Michele Giardino: “illogiche alcune norme sull’immigrazione del Decreto Salvini”

Continuano le prese di posizione dei politici nei coonfronti del decreto Salvini sulla sicurezza. Qui di seguito pubblichiamo la nota stampa diffusa dal consigliere comunale Michele Giardino.

“Sono di cultura socratica e quindi rispettoso delle leggi, anche se non condivise o non condivise completamente. È questo il caso del decreto Salvini, un testo che si occupa di immigrazione, oltre che di pubblica sicurezza e mafia. Premetto che si tratta di un testo di quaranta articoli tutt’altro che facilmente comprensibile (a dispetto di chi invita a leggerlo prima di giudicarlo!): ogni articolo modifica, abroga, sostituisce o integra una pluralità di altri articoli sparsa in una miriade di altrettanti leggi vigenti.

Detto questo, alcune norme – non tutte – di tale decreto appaiono anche a me illogiche e incomprensibili. Si tratta delle disposizioni in materia di abolizione della protezione umanitaria, di restrizione del sistema di accoglienza, di esclusione dal registro anagrafico dei richiedenti asilo e di revoca della cittadinanza. Vado in ordine, cercando di essere sintetico e, se possibile, chiaro.

Una volta arrivato in Italia, un migrante, dopo aver effettuato domanda di protezione internazionale ed essere ritenuto idoneo, potrà da oggi accedere a due forme di protezione: rifugiato politico (per timore di persecuzioni) e protezione sussidiaria (per rischio di danno grave nel Paese di origine). La terza forma di protezione, quella umanitaria – introdotta in Italia nel 1998 – è stata abolita dal decreto Salvini, che ha introdotto, invece, un permesso di soggiorno “speciale” della durata massima di un anno. Trovo che questa restrizione sia ingiustificata. In primo luogo perché, in caso di rimpatrio – immediato o dopo un anno – il richiedente non accolto per ragioni umanitarie rischia trattamenti disumani e degradanti ovvero semplicemente non potrà esercitare le libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana o i diritti umani garantiti a livello internazionale. E ciò contrasta con l’articolo 10 della nostra Costituzione. In secondo luogo, per una ragione strettamente numerica: delle circa 81 mila richieste esaminate in Italia nel 2017, l’8,4% dei richiedenti asilo ha ottenuto lo status di rifugiato, un altro 8,4% ha ricevuto la protezione sussidiaria e il 24,7% di richiedenti ha ottenuto la protezione umanitaria (20mila persone). Nel primo semestre 2018 sono state esaminate 48 mila domande di asilo: 3.300 (il 6,9%) hanno ottenuto lo status di rifugiato, circa 2.000 (4,1%) la protezione sussidiaria, 13.500 (28%) la protezione umanitaria. Non si tratta di cifre eccezionali.

Il Sistema per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati (Sprar), gestito in via ordinaria dai comuni italiani che vi hanno aderito, sarà limitato solo a chi è già titolare di protezione internazionale (rifugiato o sussidiaria), ai nuovi titolari dei permessi di soggiorno “speciali” (per un anno), ai minori stranieri non accompagnati. Saranno quindi esclusi tutti i nuovi richiedenti asilo, cioè coloro che hanno presentato una domanda e sono in attesa di un responso o che la presenteranno in futuro: costoro resteranno definitivamente in quelli che fino a ieri erano i centri di prima accoglienza, ovvero i Cas (Centri Accoglienza Straordinari) e i Cara (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo). Io avrei gradito, al contrario, un rafforzamento della rete Sprar e un obbligo per tutti i comuni di aderirvi, in ragione dei suoi più elevati standard e della maggiore efficacia dimostrata nei processi di integrazione con le comunità locali. Il processo di inclusione sociale dovrebbe essere, infatti, elemento portante di una strategia di integrazione che vada a vantaggio sia dei rifugiati che delle comunità ospitanti. In questo modo, invece, si crea un esercito di irregolari e sfaccendati che aggraverà la condizione di insicurezza delle nostre città (è appena il caso di ricordare che la promessa di rimpatriare tutti non potrà restare che lettera morta, essendo impraticabile sia per la mancanza di intese con gli Stati di provenienza, sia per la mancanza di fondi: con quelli stanziati nel prossimo triennio, si prevede potranno essere rimpatriati non più di un migliaio di clandestini).

Il decreto prevede poi che i richiedenti asilo non possano iscriversi all’anagrafe e quindi conseguire una residenza. Ma se si nega l’iscrizione all’anagrafe, si crea anzitutto un problema di sicurezza: si mette a rischio l’accesso alle prestazioni sanitarie delle Asl e ai centri per l’impiego, e si danneggia la programmazione dei servizi sociali nei Comuni, perché non si sa quanta gente avrà bisogno di tali servizi. Senza considerare che in questo modo si precarizzano – al compimento della maggiore età – anche i minori stranieri non accompagnati, vanificando così i percorsi educativi e formativi avviati (e offrendo alla criminalità organizzata, su un piatto d’argento, nuove leve da arruolare agevolmente).

