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    Falsi collaudi di attrezzature: arrestati imprenditore piacentino e funzionario del ministero

    Nuova clamorosa indagine a Piacenza condotta dalla guardia di finanza. A otto anni di distanza dall’arresto di Alfonso Filosa, ex direttore della direzione provinciale del lavoro di Piacenza, un altro funzionario romano del ministero del  Lavoro e  delle  politiche  sociali (l’ing. Michele Candreva, 57 anni, originario di Spezzano Albanese, Cosenza e residente nella capitale, già arrestato nel novembre 2016 per reati similari e poi rilasciato) è finito oggi in manette e si trova ai domiciliari così come un  imprenditore piacentino di 73 anni. Pesanti le accuse nei loro confronti: corruzione, truffa  ai  danni  dello  Stato,  falso ideologico  e  sostituzione  di  persona.  Nell’ambito della stessa indagine altre  3  persone  sono  state denunciate a piede libero alla locale procura della Repubblica.

    Le  indagini,  coordinate  dal  sostituto  procuratore  Ornella Chicca   e   condotte dai   militari   del   nucleo   di   polizia   tributaria, al comando del colonnello Sergio Vinciguerra, si sono svolte attraverso intercettazioni, perquisizioni e sequestri di documentazione eseguiti sia  presso  il  ministero  del  Lavoro  a  Roma sia presso la società piacentina. Sono anche state interrogate numerose persone  informate  sui  fatti. Dalle loro testimonianze è emerso un  articolato sistema  di  illegalità  in  materia  di  controlli  e  sicurezza  nei  luoghi  di lavoro, a  discapito  della  salute  dei  lavoratori  e  dell’utenza. Secondo  la  normativa  sulla  sicurezza,  l’imprenditore  che  deve sottoporre  le  proprie  attrezzature  a  verifiche  periodiche  volte  a valutarne lo stato di conservazione ed efficienza, può rivolgersi, tramite  Inail  e  Asl,  a  soggetti  privati  ed ai  loro  tecnici. Questi ultimi devono tuttavia essere in possesso   di requisiti  stabiliti  dalla  legge ed essere abilitati da  una  commissione  appositamente istituita presso il ministero. La  società piacentina è specializzata proprio nell’effettuazione   di   verifiche periodiche  sulle  attrezzature  di  lavoro  di  una  certa  importaza (apparecchiature di sollevamento cose e persone nonché recipienti a   pressione quali caldaie,   serbatoi   per   il   metano, gpl   ed   altri combustibili.

    Nel   corso delle   indagini   i   finanzieri hanno   accertato   che   il presidente   della   commissione ministeriale,  per agevolare l’impresa piacentina e  concedere in tempi brevi l’abilitazione alla società e ai suoi tecnici/ingegneri suggeriva, o  addirittura  provvedeva  di  “suo  pugno”  alla falsificazione dei     curricula     dei     tecnici     stessi, inserendo esperienze e qualifiche professionali mai    effettivamente svolte/conseguite.   In particolare,    sono    stati alterati  curriculum vitae  di  ingegneri  aspiranti  verificatori,  con l’aggiunta  di  numerose precedenti verifiche in realtà mai  effettuate. Il tutto serviva per ottenere l’abilitazione. Inoltre venivano inserite  sedi  fittizie  della società  in  altre  regioni. Sedi   che   fungevano   da   meri   recapiti   o che erano semplici domiciliazioni ma la cui “presenza” era fondamentale per ottenere l’abilitazione ministeriale.

    A titolo di ricompensa il funzionario ministeriale – secondo la ricostruzione dei finanzieri – avrebbe ottenuto, in più occasioni, dall’imprenditore  piacentino  e  dai  suoi  soci, denaro contante,  il pagamento  di  soggiorni  alberghieri  a  Piacenza  presso lussuosi hotel,  pagamento di viaggi su treni dell’alta velocità sulla tratta  Roma-Milano-Piacenza, buoni  benzina  nonché l’offerta di pranzi e cene presso svariati ristoranti. In  aggiunta  agli  episodi  corruttivi,  nel  corso  delle  indagini  sono stati  anche stati  rilevati  gravi  comportamenti  da  parte  dell’imprenditore  piacentino  e  di  un  suo  tecnico: in barba alla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro i controlli alle attrezzature venivano eseguiti da tecnici (alcuni dei quali non competenti né abilitati) che ne attestavano la regolarità. I relativi  “verbali  di  verifica”,  redatti  successivamente, risultavano  sottoscritti  falsamente  dall’imprenditore  e  dal  suo collaboratore,  che  non  avevano  mai  visionato  l’attrezzatura.  Entrambi,  infatti,  chiedevano  ad  altri  colleghi  “la  cortesia”  di effettuare   le   verifiche   per   loro   conto, causa “impossibilità  di raggiungere i luoghi di lavoro”.

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