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    Enrico Bartolini. Lo chef tre stelle racconta i suoi legami con Piacenza

    Enrico Bartolini è reduce dalla terza stella Michelin. Non ha ancora metabolizzato il più importante riconoscimento che uno chef possa meritare che, nel ridotto del teatro Municipale di Piacenza, deve sottoporsi ad una raffica di interviste perché oggi la vera stella, la star è lui.

    Quarant’anni giusti giusti, toscano d’origine, con i suo ristoranti ha all’attivo ben otto stelle Michelin. Cinque quelle conquistate solo nella giornata odierna, tre nel suo ristorante milanese al Mudec e due nel locale veneziano Glam.

    Eppure resta con i piedi per terra anche nel modo di atteggiarsi e di rispondere alle domande dei giornalisti, conscio del suo valore, severo con sé stesso, ma gentile e disponibile.

    Parla del valore dei prodotti del territorio in un paese ricco di eccellenze come è l’Italia e ricorda i suoi primi passi in cucina.

    «Ho iniziato a lavorare a 14 anni con un parente che aveva un ristorante e che di questi tempi si definirebbe un’osteria. Tanti coperti, uno spiedo. Oggi io desidero avere lo spiedo in cucina come lui aveva e faceva il polletto che dava da asporto, prima di mezzogiorno, alle famiglie del paese. Quel sapore li lo voglio mettere nel piatto. La cucina di mia nonna mi piaceva. C’erano delle ricette che mi davano una “goduria” incredibile. Spero che io per gli ospiti possa cucinare meglio di mia nonna, dando quello stesso piacere ma con l’esperienza e la professionalità che ho acquisito nel tempo».

    Se dovesse parlare di sé come si descriverebbe?

    «Sono un giovanotto entusiasta del mio mestiere; ho tre figli a cui tengo molto: se non facessero questo mestiere non gliene farò un peccato ma mi auguro che abbiano buoni stimoli dalla gastronomia italiana e che almeno siano dei grandi clienti di ristoranti ed osterie. Sono una persona che desidera condividere con il proprio team il successo di oggi ma anche le idee e la concretezza di quello che abbiamo in mente per il prossimo menù e conservare lo spirito autocritico che fino ad oggi, pranzo e cena, prima del servizio ci ha accompagnato a volte anche in modo troppo severo, al punto di avere delle ansie tali da aver bisogno di un dottore per guarirle».

    Cosa ha provato oggi quando ha sentito il suo nome?

    «Mi sono distratto. Ho visto tre stelle. Era tutto buio. Ho sentito Remo Capitaneo che mi era a fianco e che mi abbracciava. Mi è venuto un nodo alla gola che non avevo da tempo. Poi ho visto che si è aperto il varco e son salito sul palco. Ero senza parole. Ho detto solo che ero emozionato e che Milano è una grande città e che per me era un po’ come vincere le olimpiadi. M sentivo quasi come  Jury Chechi sugli anelli nel ’96 ad Atlanta».

    Era da tanto che le tre stelle mancavano da Milano.

    «In effetti si. Le tre stelle mancavano a Milano dal 1993 quando Gualtiero Marchesi si trasferì in Franciacorta».

    Come è stato vincere qui a Piacenza?

    «Piacenza? Qui ho dei ricordi pazzeschi perché nel 2007 mio figlio Tommaso è nato nell’ospedale di Piacenza. Io ero in Oltrepò Pavese all’epoca e Piacenza era un ospedale comodo. E’ emozionante sapere che in questa città dove oggi è successa questa cosa è nato lui. E’ anche emozionante ricordarmi che nel mio giorno libero venivo qui da Filippo Dattilo Chiappini. Quando sono andato la prima volta da lui, nel 2005, ero emozionato … andare a cena da uno stellato che aveva già alle spalle una grande carriera, allievo di Cogny, in un posto bellissimo. Mi ricordo di aver mangiato i ravioli più buoni della mia vita, per la prima volta da lui. Erano i “tortelli del Farnese” intrecciati come poi ho ritrovato in Cina. Credo che i cinesi vi abbiano copiato … anche se li fanno dal 1200, son sicuro che a Piacenza si son fatti prima».

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