L’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Piacenza ha legittimamente rifiutato di registrare l’atto di riconoscimento di un bambino, nato con tecnica di fecondazione assistita, da parte della compagna della madre biologica. Lo ha stabilito il Tribunale di Piacenza, con ordinanza del 15 ottobre, rigettando il ricorso presentato da due coppie di donne – l’una unita civilmente, l’altra no – a seguito del diniego ricevuto, cui si erano opposte ritenendo che, per il riconoscimento del neonato, fosse sufficiente l’assenso prestato da entrambe alla fecondazione assistita, ovvero la manifesta intenzione di esserne genitore.
Il Tribunale ha infatti ritenuto inapplicabile sia la disciplina codicistica di riconoscimento della filiazione naturale, sia le normative della legge 40/2004 in materia di procreazione assistita, nonché la cosiddetta legge Cirinnà, n. 76 del 2016, che regolamenta l’unione civile tra persone dello stesso sesso.
L’ordinanza dell’Autorità Giudiziaria richiama, in particolare, la sentenza 12193 del 2019, emessa dalle Sezioni unite della Cassazione, che sancisce come “principio di ordine pubblico” il divieto di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita da parte di coppie omosessuali, ribadendo inoltre come la stessa legge 76 del 2016 escluda che le norme del codice civile inerenti alla filiazione si applichino alle unioni civili tra persone dello stesso sesso.
Nell’evidenziare che l’interesse del minore alla bigenitorialità può essere tutelato con altri strumenti legali – come l’adozione, in casi particolari specificati all’articolo 44 della legge 184/1993 – il Tribunale di Piacenza ha stabilito che nessuna norma attualmente in vigore consente, a una donna, di riconoscere come proprio il figlio già riconosciuto dalla madre biologica. Di qui la legittimità del rifiuto, da parte dell’Ufficiale di Stato Civile del Comune, a redigere un atto di nascita in tal senso.