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    San Matteo, disdetta del contratto di affitto. Le associazioni fruitrici chiedono più trasparenza alla Fondazione Teatri

    Le associazioni e gruppi teatrali fruitrici del Teatro San Matteo non sono convinti della decisione presa dalla Fondazione Teatri di Piacenza di disdire il contratto di affitto che li legava alla struttura e sostanzialmente permetteva loro di continuare la propria attività lavorativa. La lettera, frutto di questo malcontento, è firmata da GRUPPO TEATRALE QUARTA PARETE, PIACENZA KULTUR DOM, CANTIERE SIMONE WEIL, GRUPPO TEATRALE LE STAGNOTTE, ASS. CULT. THE IMPERFECT SPEAKERS, GRUPPO TEATRALE TRA-ATTORI
    GRUPPO TEATRALE LE VISSOLE, THEATRE OF ETERNAL VALUE, GRUPPO TEATRALE GLI IMPROBABILI. In essa si evidenzia il “pressoché totale disinteresse per tutte le realtà culturali” non istituzionali, “quasi fossero invisibili”. 

    LA LETTERA

    Siamo associazioni e gruppi teatrali  (amatoriali e non) utilizzatori del Teatro San Matteo, in forza di una convenzione che concede da parte della Fondazione Teatri  a diversi gruppi l’utilizzo di tale teatro. Il Teatro San Matteo è diventato da molti anni a questa parte la “nostra casa teatrale”, lì abbiamo prodotto spettacoli, allestito rassegne e laboratori e migliaia di persone sono stati spettatori degli eventi proposti.

    Il 30 giugno scorso siamo venuti a conoscenza, in via indiretta e casuale, della disdetta del contratto di affitto del Teatro San Matteo operata dalla Fondazione stessa.  A tutt’oggi, in barba ai criteri di trasparenza precisati nella convenzione di cui noi siamo firmatari, a nessun gruppo è stata notificata questa disdetta.

    Rilevata la strana coincidenza della data di disdetta con la convocazione in videoconferenza da parte dell’Assessore alla Cultura Papamarenghi di un incontro con le associazioni e gli operatori culturali piacentini; rilevata altresì l’assenza dal tavolo di confronto indetto dall’Assessore per le varie realtà culturali piacentine della Fondazione; rilevato anche che l’Assessore era, a suo dire, totalmente all’oscuro dell’esecuzione della disdetta, i sottoscritti hanno chiesto una convocazione urgente alla Fondazione Teatri, per fare chiarezza su un fatto che ritengono scorretto e di estrema gravità.
    I sottoscritti fanno presente che questa disdetta è stata praticata senza che fosse comunicato questo intento, ledendo così i diritti dei firmatari, diritti collegati alle necessità di programmazione delle singole attività artistiche, eludendo il concetto di trasparenza e di correttezza.

    Al di là delle norme procedurali esistono, in ogni caso e comunque, modalità riconducibili alle buone relazioni e alla trasparenza che dovrebbero regolare i rapporti e che a parere dei sottoscritti sono state decisamente disattese. L’art. 11 dell’accordo del luglio 2019 peraltro, e fra l’altro, specifica: “…sarà cura della Fondazione provvedere a convocare riunione di confronto al fine di ottimizzare costantemente la relazione ed il confronto con i gruppi e, conseguentemente, definire procedure concordate”.

    Questo episodio si inquadra in una serie di situazioni che vanno tutte in una stessa direzione: grande attenzione da parte della Fondazione Teatri ai partners istituzionali, sempre e comunque sostenuti, e pressoché totale disinteresse per tutte le altre realtà culturali, quasi fossero invisibili. Che piaccia o meno, il tessuto culturale di una città è composto da tutte le realtà che producono cultura sul territorio e non solo da quelle che una fondazione ritiene di accreditare. 

    E’ una grossa deficienza e ambiguità, propria del Comune di Piacenza, che perpetua un atteggiamento distintivo ed esclusivo a favore dei soliti noti. Nel caso di Piacenza, in specifico riferimento all’ambito teatrale, si può addirittura ipotizzare un caso ravvicinabile al monopolio. Ma la cultura può essere monopolio di una sola realtà? Nell’ultimo accordo finalizzato alla concessione in uso temporaneo del Teatro San Matteo (integrativo della convenzione in atto), datato luglio 2019, si legge, fra l’altro: “tra gli scopi istituzionali perseguiti dalla Fondazione, rientrano, a pieno titolo, la promozione ed il sostegno ad attività ed iniziative di Gruppi, Associazioni, Compagnie amatoriali e professionali operanti nel settore del Teatro poiché tali soggetti costituiscono una risorsa fondamentale per la comunità locale e si connotano quali portatori di un importante contributo artistico/culturale riconosciuto ed apprezzato”. 

    I sottoscritti si chiedono se questo sia il modo per riconoscere ed apprezzare il loro contributo.
    Il problema è che non esiste un progetto, una prospettiva che inquadri tutta l’attività culturale della città, ma si continua a dare fondi a chi già ne introita a profusione. E’ chiaro che le realtà sono diverse, per esperienza, per qualità di lavoro, per impatto culturale. Ma da qui a evitare di prendere atto che a Piacenza esistono da anni molte realtà serie, che allestiscono rassegne, che ospitano realtà da tutto il territorio nazionale, che portano il proprio lavoro e la propria esperienza in vari ambiti regionali, c’è una bella differenza. Differenza che si traduce in una sorta di invisibilità che fa di Piacenza il solo capoluogo regionale in cui non esiste una sana condivisione di diversi percorsi culturali. C’è chi sta in serie A e gli altri si arrangino.

    Tutte le considerazioni appena esposte non sono una novità, ma ora la chiusura del Teatro San Matteo, o comunque la ridefinizione del suo utilizzo, va a far risaltare ulteriormente questa discrasia fra chi esiste e chi si fa finta che non esista.
    Vale la pena fare presente che il Teatro San Matteo, negli ultimi anni ha subito un vero e proprio restyling, grazie al proprietario sig. Codeghini, che ha provveduto a sue spese a diverse migliorie, sia tecniche (attrezzeria teatrale) che estetiche. Teatro che la stragrande maggioranza delle persone che vi entrano definisce un gioiellino (fatta eccezione per il precedente utilizzatore che lo ha definito mesi fa, in un significativo articolo apparso su Libertà, un mercato delle pulci). Questo lavoro di restauro in cui si è prodigato il proprietario, è stato incentivato dall’aver constatato, negli anni, quanti gruppi, teatrali, musicali, di danza hanno proposto i loro spettacoli, quanti laboratori di scuole di vario ordine e grado si sono tenuti lì, quante associazioni hanno potuto incontrare tanti cittadini in questo accogliente teatro. Siamo in grado di dettagliare quante e quali realtà si siano succedute negli ultimi anni.

    E i numeri sono davvero importanti e incontestabili. Vogliamo togliere adesso questo spazio a tutte queste realtà? Per quale motivo? A favore di chi? Che alternative si prospettano? Sono domande quasi ovvie, apparentemente banali, ma essenziali. Le istituzioni cittadine (vedi Fondazione), come del resto un Assessore alla Cultura, hanno il diritto di operare secondo proprie strategie, ma agendo nel rispetto di tutti, in modo democratico, e hanno nel contempo il dovere di garantire ai propri concittadini la trasparenza nell’agire.
    Per questo motivo le chiediamo di pubblicare questa lettera, che esprime il nostro disappunto per questa nebulosa situazione.

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