Per finire, c’è la possibilità di revocare la cittadinanza allo straniero che l’abbia acquisita (dopo dieci anni di residenza in Italia, apolide che ha acquisito la cittadinanza dopo cinque anni di residenza in Italia, figlio di stranieri nato in Italia che ha acquisito la cittadinanza dopo i 18 anni, coniuge di cittadino italiano, straniero maggiorenne adottato da italiano), nel caso di commissione di alcuni reati connessi al terrorismo. Misura che pur avendo una logica chiara, rischia di venire travolta dalla Corte costituzionale per questioni strettamente giuridiche connesse al particolare legame che viene a crearsi tra Stato e cittadino col vincolo della cittadinanza (tra le altre cose, questa norma favorisce la creazione di apolidi in contrasto con il divieto previsto dall’articolo 8 della Convenzione sulla riduzione dell’apolidia adottata il 30 agosto del 1961, a cui l’Italia ha aderito nel 2015).

Il resto del decreto presenta una sua organicità, ma su questi aspetti credo sia opportuno, anzi inevitabile intervenire con una correzione di rotta. Altrimenti, i ricorsi che le Regioni stanno presentando alla Corte costituzionale finiranno per produrre drastiche sforbiciate”.




Michele Giardino lascia il gruppo di Forza Italia

Il consigliere comunale Michele Giardino se ne va dal gruppo consigliare di Forza Italia se non sbattendo la porta, quantomeno chiudendola con una buona dose di rumore. L’azzurro annuncia la sua scelta attraverso un comunicato stampa in forte polemica con le scelte effettuate dai vertici piacentini del partito di Berlusconi. Giardino continuerà comunque a garantire il suo appoggio alla giunta Barbieri ma si dimette da vicepresidente della commissione Cultura e sport.

«Ho avvertito da tempo la sensazione di non essere reputato all’altezza dell’importante progetto politico che Forza Italia si è dato a Piacenza. Dopo le recenti nomine fatte dal Commissario Papamarenghi e la selezione di personalità di primissimo livello da egli compiuta, ne ho avuto la certezza.  L’obiettivo – a livello provinciale – di rilanciare il partito, di rinnovare i suoi quadri direttivi e di ricucire le varie anime in dissidio è davvero ambizioso e richiede l’impegno dei migliori. È diritto-dovere di un leader circondarsi di quelle risorse che per serietà, preparazione e credibilità possano aiutarlo a tagliare il traguardo prefissato.

Con un atto di intelligenza tout court, prima che di intelligenza politica, prendo coscienza di non essere ritenuto adeguato allo scopo. Lascio quindi il gruppo consiliare di Forza Italia e transito nel gruppo misto. Ciò consentirà ai colleghi del gruppo di Forza Italia di svolgere al meglio la loro azione amministrativa e al sottoscritto di onorare più liberamente l’impegno assunto con i propri elettori.

Mi dimetto dall’incarico di vicepresidente della Commissione consiliare n. 3 – Servizi sociali, cultura e sport. Resto politicamente all’interno della maggioranza che sostiene il sindaco Patrizia Barbieri e la sua Giunta».

«Resto tesserato di Forza Italia – conclude Michele Giardino – i cui valori liberali, cattolici e di moderazione politica mi appartengono ancora e nonostante tutto».

 




Giardino (FI): “Divieto di circolazione Diesel Euro 4 arbitrario”

Riceviamo e riportiamo la nota del Consigliere comunale Michele Giardino di Forza Italia, in merito alla scottante tematica dei Diesel Euro 4.

Le leggi arbitrarie possono essere abolite o modificate per mezzo di una legge espressa che le abroghi o le moderi, oppure per un lungo uso che le cambi o le abolisca. Per dirla con Giustiniano, le leggi devono essere sorrette dal “tacito consenso del popolo”.

La norma imposta dalla Regione Emilia-Romagna a tutti i Comuni con oltre 30.000 abitanti – e quindi alla quasi totalità dei cittadini che in essa risiedono, lavorano, studiano, vivono – che vieta la circolazione delle auto diesel Euro 4, è arbitraria. E lo è tanto più se si considera che l’Emilia-Romagna ha deliberatamente deciso di anticipare di ben due anni quanto concordato insieme a Ministero dell’Ambiente e Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto nel Nuovo Accordo di Bacino Padano: cioè che la limitazione ai diesel Euro 4 sarebbe dovuta partire entro il 1 ottobre 2020.

Non è in discussione il buon proposito di combattere l’elevato tasso di inquinamento che sta affliggendo la Pianura padana. Ciò che va temperato è l’integralismo della decisione che ha messo da un giorno all’altro in grave difficoltà cittadini, famiglie, lavoratori e aziende.

Gli automezzi diesel Euro 4 sono stati acquistati pochi anni fa e c’è chi sta ancora pagando le rate del prestito. Sostituire un’automobile o un veicolo commerciale è un’operazione tutt’altro che semplice, a dispetto di chi ha approvato questo Piano Aria Integrato Regionale (PAIR) 2020. Non solo. Il blocco degli Euro 4 costituisce un provvedimento inutilmente penalizzante per gli emiliano-romagnoli, considerando che nelle altre regioni firmatarie dell’Accordo tale restrizione non è stata e non sarà adottata se non fra due anni.

