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    Birrificio Retorto. Una birra in compagnia del mastro birraio Marcello Ceresa

    Prodotta a partire da malto di cereale, luppolo, lievito, e acqua, la birra è una delle bevande più antiche della storia dell’uomo. Sull’argomento esistono molti luoghi comuni (per lo più errati). Uno di questi è sicuramente  quello relativo alla cosiddetta “pancia da birra”. La bevanda al luppolo, infatti, contiene in media 40 kcal ogni 100 grammi, meno del vino o di un semplice succo di frutta. Inoltre, la birra apporta all’organismo umano: calcio, potassio, magnesio, ferro, e molte vitamine del gruppo B.

    Insomma le scuse per difendersi dalle accuse delle proprie dolci metà, quando vi colgono in flagranza di una bella bionda … in boccale, ci sono tutte!

    Proprio per parlare di birra, ho incontrato Marcello Ceresa, mastro birraio del Birrificio Retorto di Podenzano. Incominciamo la conversazione, seduti al tavolo di un pub, ordinando (neanche a dirlo) una Morning Glory, da lui prodotta. Si tratta di una birra ambrata dai sentori fruttati, stile American Pale Ale.

    Marcello è laureato in Scienze e tecnologie alimentari. Da sempre appassionato di birra, ha subito sfruttato le nozioni apprese in aula per fare pratica nel campo delle birre artigianali. Mischiando talento e volontà, è riuscito così a trasformare la sua passione in lavoro.

    Prima di tutto, ne approfitto per chiedere lumi su una questione che da anni è la causa della fine prematura di molte amicizie: come si versa in modo corretto una birra.

    «Dipende dallo stile di spillatura, ma soprattutto da quanta fretta hai. Se vuoi bere una buona birra, secondo me, devi saper aspettare. Una birra spillata con calma si beve meglio, non gonfia. E la schiuma ci vuole, alta due dita, per mantenere intatti i sapori e gli aromi all’interno del bicchiere».

    Quando hai scoperto la tua passione per la birra?

    «Può sembrare strano, ma molto presto. Quando ero poco più di un ragazzino, dalle colline sopra Ponte dell’Olio guardavo le strutture dell’ex Cementi Rossi. Sognavo di farci dentro un birrificio. Poi a diciannove anni ho assaggiato le prime birre artigianali e lì mi si è aperto un mondo».

    Come hai iniziato a lavorare nel “mondo birra”?

    «Lo studio universitario mi ha dato una mano nella gestione delle fermentazioni e dei processi biochimici. Ma la vera scuola si fa sul campo. All’inizio ho fatto pratica in casa, sperimentando birre. In seguito ho lavorato più di un anno al Birrificio Docks di Niviano e poi circa 2 anni al Birrificio Toccalmatto di Fidenza. Finalmente – quando le finanze l’hanno concesso – ho deciso di mettermi in proprio, con l’aiuto di mia sorella Monica».

    Quando è nato il birrificio Retorto?

    «Il Birrificio Retorto è nato nel 2011. Io sono il mastro birraio, mia sorella Monica è responsabile della parte grafica, e mio fratello Davide si occupa del merchandising. E poi c’è Marcello Bettinardi, mio amico di infanzia, che lavora alla produzione».

    Retorto paese

    Cosa significa “Retorto”?

    «Il nome “Retorto” prende spunto dall’omonimo paesino dell’Alta Valnure, nel Comune di Ferriere. Non sono originario di quei luoghi, ma amo la zona. E poi mi piaceva anche l’idea di un re che si aggirasse “torto” (barcollante) dopo qualche birra di troppo».

    Fin da subito, il birrificio Retorto ha avuto molti riconoscimenti.

    «Nel 2013 Ratebeer ci ha definiti “miglior birrificio emergente italiano dell’anno”. Abbiamo vinto premi in manifestazioni come “CIBA” (Campionato Italiano Birre Artigianali), “Italia Beer Festival”, “Birra dell’Anno”. Sono soddisfazioni, significa che il lavoro produce risultati. A Rimini, dal 16 al 19 Febbraio, ci sarà la nuova edizione di Birra dell’Anno. Speriamo di portare a casa qualcosa».

    Le tue birre hanno nomi davvero singolari, cosa significano?

    «Cerco nomi che siano d’impatto. Ad esempio, creando la birra Latte Più, ho voluto fare un omaggio al film “Arancia Meccanica” del grande Kubrick. Si tratta di una birra ispirata alle classiche bianche belghe. È fresca e facile da bere».

    Qual è la tua filosofia produttiva e come nasce una birra Retorto?

    «Cerchiamo di produrre birre con carattere, ma allo stesso tempo che siano facili da bere. Quindi amare sì, ma non amarissime. Alcoliche sì, ma senza esagerare, a parte alcune eccezioni: come Malalingua, con i suoi 12 gradi. A volte nasce prima la birra, altre volte capita che nasca prima il nome. Non c’è una regola. Sicuramente ciò che fa nascere tutto è la passione».

    Qual è la tua birra Retorto preferita?

    «La birra che porto nel cuore è senza dubbio questa che ho in mano: Morning Glory. È una delle prime nate, quella che ci ha fatto conoscere alla gente. Il significato del nome però meglio non dirlo (anche se, conoscendo l’inglese, non è difficile da intuire ndr). Morning Glory è anche la birra più venduta, anche se ultimamente Latte Più sta recuperando posizioni».

    La birra Retorto più particolare?

    «Quella più particolare è sicuramente Acqua Passata. Si tratta di una specie di vermouth a base birra (invece che a base vino). Diciamo che per realizzare un prodotto così alcolico, così dolce, e allo stesso tempo così poco gasato, ci siamo dovuti ingegnare parecchio».

    E quella più sottovalutata dal mercato?

    «La birra meno capita forse è Tazmaniac. È una birra leggera, in stile Pacific Pale Ale, con luppoli neozelandesi e australiani (dai quali prende spunto il nome). Una birra che io bevo sempre molto volentieri, ma che i clienti non mi chiedono spesso».

    Molte persone considerano la birra una bevanda di serie B rispetto al vino. Oggi, una buona birra può essere paragonata ad un buon vino?

    «Sicuramente. Purtroppo però, nel mondo della birra scontiamo un ritardo rispetto al panorama vitivinicolo. La birra è da sempre vista come una bevanda alcolica da quantità, più che da qualità. Due euro al litro, in un discount, e via. Come se il vino, per anni, fosse stato rappresentato da quello in cartone. Ma negli ultimi tempi le cose stanno cambiando, per fortuna!».

    Esiste una rivalità con gli altri birrifici locali (ad esempio, La Buttiga)?

    «Ma no! I ragazzi della Buttiga sono amici! Ma lo stesso vale per tutti gli altri birrifici. Nell’ambiente della birra ci conosciamo tutti. Alle manifestazioni ci ritroviamo sempre, beviamo insieme. Per fortuna è ancora un mondo molto bello».

    Progetti futuri?

    «Abbiamo intenzione di partecipare a nuove manifestazioni. Siamo anche tentati di produrre una nuova birra dal colore particolare, utilizzando un fiore. Ma per ora non c’è niente di certo, quindi non mi sbilancio».

    Cosa cercate di trasmettere a chi beve una birra Retorto?

    «Cerchiamo di trasmettere quello che siamo, il nostro entusiasmo e il nostro amore per questo lavoro. Spero che la gente percepisca la passione che c’è dietro ad ogni singolo litro di birra, spillato e bevuto».

    Ivan Corbellini

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