Alcuni medici di famiglia piacentini a Mi Manda Rai 3: “Mancano i dispositivi adeguati”

Andrea Tagliaferri, Riccardo Bacchi e Serena Zaghis questa mattina a Mi Manda Rai 3. Il programma condotto da Salvo Sottile si è focalizzato su un’altra categoria che sta affrontando il Coronavirus da una prospettiva forse meno esposta all’occhio dei riflettori, i medici di famiglia.

La denuncia è netta. “Non ci sono stati forniti dispositivi adeguati per andare casa per casa pertanto riceviamo anche 100 telefonate al giorno. Ci siamo sempre, facciamo come possiamo, visto che ci sono stati 70 medici morti non vogliamo fare la stessa fine”. Il giornalista chiede ai medici se avevano notato un picco di focolai a dicembre: “No, personalmente. Se erano piccoli focolai riguardavano un singolo medico. Perciò alcuni hanno visto più polmoniti, alcuni meno”.

Ma il tampone, è stato fatto sui medici di famiglia? “No, su di noi non è stato fatto nessun tampone, attendiamo infatti gli annunciati test sierologici, per capire chi di noi è venuto a contatto col virus e se si è creata immunità”.

Il medico di base è solitamente il primo anello della catena per individuare il virus: come ha spiegato anche il commissario  ad acta Venturi, sono loro a segnalare i casi sospetti di Covid 19.

QuotidianoPiacenzaOnline

Via Sant'Antonino, 20
Piacenza, Italia 29121
Italia
Email: redazione@quotidianopiacenza.online




Medici di famiglia, Piacenza sede del corso di formazione post laurea per 26 studenti

Ippocrate del futuro crescono. Piacenza diventa sede del Corso triennale di formazione specifica in Medicina generale. Dal prossimo 2 aprile Piacenza sarà infatti sede del corso di formazione post laurea per medici di famiglia, che coinvolgerà ogni anno 26 studenti. La Regione Emilia Romagna, responsabile di questa formazione, ha identificato altre 5 città per attività didattiche seminariali e per quelle formative di natura pratica.

Le lezioni teoriche avranno luogo nel Campus Credit Agricole di via San Bartolomeo, mentre la parte pratica avrà luogo negli ospedali della provincia, nelle sedi territoriali, tra cui le Case della Salute, e negli studi di medici di famiglia. Questa parte è prevalente nella formazione (1064 ore su 3200 pratiche, in aggiunta alle 1600 seminariali).

“La carenza dei medici – ha affermato Luca Baldino, direttore generale Ausl di Piacenza, è un problema strutturale. Da qui al 2022 a Piacenza 80 medici compiranno 70 anni, per cui saranno obbligati ad andare in pensione. Da qui la necessità da parte della Regione di formare nuove persone. Questo fa si che Piacenza si qualifichi sempre di più come sede di insegnamento”.

Anna Maria Andena, referente aziendale per il corso, sottolinea nuovamente quanto questa nuova opportunità permetta di divenire “appetibili per le future generazioni”. “Ma ci sarà anche una maggiore integrazione tra Ospedale e l’attività esterna. Frequentare sarà funzionale a creare una partnership stretta con le attività territoriali. E’ un corso questo che ha visto la luce ad inizio anni 90, l’attività del medico di famiglia cerca di inquadrare la persona nel suo insieme, accompagnato da una serie di incombenze”.

Il Presidente dell’Ordine dei Medici di Piacenza, Augusto Pagani, torna sulla carenza di medici, che può essere solo “gestita”, e che non deve essere impattante sullo svolgimento delle attività quotidiane di servizio. 

QuotidianoPiacenzaOnline

Via Sant'Antonino, 20
Piacenza, Italia 29121
Italia
Email: redazione@quotidianopiacenza.online

 




Rancan (Lega): “i medici emiliano-romagnoli svantaggiati per l’accesso alla specializzazione”

“Fuga di cervelli in altre parti d’Italia, quando non all’estero? Inevitabile considerando come la nostra Regione tratta i suoi medici”.

