Giovani piacentini all’estero, quanti sono?

Un recente studio Istat, basato sul 2016, ha rivelato le abitudini dei giovani italiani (il riferimento va dai 18 ai 39 anni) in materia di lavoro e nello specifico quanto sono “stanziali” nel Belpaese. Un’elaborazione Infodata del Sole 24 Ore rivela che fattori come il bilinguismo accentuano molto le probabilità di spostamento in questo frangente storico, ma non solo.

Bolzano infatti spicca in questa classifica con quasi l’1%. Il capoluogo altoatesino, così come tutte le province di confine ha valori piuttosto alti nella classifica assieme ad esempio a Trieste, Imperia, Verbania e Sondrio. Piacenza in questa classifica si trova nelle zone medio basse, con 35 giovani su 10 mila che cercano fortuna all’estero, in Regione il dato è abbastanza omogeneo, spicca Bologna con 38 giovani su 10 mila, mentre Modena risulta ultima con 30 giovani su 10 mila in cerca di fortuna oltre confine. Spicca la vicina Lodi in Lombardia dove 65 giovani su 10 mila varcano il confine, mentre Teramo, dopo Bolzano è la più “vivace”, con 77 giovani su 10 mila.

Le motivazioni ovviamente possono essere molteplici, possono variare caso per caso, ma disagi dovuti a mancanza di opportunità, vivacità culturale possono essere aspetti da tenere presente per valutare correttamente il fenomeno, che vede in ogni caso 60 mila giovani oltre i confini nazionali. 

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Sfatiamo qualche mito, tutti i dati sui migranti in Italia

Ne avevamo già parlato in un articolo passato facendo notare dopo il voto del 4 marzo, dati alla mano, che “nonostante la maggioranza delle province segnate vedano una diminuzione o una stabilità del numero di stranieri nel corso del quinquennio 2012 – 2016, i risultati alle urne dicono che la Lega conquista risultati dal 10 al 40% superiori alla media nazionale”.

Un recente Fact Checking di ISPI, l’Istituto per gli Studi delle Politiche Internazionali, approfondisce la questione, sulla base anche dei recenti avvenimenti politici. Viene mostrato che nei primi mesi del 2018 sono sbarcati in Italia circa 9300 migranti, il 75% in meno rispetto allo stesso periodo di un anno fa (su una popolazione di 60 milioni di abitanti circa). Questo fatto è da attribuire non alle politiche di Salvini, insediatosi all’Interno da poche settimane, ma del suo predecessore, Marco Minniti, che si accordò con le milizie armate della Libia, molto attive nei mesi scorsi a bloccare le partenze dei barconi rafforzando parallelamente il potere della Guardia Costiera libica.

Per quanto concerne il numero delle richieste d’asilo, si può dire che effettivamente sono aumentate considerevolmente nel periodo 2014 – 2017. Ma dalla seconda metà del 2017 in poi, probabilmente grazie anche alle politiche del precedente Ministro dell’Interno, questo numero si è drasticamente ridotto, le richieste esaminate sono ferme a circa 7 mila al mese dal 2015. Inoltre, i costanti deficit mensili tra domande presentate ed esaminate hanno portato a un significativo accumulo delle richieste d’asilo ancora da evadere: se a gennaio 2014 queste ultime erano meno di 15.000, a inizio 2018 sfioravano le 150.000.

Si può notare un’impennata nel tempo medio per decisione di prima istanza in seguito a richiesta d’asilo: siamo passati da 8/9 mesi degli anni passati a più di 18 mesi del 2017, in piena “epoca Minniti”. Questo ha fatto si che molti richiedenti si trovassero letteralmente “a spasso”, in attesa di giudizio. Facendo un paragone con la Germania, si può notare che Berlino riesce ad esaminare circa 50 mila richieste al mese, contro appunto le 7 mila italiane. In conclusione, le politiche precedenti a quella del nuovo Governo avrebbero portato a una situazione difficilmente sostenibile.

