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    Cosa c’è dietro ad un tampone? Viaggio nel laboratorio analisi dell’ospedale di Piacenza

    Tamponi. Positivi. Test sierologici. Nelle lunghe settimane dell’emergenza sanitaria il nostro lessico si è arricchito di termini nuovi, di chiavi di lettura di una pandemia che ha stravolto tutte le nostre routine quotidiane.

    Ma cosa si nasconde dietro ad un tampone e a tutto il lavoro di analisi sulla prima diagnosi di Coronavirus? Ne abbiamo parlato con la dottoressa Roberta Schiavo (Responsabile facente funzioni di una componente di attività del Laboratorio Analisi) ed il dottor Giovanni Vadacca (capo dipartimento), due delle anime del Laboratorio Analisi del Policlinico di Piacenza.

    «RIVOLUZIONE ORGANIZZATIVA E GRANDE SPIRITO DI SACRIFICIO»

    Il primo accento è sulla fase riorganizzativa affrontata da tutto il dipartimento, una riorganizzazione necessaria per la gestione di un numero sempre crescente di esami da processare, non solo in urgenza. Attualmente sono al lavoro quattro dirigenti ed altrettanti tecnici di Biologia molecolare più due tecnici che si occupano della parte di sierologia.

    «L’organizzazione è cambiata rispetto a prima: la Microbiologia prevedeva pochi esami in urgenza ed in numero veramente limitato – spiega la dottoressa Schiavo – Questa situazione ha fatto sì che si dovesse far fronte all’urgenza degli esami: siamo passati da più o meno ottocento esami al giorno di diverso tipo di cui cinquanta processati in Biologia molecolare a processare seicento campioni solo in Biologia molecolare arrivando a raddoppiare la nostra attività giornaliera. Questo ha comportato una diversa organizzazione con lo spostamento di figure professionali da un settore all’altro ed una diversa presenza delle persone: il laboratorio di Microbiologia è stato aperto sempre sette giorni su sette non di notte, ora è aperto ventiquattro ore al giorno. Abbiamo allungato la turnistica, l’ospedale ci è venuto incontro nell’ultimo periodo con un incremento del personale: mi riferisco sia a tecnici di laboratorio sia al personale dirigente, ne faccio un gruppo unico».

    «Tutta questa nuova organizzazione ed il poter far fronte a questo nuovo tipo di situazione, al di là della numerosità dei campioni e del personale, è possibile solo se le persone collaborano in modo molto stretto. Tutte le figure professionali all’interno del Laboratorio sono state coinvolte in questa riorganizzazione sia per quanto riguarda settori diversi sia per quanto riguarda la presenza in ospedale». A rimarcare il grande sforzo operato dal personale è il dottor Vadacca che ribadisce come «nel giro di due mesi abbiamo assistito ad una vera e propria rivoluzione resa possibile solo con grande sacrificio e abnegazione».

    «MAI FERMI SENZA REATTIVI, COLLABORAZIONE TRA I DIVERSI LABORATORI REGIONALI»

    Nelle primissime fasi della pandemia l’analisi dei tamponi era fortemente centralizzata con un unico centro a gestire i campioni provenienti dalle ASL regionali. La situazione è cambiata radicalmente a partire da metà marzo con l’abilitazione di nuovi sette centri, tra i quali quello di Piacenza.

    «Inizialmente c’era un solo centro regionale autorizzato ed era il Laboratorio CREM di Bologna: eravamo obbligati a mandare i campioni a Bologna con una notevole organizzazione per quanto riguarda gli invii, due o tre al giorno. Dal 13 marzo la Regione ha deciso di autorizzare altri sette laboratori tra cui il nostro: da questa data abbiamo potuto fare diagnosi di SARS-CoV2 – racconta Schiavo – Inizialmente non eravamo autosufficienti e non lo siamo ancora, ci siamo appoggiati ad un centro fuori regione autorizzato dall’Emilia Romagna, l’Istituto Zooprofilattico di Pavia che è all’interno della rete regionale dei laboratori che possono processare campioni. In termini pratici significa che loro fanno esami e noi li refertiamo. In regione Lombardia c’erano molti più laboratori rispetto all’Emilia Romagna: il nostro e altri ospedali regionali inviano trecento campioni al giorno, in seguito ci vengono restituiti i risultati».

