A differenza di quella classica figurativa, che si capisce al primo sguardo, l’arte contemporanea spesso necessità del cartello esplicativo per essere pienamente compresa (dai non adepti) e talvolta nemmeno le “note a margine” riescono nel loro intento chiarificatore.
Anche la mostra “La rivoluzione siamo noi” ospitata nel palazzo XNL di Piacenza, non fa eccezione: apprezzatissima dalla stampa specializzata, presente all’anteprima odierna, è risultata assai meno intellegibile per chi ha concluso la propria preparazione artistico/scolastica senza “affrontarla”.
Nell’arte moderna, in molti, casi è il messaggio a prevalere sulla tecnica, archiviando il concetto di bello con cui siamo stati nutriti.
Vi sono installazioni contemporanee che fanno discutere, talvolta anche tanto, ma vale comunque sempre la pena vederle se non altro per poter dire … “Magritte tutta la vita”.
Alcune opere esposte nelle sale del ritrovato palazzo di via Santa Franca sono “elementari” e “capibili” anche senza essere Watson, altre (se prive di cartellino) necessiterebbero dell’aiuto di Sherlock Holmes per essere comprese.
E’ così per Blue Spirit di Mario Airò: si tratta di un tavolo collocato su un tetto, con una bottiglia di vetro trasparente collocata sul piano di legno. Un’installazione visibile dalla finestra della sala polivalente di XNL che, se non ci fosse il solito “cicerone cartaceo”, passerebbe inosservata o tuttalpiù parrebbe un rimasuglio lasciato da uno sbadato operaio durante i lavori di ristrutturazione.
“Anch’io lo saprei fare” è la classica frase che accompagna la visione di svariate opere
E’ bastato un taglio di Lucio Fontana su una tela del suo assistente Hisachika Takahashi per rendere il quadro (e l’artista giapponese) famoso. Se quel taglio lo avesse fatto chiunque altro sarebbe stato solo un atto di vandalismo.
Allo stesso modo alcuni fusti colorati dell’installazione di Jimmie Durham possono sembrare il retro di una disordinata officina meccanica ed invece, con lo sversamento di liquido sul pavimento, vogliono simboleggiare il disastro ecologico che si sta compiendo sul nostro pianeta.
Non manca ovviamente l’opera di Maurizio Catellan da cui prende il nome la mostra “La rivoluzione siamo noi” che – come recita la spiegazione – «ribalta ironicamente il titolo dell’omonimo lavoro di Joseph Beuys e diventa una riflessione sull’artista contemporaneo nella società del presente».
A poca distanza un termosifone di resina giallo ed un secchio da muratore ospitato da una lussuosa custodia imbottita di velluto rosso. Perché anche uno strumento umile, usato da un operaio in un cantiere … può essere nobilitato e custodito lussuosamente, divenendo opera d’arte (contemporanea). Liberamente interpretabile invece il significato del gigantesco orso peluche che metre sorride davanti … sul retro ha espletato le sue necessità lasciando ingombranti tracce organiche: una bella pupù altresì classiificabile come boassa, per fortuna di resina (almeno si spera).
C’è solo da augurarsi che non capiti quanto già successo in mostre simili ossia che un qualche solerte addetto alle pulizie confonda per detriti di cantiere l’installazione di un qualche artista, facendola finire in discarica. Dopo il Klimt ritrovato non vorremmo che Piacenza subisse un’altra sparizione.