Si è sentito dire spesso che l’Unione Europea ci ha lasciati soli. Di per sè questa affermazione può essere vera, stando ai dati: tra settembre 2015 e aprile 2018 sono sbarcati in Italia quasi 350 mila persone, i piani di ricollocamento d’emergenza avviati dall’Unione europea prevedevano di ricollocare circa 35.000 richiedenti asilo dall’Italia verso altri paesi Ue. Gli aiuti europei coprono solo una minima parte delle spese italiane per far fronte a questa “emergenza”: nel 2017, per esempio, gli aiuti Ue ammontavano a meno del 2% dei costi incorsi dallo Stato italiano per gestire il fenomeno migratorio (4 miliardi di euro spesi dall’Italia contro 77 milioni investiti dall’Europa).

Va detto però che l’Europa potrebbe aver dirottato il proprio denaro verso lidi più interessati al fenomeno: in Europa l’Italia ha un’incidenza di rifugiati molto bassa: 2 su mille. Veniamo dopo, nell’ordine, Svezia, Malta, Norvegia, Austria, Cipro, Svizzera, Germania, Olanda, Danimarca, Francia, Serbia, Belgio, Lussemburgo, Finlandia e Bulgaria.

In conclusione si può considerare che le migrazioni certo non si arresteranno, anzi. Oltre al dato sull’aumento della popolazione mondiale, si può vedere che la pressione migratoria dall’Africa subsahriana è destinata ad aumentare drasticamente dal 2020 al 2050. Se restasse invariata anche la propensione a raggiungere l’Europa, di questi 30 milioni di migranti in più, circa 7,5 milioni arriverebbero in Europa entro il 2050. Sarà necessario fermarli tutti o cercare un dialogo costruttivo? “Aiutarli a casa loro”, non basta.

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Quanto hanno studiato i criminali? Uno studio de Il Sole 24 Ore lo spiega

Vi ricordate i fratelli Mortimer e Randolph Duke di Una poltrona per due? E la loro scommessa di trasformare un ricco agente di cambio laureato ad Harvard (Winthorp) in un criminale, e allo stesso tempo rimpiazzarlo con un vagabondo (Valentine)? In quel caso si voleva dimostrare che il contesto in cui si è cresciuti conta fino a un certo punto per arrivare a delinquere.

Il Sole 24 Ore ha cercato di trovare una correlazione simile, incrociando i dati (per Regione) del numero di laureati ogni 1000 abitanti messi a disposizione dall’Istat e le denunce presentate nel 2016, fornite dal Dipartimento per la pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno. Si scoprono così molte informazioni interessanti, soprattutto verificando per tipologia di reato.

Prima di tutto, i criminali non sono necessariamente degli inetti. Nella categoria più generica dei “Furti”, si vede nel 2016 che se in Emilia Romagna ci sono 132,76 laureati ogni 1000 abitanti (590 mila totali), in reati in esame denunciati ammontano a 31,12 per 1000 abitanti (138 mila totali). Curioso il caso dei furti con destrezza: c’è una correlazione positiva tra il numero di denunce e quello di laureati. Per quanto concerne le “truffe e le frodi informatiche” è curioso notare una correlazione positiva con la quota di laureati in tutte le Regioni. Evidentemente sono in pochi quelli che hanno studiato quella che gli inglesi definiscono “computer science”.  In Emilia Romagna nel 2016, sui 132,76 laureati ogni 1000 abitanti di cui sopra, i reati di questo genere sono 2,706 per 1000 abitanti (12 mila totali!). Lo stesso vale per i furti negli esercizi commerciali e per quelli in abitazione.

In controtendenza i “furti di autovetture”, infatti sono solo 0,643 su 1000 abitanti. Solo in Lazio la tendenza positiva rimane, con 153,72 laureati ogni 1000 e 2,983 denunce (17 mila 500 totali). In buona sostanza, non importa che un delinquente sia o meno istruito, è importante che venga consegnato alla giustizia.

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