Così il consigliere regionale Matteo Rancan, primo firmatario di un’interrogazione con la quale il Gruppo della Lega in Regione stigmatizza le modalità di accesso alla prova di ammissione per le scuole di specializzazione medica.

“Il 17 luglio prossimo – spiegano i consigliere del Carroccio – si svolgerà la prova di ammissione per le scuole di specializzazione medica, e ancora una volta i candidati emiliano-romagnoli si troveranno a competere in una situazione di oggettivo svantaggio rispetto agli altri. Perché? Semplicemente perché si ritroveranno a dover “sgomitare” con un maggior numero di candidati in riferimento alla quota regionale”.

“Questo perché – continua il documento vergato da Rancan e sottoscritto ancheda Alan Fabbri, Gabriele Delmonte, Daniele Marchetti, Stefano Bargi, Fabio Rainieri, Andrea Liverani, Massimiliano Pompignoli eMarco Pettazzoni – la Regione Emilia-Romagna, in merito ai posti finanziati dalla medesima, non ha posto alcun tipo di restrizione ai futuri candidati, aprendo alla possibilità d’accesso qualunque cittadino in possesso di una laurea in Medicina e Chirurgia, a differenza di numerose altre regioni le quali, per favorire l’occupazione dei propri residenti e/o per dare ragione del proprio investimento, hanno inserito alcune restrizioni in fase di accesso”.

“Per fare un esempio – sottolinea Rancan – alcune regioni hanno inserito il requisito della residenza all’interno del territorio regionale in uno specifico arco temporale oppure l’obbligo di esercitare la professione medica all’interno della regione successivamente al conseguimento della seconda laurea”.

Vien da sé che “porre talune restrizioni gioverebbe anche alla Regione Emilia-Romagna in quanto, considerata la penuria di medici specialisti, si porrebbero le basi per garantire al proprio investimento una rendita futura, favorendo l’inserimento lavorativo dei propri residenti e/o il mantenimento entro i confini regionali dei medici a conclusione del ciclo di studi della scuola di specializzazione” ribadiscono i consiglieri del Carroccio.

Il numero di medici che potranno accedere tramite concorso alle scuole di specializzazione è di 6.934, di cui 6.200 finanziati con risorse statali, 640 con fondi regionali e 94 con fondi di altri enti pubblici o privati.I 640 posti finanziati con fondi regionali, suddivisi poi a loro volta tra tutte le regioni italiane, godono di specifiche regolamentazioni sancite da ogni singola regione, prevedendo dunque differenti restrizioni.

“Pertanto – chiede il gruppo leghista nell’interrogazione -, perché la Giunta non intende prendere in considerazione l’ipotesi di inserire nei futuri bandi di accesso alle scuole di specializzazione talune restrizioni, quali l’obbligo di residenza da uno specifico arco temporale e/o l’obbligo di esercitazione della professione medica all’interno della regione successivamente al conseguimento della seconda laurea, al fine di favorire l’inserimento lavorativo dei propri cittadini e/o il mantenimento dei medici specialisti all’interno del territorio regionale?”




Ottone in Salute, giovedi 21 visite ed esami gratis

Giovedì 21 giugno 2018 nel Comune di Ottone sarà attivato il servizio “Ottone in salute”: specialisti medici nei vari ambiti che verranno ad Ottone e saranno gratuitamente a disposizione dei cittadini per visite ed esami.

Il servizio prenderà avvio con la presenza di un medico cardiologo che si renderà disponibile per le visite e gli accertamenti (compreso elettrocardiogramma) dal giorno 21 giugno a cadenza di 15 giorni.

Successivamente il progetto continuerà con altri professionisti, quale dermatologo ed ortopedico. I dettagli verranno comunicati.

Il servizio è riservato ai residenti di Ottone ultra sessantacinquenni che saranno ricevuti presso l’ambulatorio dedicato (Piazza del Municipio); in caso di invalidità che non permettono spostamenti, il medico si recherà direttamente presso l’abitazione dell’interessato. Il servizio è sempre totalmente gratuito.

