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    Pietro Berzolla, molto più di un architetto

    Un architetto, o meglio un “architutto”: perché, oltre che vulcanico progettista, era anche un formidabile incisore, un grafico, un pittore e – passando all’aspetto famigliare – un padre straordinario. Questo il profilo di Pietro Berzolla emerso nel corso dell’incontro organizzato a Palazzo Galli, nell’ambito dell’Autunno culturale della Banca di Piacenza, per rendere omaggio al professionista piacentino a 35 anni dalla morte, occasione anche per presentare – dal curatore Benito Dodi in dialogo con la figlia Mimma Berzolla Grandi e Valeria Poli – il volume a lui dedicato promosso dal Laboratorio del Novecento-Associazione Amici del Respighi.

    Nato il 5 febbraio del 1898 a Muradello di Pontenure, si formò all’Istituto Gazzola (allievo di Camillo Guidotti, di cui in seguito ne criticherà l’approccio progettuale) e al Toschi di Parma (qui ebbe diversi maestri: Giuseppe Mancini, Antonio Sant’Elia, Giulio Ulisse Arata). Nella primavera del 1917 fu costretto a interrompere gli studi per recarsi al fronte, al Genio trasmissioni. Alla fine del conflitto andò a Roma al museo del Genio militare, dove realizzò bozzetti e modelli dei luoghi di combattimento della Grande Guerra. Nella capitale ebbe modo, la sera, di frequentare la scuola di arti applicate con Cesare Bazzani.

    Nel 1920 riprese (e concluse) gli studi a Parma, ancora con Mancini, diventando subito dopo professore di prospettiva nello stesso Istituto Toschi. L’iscrizione all’Albo degli architetti arrivò una decina d’anni più tardi. Fra le due guerre lavorò soprattutto per la curia piacentina costruendo chiese a Piacenza e provincia in stile “novecento” e realizzando tutte le stazioni della linea ferroviaria Piacenza-Bettola. Nel 1933 partecipò al concorso per il Piano regolatore della città. Il secondo dopoguerra lo vide protagonista a Cortemaggiore, dove progettò il Palazzo uffici dell’Agip (struttura inaugurata alla presenza del presidente del Consiglio De Gasperi con – è stato ricordato – Mimma Berzolla ragazzina in prima fila con il padre).

    La prof. Poli ha sottolineato come Arata, Berzolla e Bacciocchi abbiano inciso sullo sviluppo della nostra città in un periodo – i primi decenni del ‘900 – nel quale ancora non esisteva la facoltà di Architettura. «A differenza di Mancini, uno dei suoi maestri – ha spiegato la relatrice -, Berzolla seppe tradurre in pratica i suoi progetti, arrivando ad occuparsi anche dei dettagli d’arredamento».

    Una poliedricità messa in evidenza anche dall’arch. Dodi, che ha rammentato come riuscisse a passare «dal disegno dell’anello per la figlia allo studio del Prg di Piacenza». Il curatore del volume ha poi raccontato alcuni aneddoti legati a Berzolla, uno dei quali riferito al restauro di San Donnino: «Dopo la guerra vennero stanziati i fondi, ma qualcuno avrebbe voluto utilizzarli per sistemare il retro di San Francesco e allargare la piazza proprio in corrispondenza di San Donnino, che ha rischiato la demolizione, scongiurata proprio dall’arch. Berzolla, che in commissione edilizia si astenne sulla proposta alternativa e così la chiesa fu restaurata».

    L’incontro si è concluso con il ricordo del padre da parte della prof. Berzolla, che ha sottolineato la sua forte presenza in famiglia nonostante gli impegni (ha sempre avuto lo studio presso l’abitazione) e ricordato il casuale ritrovamento, arrotolato in un vecchio poster della mostra del Carracci a Bologna del 1956, di un progetto di un monumento, «un disegno in punta di penna, con colori particolarissimi, che amo tantissimo perché mi ricordano un papà non solo architetto, ma anche pittore e grafico».

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