante perché spesso si tratta di momenti in cui si salva una vita. Proprio per questo è importante, soprattutto in certi casi, rivolgersi ai professionisti. Penso alle le patologie tempodipendenti, le cosiddette First Hour Quintet (FHQ), in cui è fondamentale intervenire entro la prima ora dalla comparsa dai sintomi quindi infarto acuto del miocardio, arresto cardio circolatorio, insufficienza respiratoria, ictus e traumi maggiori. Non aspettare e chiamare il 118 fa la differenza”.