Il Comune di Piacenza ha indubbiamente ottemperato a un obbligo di legge. È di oggi la notizia che qualche comune ribelle (Granarolo, Castenaso) ha deciso di concedere una deroga per i mezzi Euro 4 in questione. Il Comune di Piacenza dovrebbe attivare i giusti canali, anche attivando un fronte di Comuni contrari alla misura, per indurre la Regione a ripensare questa sciagurata decisione. 

QuotidianoPiacenzaOnline

Via Sant'Antonino, 20
Piacenza, Italia 29121
Italia
Email: redazione@quotidianopiacenza.online




Giardino (Fi): “il comercio del centro storico non si salva con i vincoli”

Nel dibattito sul commercio, innescato nei giorni scorsi dal presidente di Confesrcenti, intrviene anche il consigliere comunale di Forza Italia Michele Giardino, convinto che, sui centri commerciali, il mercato debba continuare a regolarsi da sé. Qui di seguito il suo intervento.

« Lo scheletro della Madonnina, dopo quasi vent’anni, verrà abbattuto. Finalmente recupereremo e riqualificheremo quella parte degradata di città. Ma non tutti esultano. Essendo la sua demolizione propedeutica all’insediamento di un doppio store di cancelleria, giocattoli e articoli da regalo, rimonta la protesta di chi ritiene che la città sia invasa dai colossi del commercio e che ciò comporti un danno letale per i negozi di vicinato e soprattutto del centro storico. “Piacenza, coi suoi centomila abitanti, non può sopportare nuovi centri commerciali”, è l’argomento ricorrente.

Le città nascono storicamente per soddisfare la principale esigenza dell’individuo: poter trovare ciò che occorre a sé e poter cedere ciò che è utile agli altri. In poche parole, potersi scambiare più facilmente le merci. Questa attitudine le città non l’hanno perduta. Sono soltanto cambiate, a più riprese, le modalità con cui si vende e si compra. Il commercio va considerato per quello che è: una rete decisiva per lo sviluppo dei settori produttivi. Le nostre aziende, per crescere, hanno bisogno di una distribuzione efficiente e capillare. Interesse a cui fa pendant l’esigenza degli individui di combinare tempi e modi di acquisto in ragione delle proprie necessità.

Il bestiame non viene più venduto in piazza la domenica mattina, le pelliccerie sono irrimediabilmente scomparse a causa della montante filosofia animalista, il minimarket è diventato supermercato prima e ipermercato poi, mentre internet ha introdotto le vendite online, oggi perfezionabili con acquisti fatti addirittura dal proprio cellulare, indipendentemente dal posto in cui ci si trova. Il commercio è tutt’altro che morto: è vivissimo. Continua soltanto a mutare le sue forme. È l’attualità, la modernità a imporre un nuovo stato di cose.

Le rendite di posizione di cui i negozi dei centri storici hanno beneficiato fino a un paio di decenni fa, non sono più garantite. I Comuni non possono (né devono, a mio avviso) farsi portatori di forme di protezionismo fuori dal tempo. E se i mercati economici possono oggi condizionare addirittura la vita di un governo nazionale, non si comprende perché non debbano poter certificare ciò per cui esistono: sarà il mercato a stabilire se in un territorio – la città, nel nostro caso – un determinato settore merceologico sia ricettivo o saturo.

Stiamo attraversando una fase di grandi e profondi cambiamenti nella quale si tratta di spendersi dal lato delle soluzioni, piuttosto che indulgere alla nostalgia di un tempo passato. Inutile pensare di salvare un “piccolo mondo antico” che non ha futuro. Occorre elaborare nuovi schemi di concorrenza, nuovi sistemi di competizione.

In questa inedita dimensione, il Comune deve impegnarsi a tenere insieme il tutto, il moderno e l’antico, l’innovazione e la tradizione, il centro commerciale e il negozio di vicinato. Non può negare una delle due componenti. All’imprenditore va garantita la libertà di investire e di rischiare. Al piccolo commerciante va data una mano affinché possa continuare a svolgere la sua attività.

Più che puntare su normative vincolistiche, le amministrazioni devono accompagnare l’azione dei commercianti – già insediati o di nuovo avviamento – per consentire loro di conservare – o di conquistare – un appeal commerciale. Traguardo non impossibile da tagliare, dal momento che il consumatore moderno è e si conserverà “multicanale”: preferirà il centro commerciale per un’esigenza di comodità (vicinanza, facilità di parcheggio, orari elastici); l’online per un’opportunità di risparmio; il negozio con vetrina per un desiderio di qualità e di personalizzazione del servizio.

In Emilia Romagna una vecchia legge tutt’oggi vigente (n. 41 del 1997), ha cercato di valorizzare il commercio nei centri storici con la retorica dei “centri commerciali naturali” e le “cabine di regia” tra Comuni, camere di commercio e associazioni di negozianti; ma, visti gli esiti impercettibili prodotti in questi vent’anni, almeno nella città di Piacenza, direi senza successo.