Le modalità di accesso verranno esposte dinanzi all’ambulatorio nei prossimi giorni.

L’amministrazione comunale è orgogliosa di istituire questo servizio in aiuto ai residenti anziani del paese e di tutte le frazioni; un sostegno concreto affinché possano sentirsi più sicuri, più protetti con una reale vicinanza da parte dell’istituzione locale che ha a cuore da sempre le problematiche del territorio di montagna, soprattutto per le fasce più deboli della popolazione. L’assistenza ai nostri concittadini è una priorità fondamentale per l’amministrazione che continuerà a portare avanti azioni concrete in questa direzione.

QuotidianoPiacenzaOnline

Via Sant'Antonino, 20
Piacenza, Italia 29121
Italia
Email: redazione@quotidianopiacenza.online




Fa discutere l’obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari

L’obbligo di vaccinare i bambini aveva già fatto discutere parecchio il nostro paese, in passato, dividendo l’Italia in favorevoli e contrari.

Ora che dalle scuole l’obbligo si trasferisce alle corsie d’ospedale la polemica si rinfocola e anzi si surriscalda.  L’Emilia Romagna dopo essere stata la prima regione rendere obbligatori i vaccini per l’iscrizione all’asilo nido compie un ulteriore passo ed estende l’obbligo vaccinale anche agli operatori sanitari.

Molti pensavano che a notizia sarebbe stata colta con favore da medici, infermieri e lavoratori della sanità ed invece non è così, almeno non per tutti. Si sono infatti registrate delle levate di scudi da parte di sindacati del settore non tanto (o non solo) per l’obbligo in sé quanto per come è stata adottata la delibera da parte della Regione.

La posizione della Cigil

Alcuni giorni fa era intervenuta la FP CGIL Emilia Romagna che aveva detto:

«Non siamo contro le vaccinazioni e anzi riteniamo che esse siano stato uno degli elementi di sviluppo della Salute nel nostro paese, questa modalità d’azione della Regione comunque non ci convince e ci lascia alquanto perplessi. Abbiamo manifestato le nostre perplessità chiedendo che venisse costruito un percorso di coinvolgimento nella costruzione di una campagna finalizzata alla sensibilizzazione sulle vaccinazioni del personale sanitario, alternativa alla modalità coercitiva che invece ha scelto la regione.
Ci sembra infatti che con questa modalità di azione si vincoli il personale non vaccinato alle quattro vaccinazioni inserite di recente tra gli obblighi nel calendario vaccinale, ovvero morbillo parotite rosolia è varicella, a sottoporsi ad esse per rimanere a lavorare nel proprio reparto o nel proprio servizio.
Oltre alla contrarietà alle decisioni unilaterali, anziché l’utilizzo del metodo partecipativo, ci sembra alquanto velleitaria la possibilità che interi blocchi di lavoratori siano obbligati a trasferirsi in altri reparti lasciando così sguarniti i reparti dove erano assegnati, reparti nei quali dovranno essere inseriti nuovi operatori che dovranno essere addestrati e inseriti in percorsi di formazione impegnativi e di lunga durata»

Oggi, sullo stesso argomento la Cisl Emilia Romagna ha diffuso un comunicato intitolato:

Cisl: “Vaccinazioni  sì o no”

«Siamo assolutamente contrari e amareggiati dell’uso politico e strumentale che è stato fatto e si continua a fare intorno ad un tema così delicato ed importante come le vaccinazioni. L’obbligo di una determinata serie di vaccinazioni deve rispondere esclusivamente a motivazioni di carattere scientifico ed epidemiologico: la Sanità pubblica ha il dovere di salvaguardare la salute dei propri professionisti, della collettività e di ogni singolo individuo attraverso misure preventive anche di carattere obbligatorio e tanto più in strutture come quelle ospedaliere che per definizione erogano Salute.

