Pubblicità

    Quando lo spaccio di droga è un business di famiglia. Ricavi milionari dirottati in Marocco

    Fratelli, cugini, fidanzate, tutti giovanissimi (in gran parte sotto i 25 anni) e quasi tutti di origine marocchine. Erano i componenti di una banda di spacciatori che aveva scelto come piazza per il proprio commercio le campagne di Piacenza, in particolare l’area compresa fra Cadeo e Caorso (oltre ad Induno Olona in provincia di Varese).

    A scoprirli sono stati i militari della tenenza di Fiorenzuola della Guardia di Finanza, dopo oltre un anno di indagini coordinate dal sostituto procuratore Matteo Centini. In totale, nell’ambito dell’operazione denominata “Sheitan” (Diavolo in arabo), sono stati emessi nove ordini di custodia cautelare in carcere e quattro ai domiciliari. Gi indagati sono trentuno venti magrebini ed undici italiani (tutti tossicodipendenti).

    Le ultime fasi si sono svolte la scorsa settimana ed hanno visto l’impiego di circa 50 uomini fra militari della Tenenza di Fiorenzuola d’Arda,  uomini del Nucleo Polizia Economico Finanziaria e del Gruppo Guardia di Finanza di Piacenza. Le fiamme gialle hanno sequestrato, tra l’altro, un’autovettura Ford C-Max, 4.000 euro in contanti, computer, schede SIM, telefoni, chiavette USB e documenti d’identità in originale.

    Nove ordinanze di custodia cautelare in carcere (solo tre eseguite)

    Purtroppo, come è stato sottolineato durante la conferenza stampa, le porte della prigione si sono, al momento, aperte solo per tre componenti della banda mentre altri sei sono tuttora ricercati. Questo a causa di meccanismi della giustizia italiana che sono farraginosi e non permettono sempre arresti tempestivi. E’ però positivo che a finire in manette siano stati almeno due fra i capi di questo sodalizio criminale. Quello con il ruolo preminente è stato arrestato, alcune notti fa, appena rientrato in Italia. E’ il più vecchio, con i suoi 28 anni; incensurato, risiede in italia dal 1993 ed è regolare.

    L’intera indagine è partita da un episodio accaduto nel marzo del 2018 quando alcuni spacciatori per sfuggire ad un posto di controllo dei Finanzieri speronarono una macchina guidata da una giovane di Castelvetro che viaggiava con una amica.

    Nel forte impatto ruppero il semiasse e dovettero abbandonare l’auto. Nonostante fossero usciti malconci tentarono ugualmente di sottrarsi all’arresto ma furono fermati e trovati in possesso di droga.

    I militari ed il pm Centini non si accontentarono del fermo dei pusher ma incominciarono a salire la catena del comando, a tentare di capire le modalità operative del gruppo.

    La base operativa era a Milano. Componeti della banda pericolosi

    La banda faceva base a Milano nell’area compresa fra Famagosta, Morivione e Corvetto (il cosiddetto Quartiere 15 che prende il nome dalla linea di tram che l’attraversa). I suoi componenti agivano secondo schemi consolidati, ognuno con un ruolo preciso.

    Spostavano le partite di droga un paio di volte alla settimana, dal capoluogo lombardo alle campagne di Piacenza, attraverso delle staffette, usando auto intestate a prestanome, evitando le autostrade ed i caselli e utilizzando le provinciali.

    La droga che non veniva venduta in giornata era sotterrata nei campi, pronta per essere recuperata ed utilizzata durante il resto della settimana.

    Il mercato della droga a cielo aperto era aperto, mediamente, quattro giorni a settimana. Mille i clienti piacentini “accreditati” che conoscevano i numeri da chiamare per fissare le consegne.

    Gli appartenenti al gruppo sono stati descritti dal comandante provinciale della Guardia di Finanza col. Daniele Sanapo come pericolosi e senza scrupoli. Uno degli arrestati, dopo un litigio con gli altri sodali si era staccati ed aveva fondato un nuovo gruppo di pusher. Fermato dai carabinieri, nell’ambito di un’altra operazione, non ha esitato a speronare l’auto dei militari ed esplodere alcuni colpi d’arma da fuoco contro di loro.