Nella vicina Lombardia, la Giunta regionale, con una delibera del 2008 (n. 8/7730), ha avviato i “Distretti del commercio”. Si tratta di una idea di valorizzazione urbanistica e commerciale, insieme; a sostegno, in primo luogo, dell’attrattività di zone della città da riscoprire e da vivere nell’arco della giornata, e di conseguenza, della proposta commerciale al dettaglio che viene esercitata in quelle zone. Processo facilitato dal mai sopito interesse del cliente per la pregevolezza delle merci, la varietà dell’offerta commerciale e l’autenticità dei rapporti umani, oltre che dal bisogno di un contesto che assicuri piacevolezza, esclusività e bellezza – in una parola, emozione – più facili da ritrovare in un luogo urbano adeguatamente valorizzato, che in un contenitore di consumo artificiale.

I distretti sono, intanto, delle aree geografiche esattamente delimitate, con un elenco preciso di vie e di piazze. Ma sono anche tavoli di lavoro che, oltre a Comuni, camere di commercio e associazioni di categoria, vedono coinvolti – in qualità di partner – tutti quei soggetti, pubblici e privati, interessati a realizzare gli obiettivi del distretto: altre associazioni imprenditoriali e di categoria, singole imprese, comitati di residenti, enti pubblici, volontariato e no profit, proprietari immobiliari, operatori culturali, ecc. Insomma, tutta la pluralità di soggetti presenti sull’area, coinvolta non solo nella programmazione, ma soprattutto nella fattiva realizzazione del progetto. Progetto il cui scopo è di rendere seducente il distretto, per supportare – con proposte urbanistiche, culturali, ludiche e ricreative dalla forte carica attrattiva – le iniziative (a loro volta innovative) dei singoli commercianti.

In quest’ottica, non si pongono limiti all’inventiva, alla creatività, alla ricerca. I mestieri contenuti nei nomi di molte vie delle nostre città – un esempio per tutti, via Calzolai – confermano che i nostri avi possono ancora insegnarci qualcosa in tema di commercio. La specializzazione merceologica delle zone o delle strade può essere già un’idea: introdurrebbe elementi di concorrenza e di spinta al miglioramento del servizio, creerebbe una sorta di attrattiva turistica, permetterebbe di individuare orari di apertura ad hoc, faciliterebbe la creazione di imprese focalizzate su singole nicchie. Soprattutto, realizzerebbe le condizioni per un facile avviamento di attività, anche da parte di giovani alla prima prova: inseriti in un distretto specializzato, i nuovi negozi avrebbero immediatamente accesso al proprio mercato di riferimento e si metterebbero alla prova senza quel lungo purgatorio che quasi sempre finisce per prosciugare le risorse investite.

Creare percorsi di bellezza urbana. La Banca di Piacenza ha dato prova della potenzialità di questo genere turistico-culturale, organizzando visite (sempre gettonatissime) alle chiese e ai palazzi storici della città, in occasione della bellissima Salita al Pordenone. Abbiamo idea di quanti splendidi giardini si “nascondono” dietro i portoni del centro storico? Persuadere i relativi proprietari ad aprire quei portoni e a far visitare le loro incantevoli oasi può essere un’altra idea. Il centro storico è come un forziere in fondo al mare: va recuperato dal relitto in cui si trova e aperto. Ne gioverà il commercio, il centro stesso, la città tutta.

Occorreranno anche nuovi e capaci parcheggi, e l’ex Laboratorio Pontieri andrà necessariamente arruolato alla causa».




Una riflessione di Michele Giardino su benessere economico e crisi delle dottrine

«Qualche sera fa, nella cripta di San Giuseppe Operaio ho assistito alla presentazione del nuovo libro di don Giancarlo Conte, “Chiesa italiana tra comunismo e secolarizzazione. Piccola storia degli anni 1945 – 2015”. Sono rimasto colpito, in particolare, da una riflessione emersa nel corso della serata: la Chiesa si concentrò troppo sul fronte del comunismo e non si accorse di aver già incubato il virus più pericoloso, il secolarismo.

Vero. D’altronde, non fu il Papa Emerito Benedetto XVI a pronunciare parole durissime contro la cultura secolaristica del nostro tempo? Se nazismo e comunismo sono stati i “mali ideologici” del secolo scorso, “ora la Chiesa è attaccata dalle ideologie materialiste, quelle secondo cui è assurdo pensare a Dio, ai comandamenti di Dio: è cosa di un tempo passato”. La nuova aggressione si esplicita nel valore del consumo e dell’egoismo.