L’ultima campagna politica si è appropriata del tema delle vaccinazioni e temiamo che l’attuale campagna per le prossime elezioni delle RSU stia fortemente condizionando una discussione che dovrebbe restare nel merito e non inseguire facili consensi: a nessuno piace vaccinarsi, il tema è se serve a prevenire un contagio per sé stessi e per gli altri.

La CISL pertanto riconosce alla Sanità, in particolare a chi è preposto alla tutela della salute dei lavoratori e a chi è preposto alla tutela della salute dei pazienti, il diritto di determinare i requisiti che un operatore sanitario deve possedere per poter operare in determinati reparti. E’ una grande opportunità per tutelare sé stessi e tutte le persone che si hanno in cura. Ricordiamo in proposito quante battaglie abbiamo fatto come sindacato, a volte contro le stesse Aziende sanitarie, per il riconoscimento delle malattie professionali contratte in servizio dagli operatori sanitari e tutti gli sforzi fatti per rendere i posti di lavoro sempre più sicuri per i professionisti ed i pazienti. Ricordiamo in proposito quanto sia oneroso e serio per la Sanità il problema di rendere le nostre strutture sanitarie immuni dalle infezioni e dai contagi: ogni cittadino, dai bambini agli anziani, degenti in un ospedale si aspettano di guarire e di non contrarre qualche altra malattia.

La CISL crede nella maturità e senso di responsabilità degli operatori sanitari, ne riconosce le fatiche e i doveri: sono professionisti a tutto campo, in formazione scientifica e senso etico.

Sono professionisti anche coloro che daranno  attuazione a queste nuove indicazioni, dovranno procedere con la necessaria gradualità in dialogo con gli operatori coinvolti e trovare le opportune soluzioni in collaborazione anche con i sindacati.

Col medesimo rigore riteniamo che l’Assessorato avrebbe dovuto convocare le Confederazioni sindacali prima di assumere una delibera su un tema così importante e delicato, che coinvolge non solo una fetta consistente di operatori sanitari ma l’intera cittadinanza e l’organizzazione sanitaria della nostra Regione.

Nel confronto con le rappresentanze sindacali bisogna crederci fino in fondo e non “alla bisogna”».

Rischio biologico in ambiente sanitario

Oggi in Regione durante la commissione Politiche per la salute, presieduta da Paolo Zoffoli, è stata illustrata l’informativa “Rischio biologico in ambiente sanitario. Linee di indirizzo per la prevenzione delle principali patologie trasmesse per via ematica e per via aerea, indicazioni per l’idoneità dell’operatore sanitario”.

In buona sostanza, d’ora in poi, chi lavora in reparti ad alto rischio come pronto soccorso, centro trapianti o neonatologia dovrà vaccinarsi contro morbillo, parotite, rosolia e varicella.

«In Italia – fa sapere l’Assemblea Legislativa regionale – ogni anno 500mila pazienti sviluppano un’infezione collegata all’assistenza ospedaliera e circa 2mila decessi sono direttamente riconducibili a questo tipo di problema.
Questo significa che “la distinzione tra infezione nosocomiale (da paziente infetto a paziente e da ambiente a paziente) – si legge nel documento-, infezione occupazionale (da paziente infetto a operatore) e da operatore infetto a paziente altro non sia che una settorializzazione di un problema generale che per trovare soluzione deve essere affrontato nella sua globalità”.
Per questo “le vaccinazioni negli operatori sanitari hanno una triplice valenza di sanità pubblica: proteggono l’utente del servizio sanitario che, proprio in quanto tale, si trova il più delle volte in una condizione di maggiore suscettibilità alle infezioni; proteggono l’operatore sanitario che, per motivi professionali, è maggiormente esposto al contagio; tutelano il servizio sanitario che, in situazioni epidemiche, potrebbe fronteggiare una carenza acuta di personale”. I reparti considerati più a rischio sono Oncologia, Ematologia, Centro trapianti e dialisi, Neonatologia, Ostetricia, Pediatria, Malattie infettive, Rianimazione e Pronto soccorso».