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    Confagricoltura: il Ceta può essere migliorato ma cancellarlo è un errore

    Durante un’assemblea di Coldiretti, il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha affermato che la maggioranza di governo non ratificherà il Ceta, l’importante accordo commerciale tra Canada e Unione Europea che era stato approvato nel 2017 dal Parlamento europeo. Il Ceta deve ancora essere ratificato dai parlamenti dei singoli stati membri dell’Unione Europea.

    Sull’argomento interviene Confagricoltura Piacenza con un comunicato che pubblichiamo di seguito.

    Sul Ceta (l’accordo di libero scambio tra l’Europa e il Canada) Coldiretti ha espresso un giudizio negativo a cui non si sono fatte attendere dure repliche che, statiche alla mano, nella stragrande maggioranza promuovono l’accordo. Sul Ceta il potere fra Bruxelles e le capitali viene condiviso: non bastano le ratifiche del Parlamento europeo e del Consiglio dei ministri, perché l’azzeramento dei dazi e dei vincoli agli scambi che prevede diventi definitivo. Si devono pronunciare tutti i parlamenti nazionali. Nell’attesa, da settembre scorso è sparito «in via provvisoria» il 98% dei dazi e vincoli alle vendite di prodotti europei in Canada, e viceversa. In futuro si tornerà al mondo di prima (senza accordo e con i dazi) solo se uno o più parlamenti nei 28 Paesi della Ue (Londra esclusa) rifiutasse di approvare.

    L’Italia è tra i maggiori beneficiari di questa entrata in vigore anticipata: le esportazioni del «made in Italy» in Canada sono già aumentate di circa l’8% rispetto allo stesso momento del 2017. Se la stessa tendenza si confermasse nei prossimi mesi, in un anno il fatturato delle imprese italiane salirebbe di circa 400 milioni di euro; in sostanza, questo significa almeno ottomila posti di lavoro in più.

    Questo era uno degli effetti prevedibili dell’intesa su cui Confagricoltura si è concentrata sin dall’inizio esprimendo parere favorevole. Il “made in Italy” vende ogni anno all’economia nord-americana prodotti per circa cinque miliardi di euro, registrando un surplus commerciale bilaterale di più di tre miliardi. Stravince negli scambi con una delle economie più avanzate al mondo.

    Con il Ceta in vigore questa posizione di vantaggio ha iniziato a rafforzarsi. Uno dei principali problemi riguarda i formaggi: prima, nessuno era riconosciuto in nessun modo, ma secondo Coldiretti la difesa dei nomi di origine non è blindata e i canadesi continueranno a vendere “parmesan”.

    Malvisto poi anche il fatto che il Canada possa continuare a vendere il proprio grano duro, come fa già, ai produttori italiani di pasta. Poco importa, anche qui, che la produzione nazionale di grano copra appena due terzi del fabbisogno dei pastai e che l’Italia, grazie a spaghetti e maccheroni, fatturi in Canada oltre il triplo di quanto paghi per importare dal Nord America la materia prima.

    «Se il tema è che l’accordo non tutela tutte le nostre produzioni Dop e Igp – commenta il direttore di Confagricoltura Piacenza, Marco Casagrande – allora è bene lavorare per miglioralo, ma non ratificarlo significherebbe scegliere di rinunciare a un mercato invece che cercare di presidiarlo. Le nostre eccellenze agroalimentari hanno dimostrato di saper veicolare il loro valore aggiunto rispetto ai prodotti similari realizzati su territorio canadese ed essere vincenti, sottrarci dal confronto significa abbandonare sbocchi commerciali già ottenuti. Come Confagricoltura siamo sempre stati favorevoli alla ratifica del trattato, pur nella consapevolezza che, come tutti gli accordi, può essere migliorato. Non è pensabile pensare di risolvere il problema dell’Italian sounding proibendo agli altri di produrre – prosegue Casagrande – dobbiamo puntare ad una comunicazione chiara e credere nelle nostre eccellenza. L’export di latticini, uova e miele verso il Canada è cresciuto del 10.42% in un anno, per i trasformati a base vegetale siamo oltre il 14%ì: un sistema incrociato di dazi affosserebbe le imprese”.  Nell’impossibilità pratica di riuscire a strutturare accordi funzionali tra Paesi diversi, che siano al contempo rispettosi delle identità, delle peculiarità di ciascuno, si stanno sempre più facendo strada gli accordi bilaterali».

    «La nostra linea è chiara: non c’è dubbio che il mercato dell’agricoltura italiana debba essere, necessariamente, il mondo» – sottolinea Filippo Gasparini, presidente di Confagricoltura Piacenza. «L’avevamo detto un anno fa, lo ribadiamo oggi – prosegue Gasparini – L’apertura di nuovi mercati rappresenta una priorità imprescindibile per l’agroalimentare italiano che vede le commercializzazioni nazionali ormai ingessate da anni».

    «È impensabile – prosegue Gasparini – difendere la nostra agricoltura arroccandoci nei nostri confini, con posizioni di chiusura o di protezionismo, più intelligentemente è necessario adattarsi al mondo che cambia. Le nostre aziende fanno reddito anche e soprattutto quando riescono a esportare le proprie eccellenze in Paesi che hanno un numero di abitanti in continua crescita o un grande potere di acquisto, come appunto il Canada, che vanta uno dei più alti redditi pro capite al mondo. Quanto ad altri timori di concorrenza sleale o di confusione commerciale, l’accordo che l’Europa ha siglato tutela le regole di sicurezza alimentare europee e ad oggi non abbiamo motivi di pensare che le nostre istituzioni non mantengano quale obiettivo imprescindibile la salvaguardia delle produzioni agricole e agroalimentari made in Italy. Ben vengano, dunque – conclude il presidente di Confagricoltura Piacenza – gli accordi che individuando nicchie di mercato sì, ma a livello globale».

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