Che cosa unisce i popoli, i gruppi, le persone? Io penso che questo legame abbia un nome: bisogno di sicurezza. Non intendo le esigenze naturali primarie, come la fame e la sete, che possono anche essere causa di occasionali atteggiamenti egoistici. Dico lo stare in salute, il vivere in una abitazione certa, il poter fare affidamento su un lavoro garantito, il riuscire a costruire una famiglia, l’avere assicurata una condizione di libertà e di pace sociale. Bisogni che compaiono appena dopo quelli primari e motivano a ricercare protezione e contatto, relazione e vicendevole sostegno. Quando la sicurezza così intesa manca o traballa, i vincoli di vicinanza e di solidarietà tra gli individui si rinsaldano.  Basti pensare proprio all’Italia del secondo dopoguerra. Nel reciproco aiutarsi si agitava una fiamma di spiritualità, di autentica umanità. Che poi ciascuno fosse mosso da una sua visione di crescita e di rinascita, è un fatto storicamente acquisito: c’era la visione religiosa di ispirazione cristiano-cattolica, quella atea di ispirazione comunista e la visione laica liberale. La nostra Costituzione è, infatti, figlia di queste tre matrici di pensiero.

Il benessere conquistato nel tempo, però, ha modificato il quadro. I bisogni primari e quelli di sicurezza si sono assicurati ad ampi strati della popolazione. Siamo scivolati nella fase della creazione e del soddisfacimento di falsi bisogni ovvero di bisogni accessori. Siamo piombati nell’era del voluttuario. Che va perseguito in solitaria, privatamente, senza mobilitazioni di massa. Scaturisce da qui la crisi di religioni e ideologie (che altro non sono che religioni aconfessionali).

Il comunismo, dimostratosi già inadatto al raggiungimento del primo traguardo, è diventato ormai un vecchio arnese inservibile al nuovo scopo. La teoria liberale ha stravinto, esaurendo la sua funzione propulsiva: negli ultimi trent’anni il metodo liberista ha imposto un modello economico che non dipende più dalle politiche governative, ma dalle logiche del mercato globale. La libertà economica ha addirittura finito per comprimere le altre libertà individuali. E, per paradosso, ciò è avvenuto col compiacimento generalizzato degli individui. Le persone sono state sedotte dalle merci, accettando il rischio di trasformarsi in merci esse stesse. Che spazio per Dio può ancora esserci? Anche la presa che i valori religiosi operavano sulla vita quotidiana si è allentata in maniera decisiva.

Durante la premiazione con l’Oscar del suo film “La vita è bella”, Roberto Benigni disse: “Ringrazio i miei genitori per il più grande dono: la povertà”. Una frase che mi è rimasta nel cuore, avendo potuto pronunciarla anch’io. Chiarisco subito, a scanso di equivoci: non sono un propugnatore della miseria dei popoli; non mi si arruoli tra grillini e pentastellati come sostenitore della teoria della decrescita felice. Al contrario, difendo come naturale e legittima l’aspirazione degli individui a migliorare le proprie condizioni di vita. La mia è soltanto un’amara constatazione: la ristrettezza unisce e fa germogliare, il benessere allontana e inaridisce. La conquista della prosperità ha in sé l’ineluttabile crisi della componente spirituale, della fede in qualunque dottrina, comportando la meccanica esaltazione del momento materialistico-edonistico. La stessa crisi delle vocazioni ecclesiastiche in Italia e nel mondo occidentale non è forse effetto di questa realtà? E non è conseguenza di ciò il fatto che la Chiesa cattolica abbia dovuto chiamare al soglio pontificio, per conservarsi e rilanciarsi, un vescovo dalla periferia diseredata del mondo?

Una riflessione approfondita sul perché questo Papa abbia scelto di chiamarsi Francesco, nella capitale della cristianità, andrebbe fatta ancor oggi. – Michele Giardino – Consigliere comunale Piacenza – Forza Italia»




Analisi post elettorale di Giardino e Putzu: “a Forza Italia serve un drastico cambio di rotta”

Due esponenti di Forza Italia, l’assessore Filiberto Putzu e il consigliere comunale Michele Giardino analizzano il poco brillante risultato elettorale del loro partito a Piacenza e “danno la sveglia” ai loro compagni di partito. Ecco la loro decisa presa di posizione.

Le elezioni Politiche di domenica 4 marzo hanno sicuramente decretato la vittoria della coalizione di centrodestra. Ciò non solo a livello nazionale, ma anche e soprattutto nella provincia di Piacenza.

Si può dire che nel successo del centrodestra piacentino sia inscritto anche il successo di Forza Italia? I numeri attestano che il partito supera il 13% dei consensi sia nel capoluogo che a livello provinciale. Per la città di Piacenza si risolve l’anomalia elettorale delle Comunali 2017, costituita dalla fuoriuscita di Trespidi dal partito: Forza Italia torna alla sua quota naturale, esattamente la stessa raggiunta alle ultime elezioni Regionali del novembre 2014. In provincia si conferma il 13%.

Il piano del 13%, però, rappresenta il punto più basso di un trend in discesa che parte dal 24% su base provinciale raggiunto alle Politiche 2013 e passa dalle Europee del maggio 2014, quando nell’intera provincia Forza Italia prese meno del 18%. Si può dire che la percentuale del 13% certifica il grado di fidelizzazione al simbolo. È lo zoccolo duro dell’elettorato di Forza Italia nella nostra provincia. I devoti di Berlusconi. Nessun valore aggiunto.