    «Si è stabilito un coordinamento a livello regionale dove tutti i laboratori sono in contatto giornalmente – prosegue Vadacca – C’è una specie di mutuo soccorso: può accadere che cinquanta campioni di Parma vengano da noi, cento di Modena vanno a Bologna e così via. E’ una cosa molto positiva rispetto a prima quando c’era un unico laboratorio di riferimento che non aveva la forza di processare tutto».

    «All’inizio devono essere pochi i centri che si occupano di questo tipo di diagnosi perché i dati devono essere confrontabili. Nello stesso tempo vengono contattati gli altri laboratori che iniziano a processare i campioni in doppio verificando che le metodiche utilizzate siano paragonabili: solo a quel punto vengono autorizzati gli altri laboratori. Il dato che abbiamo a Piacenza è esattamente paragonabile a quello degli altri centri autorizzati all’interno della regione».

    Nelle ultime due settimane si è invece assistito ad un’impennata dei campioni refertati con il numero di nuovi positivi che ha subito un incremento percentuale in provincia maggiore rispetto alla media regionale (negli ultimi tre giorni l’incremento dei positivi ha toccato l’1,2% a Piacenza, con l’Emilia Romagna ad attestarsi sullo 0,7%). Incremento che il Commissario ad acta per l’emergenza Coronavirus, Sergio Venturi, ha spiegato con la tracciatura di casi in RSA ed a fine malattia e che ha visto Piacenza processare migliaia di tamponi. Numeri, relativamente ai campioni refertati, che potrebbero mantenersi su questa linea anche nei prossimi giorni.

    «Con le altre figure professionali dell’ospedale è stata fatta una proiezione anche sulle prime tre settimane di maggio e sulla carta i numeri sembrano essere questi – spiega Schiavo – Non bisogna correlare il numero di tamponi eseguiti con il numero di casi positivi: in questo momento ci sono tante persone che attendono l’esito del tampone per poter tornare a lavorare».

    «Ci stiamo preparando ad una lunga convivenza con questi numeri – prosegue Vadacca – Sicuramente ci stiamo proiettando anche con una dotazione tecnologica superiore per affrontare seconde ondate oppure il mantenimento di questi numeri per lungo tempo. Disponiamo di dotazioni di reattivi su macchinari che abbiamo già disponibili: questo potrebbe modificare l’assetto del laboratorio attuale migliorandolo e rendendo il lavoro più fluido. La disponibilità dei reattivi è stato problema mondiale: i maggiori produttori sono Cina e Stati Uniti che hanno bloccato le esportazioni». Nonostante le difficoltà però entrambi tengono a sottolineare come «non siamo mai rimasti fermi senza reattivi».

    NON SOLTANTO UN NUMERO CRESCENTE DI LABORATORI ABILITATI MA ANCHE METODOLOGIE DI ANALISI PIU’ PERFORMANTI: QUALI SONO I NUMERI DI PIACENZA?

    «A distanza di due mesi dall’inizio della pandemia ci sono possibilità ulteriori di reattivi e kit che possono essere utilizzati su strumenti molto più performanti che stanno uscendo ora – spiega Schiavo – Abbiamo già la dotazione strumentale per introdurre questi nuovi test che, a parità di sensibilità e specificità, danno il risultato in modo molto più rapido. Questo ci permette di venire incontro alle esigenze di urgenza che potranno presentarsi».

    «Disponiamo di tre piattaforme diverse su cui processare i tamponi. Una è dedicata al Pronto Soccorso generale e a quello di Ostetricia: su questa piattaforma il risultato arriva in cento minuti. Ne abbiamo un’altra che consente di ottenere l’esito in centosettanta minuti mentre per l’ultima occorrono sette ore. La piattaforma da cento minuti processa 8 campioni, quella da centosettanta 12, quella da sette ore 96. Utilizzano tutte la stessa metodica: si ha estrazione dell’acido nucleico del virus, un’amplificazione ed una rivelazione in fluorescenza».

