Dopo il successo dell’incontro con Telmo Pievani sulla riscrittura del DNA, eccoci già al secondo “Giovedì della Bioetica”, in Fondazione, con la scienziata Speranza Falciano, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Roma, che affronterà il tema della “Discriminazione di genere nelle scienze dure. Uomini contro donne?”.
Speranza Falciano, fisica, ai vertici della ricerca italiana ed europea, ha svolto la sua attività scientifica in Italia e all’estero nel campo della fisica delle particelle elementari. Ha partecipato a numerosi esperimenti di fisica delle particelle al CERN ed ha contribuito alla scoperta del bosone di Higgs.
In qualità di componente della Giunta esecutiva dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, di cui è stata vice presidente, Speranza Falciano segue i programmi di Ricerca e Sviluppo dell’Istituto nei settori della fisica degli acceleratori di particelle, dei rivelatori, dell’elettronica e della fisica interdisciplinare. Si è dedicata a lungo alle problematiche delle applicazioni delle metodologie e delle tecnologie della fisica nucleare e subnucleare alla società e alle imprese. E’ autrice di più di 800 lavori scientifici.
«Le statistiche di genere raccontano – denuncia subito la fisica Speranza Falciano – una carenza persistente delle donne nelle scienze dure, le cosiddette STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), in particolare nell’accademia e negli enti di ricerca, ma anche nel mondo del lavoro per professioni di tipo scientifico e tecnologico. Ad ostacolare la partecipazione delle donne allo studio delle scienze dure, alla ricerca scientifica e alle professioni tecnologiche concorrono irriducibili stereotipi e forti pregiudizi che associano la scienza alla razionalità maschile, rispetto alla emozionalità femminile non adatta alle discipline scientifiche ma piuttosto umanistiche (eredità del dualismo aristotelico)».
«I dati mostrano inoltre – aggiunge Speranza Falciano – un meccanismo di segregazione orizzontale per il quale le donne sono molto presenti nelle discipline umanistiche mentre sono in forte minoranza in diverse discipline scientifiche, nonché una segregazione verticale che impedisce alle donne di fare carriera quando sono inserite in un percorso di tipo scientifico/tecnologico a forte dominanza maschile».
«A partire dalla fine degli anni ’90 – spiega ancora la fisica Falciano – la Commissione Europea ha fatto molto per evidenziare questo problema sociale mettendo in campo gruppi di lavoro con esperti di Pari Opportunità per studiare il problema del rapporto tra Donne e Scienza. Da allora ha finanziato progetti che mirano a far crescere l’interesse delle donne per la scienza, partendo anche dalle prime classi dell’infanzia, progetti di mentoring per le ragazze da parte di donne di successo mirati ad accrescere la capacità di leadership e infine, molto importante, progetti che portano a cambiamenti strutturali nelle organizzazioni, soprattutto in quelle universitarie e di ricerca».
«Molte istituzioni pubbliche – conclude Speranza Falciano – sono dotate di piani di azioni positive orientati a migliorare la parità di genere nel mondo del lavoro. Il percorso per la parità, in particolare nell’area delle discipline delle scienze dure, è ancora lungo e soprattutto troppo lento, ci si pone quindi la domanda se tra le azioni da mettere in campo non si possa favorire un percorso più rapido di quote rosa o di azioni rivolte a favore solo delle donne per invertire la tendenza e ripartire da un piano di parità per costruire un futuro in cui la diversità abbia finalmente acquisito il valore che merita».
Nel mese di aprile ci sarà un altro “giovedì della Bioetica”: la prossima settimana, l’11 aprile con il prof. Domenico De Masi, della Sapienza di Roma, che parlerà del “Lavoro nel XXI Secolo”.