Analizzando i singoli Comuni, appare evidente che in taluni la media provinciale è superata (Castel San Giovanni, Castelvetro, Carpaneto, Monticelli, Sarmato, Vigolzone, Ziano), anche nettamente in certi casi (Lugagnano, Alta Val Tidone, Pianello, Besenzone). In altri, non si registra alcuno scostamento di rilievo (Ferriere, Caorso). I restanti sono sotto la media (Fiorenzuola, Gossolengo, Gragnano, Podenzano, Pontenure, Rottofreno, Villanova).

In evidente controtendenza, invece, i grafici degli alleati di Forza Italia: Lega e Fratelli d’Italia.

La Lega parte dal 4% delle Politiche del 2013, passa al 10% delle Europee del maggio 2014, arriva al 28% delle Regionali del novembre dello stesso anno, e si attesta al 27,5% delle Politiche di domenica scorsa.

FdI parte dal 3,6% delle Politiche del 2013 e si stabilizza al 5,7% delle Politiche del 4 marzo, crescendo negli appuntamenti elettorali intermedi: 4,1% alle Europee del maggio 2014 e 5,4% alle Regionali del novembre 2014 (citando en passant il 7,22% alle Comunali di Piacenza del 2017).

Il M5S, che invece è il primo partito nazionale e il secondo partito provinciale, parte dal 21% su base provinciale alle Politiche del 2013 e supera abbondantemente il 23% alle Politiche di quest’anno, dopo una flessione nelle consultazioni intermedie.

Sintetizzando, la differenza tra Forza Italia e le altre forze politiche è tra chi dorme sugli allori e chi continua a macinare attività sul territorio. Le cause dell’immobilismo del partito azzurro – in provincia di Piacenza – sono molteplici. Avanti a tutte, la inesistenza di una struttura di governo politico provinciale e la mancanza di una relativa, articolata organizzazione territoriale (il partito non può coincidere con il Club Forza Silvio del capoluogo). Sono stati commessi alcuni errori strategici, soprattutto nell’ultimo anno, il più grave dei quali va individuato nella conclamata e ostinata contrapposizione con il coordinamento regionale, che ha causato, purtroppo, il danno maggiore: la assenza di candidati piacentini di Forza Italia al Parlamento. Non ultima, vi è la necessità di un energico rinnovamento dei rappresentanti del partito, con contestuale arruolamento di giovani attivisti e nuovi esponenti. Appare quindi indilazionabile un drastico cambio di rotta.

Michele Giardino – Filiberto Putzu




Giardino (FI): “chi difende la democrazia non può violarne le regole”

Riceviamo e publichiamo un interveno del consigliere comunale di Forza Italia Michele Giardino sugli scontri di sabato pomeriggio fra manifestanti e forze dell’ordine.

La nostra Costituzione riconosce come inviolabili molte libertà, a cominciare da quella personale: la libertà della corrispondenza e di ogni forma di comunicazione, la libertà di circolazione, la libertà di associazione, la libertà religiosa, la libertà di manifestazione del pensiero con qualsiasi mezzo, la libertà di costituire partiti per concorrere a determinare la politica nazionale. Non ultima, la libertà di riunirsi pacificamente, senz’armi e senza preavviso, salvo che le adunanze avvengano in luogo pubblico: in questo caso deve essere data notizia alle autorità, che possono vietarle o limitarle per motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

Cosa succede a Piacenza? Che CasaPound apre una propria sede in città e che ciò scatena la reazione delle sinistre, le quali, timorose di un ritorno del fascismo in Italia, decidono di scendere in piazza a contestare. Fin qui, però, tutto sarebbe avvenuto nell’alveo delle libertà costituzionali: CasaPound ha esercitato il diritto di organizzarsi in partito e di esprimere il proprio pensiero (ad oggi, fa testo una sentenza del Tribunale di Roma del 30 maggio 2016 che, chiudendo la controversia tra il movimento e la figlia di Ezra Pound per l’uso del cognome, statuisce che “l’associazione in quanto tale, opera in modo del tutto legittimo … né ha in alcun modo legittimato l’uso della violenza sotto il nome del poeta Pound”); le sinistre organizzano due distinte manifestazioni, una al mattino di sabato 10 febbraio e una al pomeriggio, per esercitare il legittimo diritto di protestare in strada contro il rigurgito neofascista. Quando l’ordine costituzionale viene violato? Nel momento in cui il corteo pomeridiano della sinistra antagonista (collettivo ControTendenza e Cobas), anziché sciogliersi in Sant’Antonino – piazza individuata dalle autorità di pubblica sicurezza come capolinea della manifestazione – decide di rompere il cordone dei Carabinieri a presidio del centro storico e di “conquistare” piazza Cavalli, percorrendo una serie di vie centrali sulle quali aveva il divieto di procedere. Attaccando i (pochi) Carabinieri – e assalendo brutalmente e vilmente uno di essi – i dimostranti hanno violato non solo l’ordinanza delle autorità, ma hanno aggredito l’intero impianto di garanzie costituzionali posto a tutela della civile e pacifica convivenza. Ecco il punto: chi manifesta contro presunti aggressori della democrazia, deve – in primis – rispettare le norme democratiche che pretende di difendere. Non c’è istanza politica che possa metterlo al di sopra della legge. Per questo motivo, gli autori dei tumulti di sabato pomeriggio vanno individuati e puniti. Non importa per quale causa abbiano agito in quel modo. Dovevano, come tutti, rispettare le regole. Per ora, loro non lo hanno fatto.  Michele Giardino – Consigliere comunale Forza Italia – Piacenza