    PER I GUARITI NECESSARI DUE TAMPONI IN VENTIQUATTR’ORE: «TEMPI RAVVICINATI MA DIVERSI»

    «Al di là della sensibilità e della specificità dei metodi utilizzati che ormai sono paragonabili, il test ha dei possibili problemi: come viene eseguito il tampone, in che fase della infezione viene eseguito il tampone e poi c’è la parte di laboratorio. E’ possibile che due tamponi eseguiti sulla stessa persona, in tempi ravvicinati, siano uno positivo e l’altro negativo. Questo non significa che non è stato eseguito bene il primo o il secondo: possono esserci diverse circostanze di difficile individuazione. Ecco perché per quanto riguarda il rientro al lavoro sono richiesti due tamponi a ventiquattr’ore. Ventiquattr’ore è un tempo orientativo: deve trattarsi di due tamponi eseguiti in tempi ravvicinati ma diversi. Per il CoVid-19 serve per avere il doppio negativo per essere considerati guariti, per legge non è però l’unica patologia che ha bisogno di due campioni eseguiti in tempi diversi per poter fare diagnosi: non dimentichiamoci dell’HIV. Per fare diagnosi di HIV dobbiamo eseguire due prelievi in due tempi diversi che devono dare lo stesso risultato. Non è così strana la richiesta di due campioni diversi. Parlare poi di falsi positivi e negativi è difficile perché le tecniche che utilizziamo sono molto specifiche e molto sensibili».

    «ALGORITMO SU TRE LIVELLI PER I TEST SIEROLOGICI, TAMPONI MARCATORE DI QUANTO SIA IN CIRCOLO IL VIRUS»

    «Per quanto riguarda i test sierologici stiamo seguendo l’algoritmo definito su base regionale. Si tratta di un algoritmo a tre step: il primo prevede analisi immunologica su un test immunocromatografico che può essere eseguito su una goccia di sangue, visivamente è come un test di gravidanza (ne sono eseguiti circa 300 al giorno). Questo test rapido è qualitativo, mi dice se è positivo o negativo, ed il risultato si ha più o meno in quindici minuti. In caso di positività di questo test, non importa se IgG (immunoglobine G) o IgM (immunoglobine M), il secondo step prevede un test sierologico con strumenti diversi con risultato qualitativo: ho quindi quantificazione della presenza di anticorpi. Se ho solo IgG positive vengo dichiarato immune (concetto in via di continua evoluzione con riguardo all’infezione da CoVid-19), sono stato a contatto con il virus ma non sono infetto. Nel caso di IgM positive, presenti in fase attiva dell’infezione, l’algoritmo prevede terzo step con tampone».

    «Un cittadino che magari va a farsi il test in farmacia o in laboratorio privato non se ne fa nulla del test immunocromatografico in sé perché non sancisce nulla in termini di positività o negatività ma riporta soltanto se c’è stato un contatto con il virus – spiega Vadacca – Noi stiamo cercando di capire quanti operatori sanitari sono venuti a contatto con il virus, quanti hanno sviluppato la malattia ed in quanti hanno le IgG».

    Alla data di mercoledì 29 aprile, sono stati effettuati su Piacenza 2400 test di primo livello (analisi immunologica su test immunocromatografico). Sono 485 i test di secondo livello (test sierologico) per un totale di 138 tamponi (terzo step): solo due di questi sono risultati positivi. 261 sono invece risultati positivi alle IgG.

    «Lo screening sierologico verrà fatto, la Regione si sta muovendo in questa direzione ma dovranno arrivarci le indicazioni sul campione da analizzare. Per quanto riguarda la parte dei tamponi è sicuramente importante e dovrà proseguire per un certo periodo: è il marcatore che ci fa capire quanto sia ancora in circolo questo virus».

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