Giulia, Elena, Maria: il racconto della loro storia ha coinvolto ed emozionato il pubblico intervenuto nella Sala Panini di Palazzo Galli all’incontro – organizzato nell’ambito dell’Autunno culturale dalla Banca di Piacenza – sugli italiani di Crimea che stanno faticosamente cercando di ritrovare la propria identità di comunità italiana all’estero. «Ci siamo anche noi!» è la richiesta di aiuto delle giovani generazioni che vivono soprattutto a Kerch e che desiderano riallacciare i rapporti con le famiglie italiane d’origine. Per fare questo, lo strumento fondamentale è la lingua. E Giulia, Elena e Maria sono nel nostro Paese – grazie al sostegno della Banca – per frequentare un corso di italiano a Santa Margherita Ligure, dove opera l’Associazione culturale Isaiah Berlin, che da diversi anni si occupa di percorsi formativi per studenti e studiosi stranieri.
Il giornalista Rai Stefano Mensurati (a lui va il merito di aver portato all’attenzione dell’opinione pubblica la terribile – e fino a due anni fa ignorata, complice l’assenza dello Stato – tragedia della deportazione nei gulag e del genocidio degli italiani di Crimea e dei soldati italiani dell’Armir), che accompagnava le giovani ospiti, ha ricordato l’origine della colonia italiana in Crimea, i cui primi insediamenti risalgono all’Impero romano e successivamente alle Repubbliche marinare di Genova e Venezia. Nella sua attuale consistenza, risale però all’800. Caterina di Russia aveva ottimi rapporti con i Borbone, ai quali chiese coloni da insediare in Crimea per insegnare la coltivazione dei campi secondo i criteri della moderna agricoltura. Partirono soprattutto dalla Puglia e i più fecero fortuna (c’erano anche abili marinai). Ma i beni accumulati nell’arco di un centinaio d’anni vennero requisiti con l’avvento del Comunismo. La posizione degli italiani di Crimea divenne poi ancor più scomoda con la Seconda guerra mondiale, con Mussolini alleato della Germania nazista. «Il 27 gennaio del 1942 – ha raccontato Mensurati – gli italiani di Crimea furono rastrellati e deportati nei Gulag in Kazakistan: partirono in 1500, tornarono in 78. Il 90 per cento morì di stenti, in campi di prigionia dove lavoravano come schiavi nelle miniere e nelle cave di pietra».
Giulia Giacchetti Boico ha spiegato la sua esperienza da presidente dell’Associazione Cerkio: da 11 anni organizza corsi di italiano a casa sua. «Tante persone desiderano imparare la lingua d’origine, l’unica chiave che permette di ritrovare i parenti in Italia. Io sono autodidatta e sono venuta a Santa Margherita per migliorare il mio livello di conoscenza. Abbiamo tanti progetti: riscoprire le tradizioni e i costumi pugliesi; facciamo le orecchiette e abbiamo un cantiere un libro di ricette italiane. Il sogno è quello di organizzare un corso d’italiano professionale».
Maria Ragno viene da Yerevan, Armenia (molti italiani non riuscirono a tornare in Crimea dopo la deportazione), dove il padre rimase perché sposò una ragazza armena. In italiano, ha accennato alla storia della sua famiglia deportata (il padre era nato in Kazakistan, i nonni a Kerch, i bisnonni a Bisceglie) e si è detta felice di essere in Italia a imparare la lingua d’origine. Stesso sentimento espresso anche da Elena Giacotto Shiriaeva, di Kerch, discendente da una famiglia di origini piemontesi e avvicinatasi all’Associazione Cerkio perché la figlia desiderava imparare l’italiano.
E’ quindi intervenuto Enzo Baldini, docente dell’Università di Torino, uno dei principali animatori dell’Associazione intitolata a Isaiah Berlin (uno dei maggiori pensatori liberali del XX secolo, cittadino onorario di Santa Margherita perché aveva casa a Paraggi, dove trascorreva sempre le vacanze estive), sodalizio che gestisce la scuola per stranieri che le tre ragazze della Crimea stanno frequentando. Il prof. Baldini ha ripercorso la tragedia vissuta dagli italiani di Crimea – e dei soldati dell’Armir – deportati a Karaganda, sottolineato quanto sia importante conservare memoria storica di quegli eventi e quanto sia meritoria l’azione portata avanti da Cerkio e da Giulia Giacchetti Boico. «Le minoranze straniere vivono – ha affermato il docente – solo se sopravvive la lingua, strumento indispensabile a rimettere insieme quello che la violenza ha distrutto. Chi pensa e scrive che l’affermarsi di una politica identitaria sia una minaccia per la democrazia, non conosce il caso Crimea».
Il presidente del Comitato esecutivo della Banca Corrado Sforza Fogliani, nel ringraziare Stefano Mensurati («vera anima della rivalutazione della presenza italiana in Crimea»), il prof. Baldini e le giovani ospiti, ha ricordato come la ricerca nei riaperti archivi del gulag di Karaganda finanziata da Assopopolari, abbia fatto riemergere le storie di tanti deportati italiani, tra le quali quella del piacentino Pietro Amani, soldato dell’Armir sopravvissuto alla prigionia, oggi novantasettenne e già invitato dalla Banca a raccontare la sua esperienza, che nessuno conosceva. «Bene fanno le scuole – ha concluso il presidente Sforza – a portare gli studenti in visita ai lager nazionalsocialisti, ma appiattendosi sul nazismo si racconta solo una mezza verità. Bisogna far conoscere anche l’altra parte di verità, cioè quello che succedeva nei campi di prigionia comunisti».