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    Ha fatto bene Facebook ad eliminare gli account di Casapound (anche quello piacentino)?

    Come è noto Facebook ha deciso di oscurare tutti gli account social di Casapound fra cui anche quello del raggruppamento piacentino del movimento.

    Facebook è un’impresa privata e dunque i più sostengono che, per questo, sia libera di fare ciò che vuole a casa propria. Iscrivendosi al network online di Zuckerberg ognuno ne accetta le regole.

    Però non tutti la pensano così ed i militanti del movimento politico stanno imboccando la strada del tribunale per far “cambiare idea” al colosso di Seattle.

    Fra questi il responsabile piacentino di Casapound, Pietro Pavesi, molto attivo sui social network, che ha mostrato tutta la sua indignazione, definendo la decisione “paradossale”, ed invocando vie legali per ripristinare la situazione, nonchè il “diritto di parola e opinione” dello stesso Movimento.

    Come sempre, davanti a simili questioni, l’opinione pubblica si spacca in due. C’è chi pensa che Facebook abbia troppa discrezionalità ed arrivi spesso ad “punire” persone e gruppi rimuovendone contenti arbitrariamente anche quando non offendono nessuno.

    Tanto per restare a Piacenza Stefano Torre, il famoso ed iperbolico candidato sindaco con la tuba in più occasioni è stato sospeso dal social per frasi ironiche che gli algoritmi bacchettoni di Facebook evidentemente non riescono a comprendere appieno.

    Diversa e più seria è la vicenda di Casapound i cui modi ed idee di possono non piacere a tanti a causa di riferimenti culturali che si rifanno ad un passato, quello fascista,  che la stessa Costituzione vieta e ripudia.

    Però si tratta di un movimento politico che si muove negli alvei della legge, tanto da aver presentato propri candidati in varie tornate elettorali. Dunque quella di Facebook è censura ed ingerenza nella vita politica di una democrazia? Taluni pensano di si e credono che se oggi è toccato a Casapound domani potrebbe toccare a qualcun altro..

    Dalla parte opposta della barricata invece c’è chi ritiene la scelta di Facebook sacrosanta.

    Il nostro collaboratore Emanuele Maffi è fra questi e, nelle righe che seguono, argomenta la sua opinione.

    Il fatto è che Facebook in questo caso ha pienamente ragione, per una serie di motivi, che il lettore più attento potrà verificare anche con una semplice ricerca online.

    Va detto che la libertà di parola e di pensiero sono cardini imprescindibili della nostra democrazia, e sono tutelati, giustamente.

    Ma, come ricorda in primo luogo l’art. 21 della Costituzione, il diritto di manifestare il pensiero in ogni forma è libero, tranne nei casi di reati (ingiuria, calunnia, diffamazione, vilipendio, istigazione a delinquere, ecc.) e nel caso di oltraggio al “buon costume” (es. i cosiddetti atti osceni).

    Anche la Corte di Cassazione si è espressa più volte in merito, con particolare riguardo all’art. 595 del codice penale (diffamazione).

    Aggiungiamo anche alcune norme comunitarie, che in base al principio di preferenza sono superiori a quelle statali: l’ art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (paragrafo 2) stabilisce che l’esercizio delle libertà comporta doveri e responsabilità speciali, comportando una restrizione del diritto in questione in casi come il rispetto dei diritti o della reputazione altrui o la salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della sanità o della morale pubbliche. Lo stesso art. 29 approfondisce la questione.

    Anche la CEDU (Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo) si è espressa in materia all’articolo 10.

    L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.  

    Insomma, i limiti esistono. Altrimenti chiunque potrebbe dire quello che vuole, internet e i social sarebbero anarchia pura (Anche se a volte i toni vi si avvicinano). Perciò non si vede perchè la scelta di Facebook, presa per account di tante altre città, non dovesse ricadere anche su Casapound Piacenza.

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