«Contrariamente alle mie abitudini, questa sera leggo: devo parlare infatti della vicenda penale che dieci anni fa interessò Ferdinando Arisi – di cui celebriamo oggi la sesta Giornata a lui intitolata ed in suo onore – e non voglio quindi dire né una parola in più né una parola in meno». Così ha debuttato Corrado Sforza Fogliani parlando questa sera nella Sala Panini, «in una Sala che si intitola al nostro maggior artista proprio per scelta, e volere, di Ferdinandonon Arisi”, che ne fu il primo, insuperabile studioso. Presenti, come ogni anno, numerosissimi estimatori ed amici di quello che Sforza Fogliani ha definito “il nostro maggior storico dell’arte».
Sforza ha ripercorso tutta la vicenda che partì con l’intervento, nell’estate 2009, della Guardia di Finanza di Venezia.
Il presidente del comitato esecutivo della Banca di Piacenza ha sottolineato che, «sulla base di documentazione inoppugnabile, emerge questa verità storica e incontrovertibile. Nessuna Autorità giudiziaria (terza) ha mai dichiarato contraffatte le opere della collezione Spreti esposte alla Mostra di Piacenza, e tantomeno in contraddittorio e nell’ambito di un procedimento giurisdizionale. Alcune opere – per quanto si sa – sono state dichiarate false da una studiosa scelta dalla Guardia di finanza (indicata come esperta e competente nell’esposto denuncia di un cultore del futurismo da cui il tutto prese il via) alla quale le stesse vennero sottoposte direttamente ad iniziativa della Guardia di finanza.
Si tratta dell’autrice di un volume su Bot edito dalla Galleria Braga nel 1990 e di una pubblicazione su una Mostra di Bot del 1995.
Il Giudice dispose l’apposizione della formula relativa alla contraffazione solo sulle opere ‘sequestrate’ (ad iniziativa, quindi, della Finanza) e solo sulle opere riconosciute ‘false’ (dall’esperta, perlomeno): la dizione dettata dal Giudice venne invece apposta generosamente anche su opere consegnate spontaneamente da alcuni proprietari (e, quindi, non sequestrate e non giudicate da alcuno false) solo ad evitare spiacevoli incursioni. Non esiste procedimento giurisdizionale celere che si potesse attivare a causa dell’apposizione della dizione più volte citata anche in casi diversi da quelli indicati dal Giudice stesso: persone che, per precauzione come detto, hanno consegnato opere tutt’altro che ritenute false, se le sono paradossalmente viste restituite con apposta la frase di cui trattasi.
E’ assai difficile poter ritenere contraffatte opere caricaturali che richiedevano – specie per la scritta del tutto personale, che accompagnava le singole caricature – una approfondita conoscenza personale delle persone ritratte, nei loro vizi e nelle loro virtù, che non poteva essere propria di persona che non aveva, e non ha, mai incontrato le persone interessate.
L’attenta lettura delle “spontanee dichiarazioni” di un restauratore alessandrino fa chiaro che lo stesso era in possesso di opere di Bot prima di dedicarsi ad attività contraffattrice, per i motivi dichiarati: ma nessuna distinzione di questo tipo è stata fatta, in alcuna sede e tantomeno in sede giornalistica, così non identificando con precisione le opere del primo e del secondo gruppo, ma tutte ritenendole superficialmente, e di per sé, come contraffatte».
Il Presidente Sforza Fogliani ha così concluso: «Questa è la verità storica inoppugnabile che emerge dai fatti puri e semplici, così come li abbiamo raccontati ed illustrati, per puro amore della verità. La memoria del sempre compianto Ferdinando Arisi lo esigeva. E’ una memoria che non può, e non poteva, essere scalfita da alcuna superficialità, specie allusiva, e neppure da becere insinuazioni e da diffusi, concreti interessi coalizzati. Chi lo ha fatto, e qualcuno lo ha fatto, senta ora l’imperativo morale di pentirsene».