Intervento di Putzu e Giardino sulle elezioni politiche

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato di Filiberto Putzu e Michele Giardino (Forza Italia) sulle elezioni politiche di marzo.

«Le elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento sono ormai prossime. Non è tempo di polemiche, recriminazioni e distinguo. La delusione per la mancata candidatura degli esponenti piacentini proposti sotto le insegne di Forza Italia deve necessariamente tradursi in compattezza e spirito di gruppo in vista della consultazione del 4 marzo.

L’obiettivo primario è fortificare Forza Italia a livello nazionale, affinché i futuri assetti di governo, a cominciare dall’espressione del premier, siano ispirati dalla componente più liberale e moderata della coalizione.

Significativo, però, sarà l’impatto che i dati elettorali produrranno anche sul territorio provinciale, sia nel versante dei rapporti politici tra le varie anime del centrodestra piacentino, sia sul fronte dell’autorevolezza che il nostro partito deve conservare verso gli eletti cui affideremo le istanze delle nostre genti.

Perciò, occorre avere chiaro che Forza Italia sostiene gli amici Pietro Pisani, nel collegio uninominale del Senato, e Tommaso Foti, nel collegio uninominale della Camera, entrambi selezionati dalla coalizione per rappresentare unitariamente il centrodestra nella provincia di Piacenza.

Nei listini proporzionali, invece, Forza Italia corre da sola e presenta candidati propri, di indubbio carattere e capacità. Al Senato, nell’ordine di lista, Paolo Romani, Anna Maria Bernini, Enrico Aimi e Laura Schianchi. Alla Camera, Michaela Biancofiore, Galeazzo Bignami, Francesca Gamberini e Gianluca Nicolini.

Chiunque sarà eletto, dovrà contribuire a realizzare un impegnativo programma di governo: controllo dell’immigrazione e maggiore sicurezza dei cittadini, politiche a sostegno delle famiglie, aumento delle pensioni minime, tutela delle donne, flat tax al 23%, riforma del sistema sanzionatorio contro l’evasione fiscale, miglioramento della legge Fornero,  riforma della giustizia, revisione dei trattati europei (solo per citare i principali punti).

L’appello che pertanto rivolgiamo ai nostri elettori, agli iscritti, ai simpatizzanti, ma anche a tutti coloro che guardano Forza Italia come soluzione all’impasse che l’Italia vive in questo momento storico, è un appello alla coesione, al fare squadra. Per citare il nostro amato inno di Mameli, “stringiam’ci a coorte”. Per vincere e far svoltare il Paese.

Il momento è solenne. Non possiamo rischiare di sciuparlo a causa di mal di pancia. Ci vuole testa. Sulle schede elettorali basta soltanto una croce sul simbolo di Forza Italia, non serve altro. Ma dobbiamo farlo tutti insieme, convintamente».

 

 




Giardino (FI) propone una Bicipolitana come a Pesaro

 

Il consigliere comunale di Forza Italia Michele Giardino propone l’istituzione, anche a Piacenza, di una bicipolitana come quella di Pesaro.

«Questa estate, di passaggio a Pesaro, mi sono imbattuto nella Bicipolitana.

La Bicipolitana è una  metropolitana di superficie, dove le rotaie sono piste ciclabili e le carrozze sono biciclette. Lo schema utilizzato è quello delle metropolitane di tutto il mondo. Vi sono delle linee (gialla, rossa, verde, arancione….) che collegano diverse zone della città, permettendo uno spostamento rapido – ovviamente pedalando su due ruote – con zero spesa, zero inquinamento, zero stress.

La Bicipolitana è in perpetua fase di sviluppo. Si è partiti nel 2010 con un totale di 55 chilometri di piste ciclabili protette; nel 2011 erano 65; nel 2014, 77; nel 2016, 85. E certamente nei prossimi anni la rete si infoltirà sempre più. Ad oggi, sono 11 gli itinerari ciclabili della Bicipolitana, identificati ciascuno da un numero e da un colore, per permettere al ciclista di riconoscerli subito e memorizzarli facilmente. Ogni itinerario ha una direttrice definita, e snodi e incroci che consentono di passare da un percorso all’altro. Inoltre ci sono tratti di piste ciclabili non numerati, indicati dal colore grigio, che servono da raccordo fra due percorsi vicini.