    I clienti piacentini contattavano i fornitori di droga attraverso il telefonino specificando il tipo di droga richiesto ed il quantitativo. Gli spacciatori davano appuntamento in piena campagna, in zone aperte, facilmente controllabili da lontano e chiedevano ai tossicodipendenti di specificare il tipo di macchina. Lo scambio avveniva in pochi secondi. Un breve lampeggio con i fari, le auto che si accostavano ed il passaggio della droga in cambio dei soldi.

    Oltre 600 cessioni di droga al mese. Prostituzione in cambio di dosi

    I Finanzieri hanno calcolato che in un mese avvenissero almeno 600 cessioni di stupefacenti soprattutto cocaina ma anche eroina che, a quanto pare, è tornata ad essere utilizzata in vena come negli anni 80. La clientela era un po’ di tutte le età, ai 20 ai 50 anni, professionisti, studenti, operai. In almeno un paio di casi donne, di circa trent’anni, si sono prostituite in una casa abbandonata, ma attrezzata  di letto, offrendo favori sessuali agli spacciatori in cambio di dosi.

    In altri casi i tossici portavano cibo e bevande per ingraziarsi i “fornitori” perché la cosa più importante fra tutte era quella di procurarsi il quantitativo da iniettare in vena o sniffare tato che uno di loro agli investigatori ha detto “Preferirei finire sotto un camion, piuttosto che non farmi una dose”.

    Qualcuno da cliente si è anche trasformato in piccolo spacciatore e, nell’ambito dell’indagine, è finito agli arresti domiciliari. La droga era di buona qualità e quasi certamente i grossisti da cui veniva comprata appartenevano alla crimunalità organizzata italiana.

    La cocaina veniva venduta a 70 euro al grammo mentre per la coca bastavano 20 euro. Venivano mediamente ceduti 1,1 Kg. di eroina e 0,700 Kg. di cocaina al mese.

    Il business andava avanti da anni, con ricavi complessivi milionari. Ogni mese il giro era di almeno 50 mila euro con ricavi pari a 30 mila. I componenti della banda non facevano però la bella vita. Nessun lusso, nessuna bella auto, anzi vivevano quasi sempre in case appena decenti.

    Tutti i guadagni traferiti in Marocco

    Questo perchè tutti i guadagni venivano trasferiti in Marocco, alla famiglia, ai genitori dei capi attraverso l’uso di agenzie e prestanomi. Un aspetto ancora da approfondire e che potrebbe diventare presto un nuovo filone di indagine.

    L’operazione, hano sottolineato il pm Centini ed il colonnello Sanapo, è stata resa possibile grazie allla dedizione degli uomini della tenenza di Fiorenzuola al comando del luogotenente Giorgio Botti, militari che hanno sacrificato notti, domeniche, feste per tallonare e sorvegliare i magrebini della banda e ricostruire tutti i contorni di questo giro.

    Sim sicure fornite da call center

    Sotto la lente sono finiti anche sette call center compiacenti delle province di Milano e Brescia, gestiti sempre da nordafricani (in un solo caso da un italiano). Nei giorni scorsi sono state effettuate le perquisizioni e, in un caso, sono state trovate venti carte di identità utilizzate per l’intestazione di utenze telefoniche.  Gli inquirenti sospettano che attraverso documenti di persone ignare (e forse anche clonazioni) venissero generate delle sim telefoniche che venivano utilizzate per le comunicazioni fra i componenti del sodalizio, rendendo in pratica quasi impossibili le intercettazioni. A breve dovrebbero partire le denunce ma la verità è che (salvo venga ravvisato un diverso reato) la sanzione prevista per “sostituzione di persona” è davvero minima, un anno di carcere quindi non sufficiente per fermare un giro evidentemente redditizio ma alquanto preoccupante (lo stesso sistema può essere usato a fini di terrorismo ad esempio).

    E’ comunque una delle prime volte che un’indagine per droga si estende anche a questo settore.

    Nessun commento

    LASCIA UN COMMENTO Cancella la risposta

    Per favore inserisci il tuo commento!
    Per favore inserisci il tuo nome qui

    Exit mobile version