All’inizio di ogni percorso c’è il cartello di indicazione del numero della pista, unitamente al segnale stradale di “inizio pista”. Lungo l’itinerario, i cartelli delle “fermate” indicano il percorso completo della linea che si sta percorrendo, gli incroci con le altre linee e la propria posizione. Non solo: segnalano anche le distanze fra le varie “fermate” e i luoghi di interesse raggiunti da queste ultime (mare, centro, ecc.). Il tratteggio, invece, indica i tratti in progettazione.

Piacenza mi pare abbia una vocazione naturale all’uso della bicicletta, proprio come Pesaro: territorio pianeggiante, distanze relativamente brevi, esigenza di ridurre l’uso delle autovetture. La Bicipolitana potrebbe nascere anche qui da noi per incentivare e potenziare questa vocazione, definendo una rete di itinerari ciclabili che sviluppano e collegano le piste esistenti con quelle da realizzare ex-novo.

Gli obiettivi sono molteplici. Rendere accessibili tutti i luoghi della città nel modo più diretto possibile, attraverso itinerari ciclabili completi, continui ed omogenei. Sviluppare il concetto di intermodalità attraverso l’organizzazione e lo scambio tra sistemi di trasporto autobus-auto-bici (con un adeguato servizio di parcheggi-bici scambiatori). Salvaguardare la sicurezza dei ciclisti. Favorire la riqualificazione urbana.

Senza considerare gli indubbi vantaggi della bicicletta: riduce il traffico automobilistico e il conseguente inquinamento atmosferico e acustico; riduce la spesa per il carburante; rende più diretta l’interazione con la città; fa bene alla salute.

Ho già avuto modo, a settembre, di segnalare ad alcuni assessori questa splendida idea. Ed ho fiducia che essa possa essere presa in seria considerazione, partendo da quelle piste ciclabili – poche per la verità – ad oggi provviste dei requisiti per essere definite tali ed essere incluse in una futura Bicipolitana; per poi pensare, subito dopo, a nuove piste da realizzare per il collegamento sicuro alla città delle varie frazioni (come peraltro richiesto a gran voce dai relativi residenti, nei vari incontri avuti in autunno con il sindaco). Avviata in questo modo, la rete della Bicipolitana non potrà che svilupparsi anno dopo anno, chilometro dopo chilometro, senza più fermarsi. Ciò che occorre è iniziare. E adesso mi sembra davvero il momento migliore per farlo» .

 




Giardino: “governare cum grano salis in quest’epoca di casse semivuote”

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato dal consigliere comunale Forza Italia Michele Giardino che interviene sulle linee di programma presentate nei giorni scorsi dal Sindaco di Piacenza e sullo “scontro” con Confindustria.

Nei sistemi liberali storici, lo Stato garantiva la concorrenza in ambito economico. Nel sistema globalizzato attuale, è invece l’economia a mettere in competizione gli Stati. E questo perché, nella penuria di risorse finanziarie di cui può disporre un ordinamento statale, riuscire ad attrarre nuovi investimenti, nuovi insediamenti industriali, nuovi progetti significa assicurare un incremento di ricchezza alla collettività di riferimento.
E’ naturale che la gara coinvolga anche le regioni, le province, le città: se i trasferimenti dal centro diventano sempre più esigui, ma tutte continuano ad avere spasmodico bisogno di soldi, è inesorabile che tutte finiscano per gareggiare tra loro (in ultima analisi, anche la sfida che diversi comuni si lanciano ogni anno per diventare Capitale della cultura ha finalità economiche).
A Piacenza si prova a invertire la rotta. Meglio: si prova a rimettere in sella la politica, per governare cum grano salis quest’epoca di casse semivuote. Nella convinzione che assecondare ciecamente i diktat economici – in questa assurda competizione tra soggetti pubblici – possa determinare un ribasso della qualità dell’azione amministrativa e, per tale causa, un suo sempre minore orientamento a soddisfare le esigenze della cittadinanza.
Gli italiani hanno capito che il tempo delle vacche grasse è terminato. I piacentini, pragmatici come pochi in Italia, lo hanno capito forse prima e meglio degli altri. Da qui la scelta di Patrizia Barbieri sindaco: una scelta di sobrietà, compostezza, realismo. E nelle linee programmatiche di mandato il sindaco non li ha delusi: li ha onorati, ha onorato le loro aspettative.
Non solo. Nel giorno in cui tali linee venivano presentate al Consiglio comunale (lunedì 13 novembre), su Libertà veniva pubblicata la risposta del sindaco ai vertici locali di Confindustria (che avevano puntato il dito contro le frenate della giunta su alcuni appalti precedentemente avviati: nuova piscina, piazza Cittadella). Si riporta il titolo eloquentissimo: “Rispondo ai piacentini, non a qualche imprenditore che mi tira la giacca”. Pochi soldi, da spendere bene, nell’esclusivo interesse dei cittadini, evitando nuovi debiti.
Si è trattato di un “uno-due” pugilistico difficile da non percepire. Solo le minoranze non l’hanno percepito, ma era previsto dal copione.