Pieno successo del concerto a tre organi che si è tenuto ieri sera in Santa Maria di Campagna come manifestazione collaterale all’evento culturale della Banca di Piacenza Salita al Pordenone. Si è tarattato di una novità assoluta a cura di Giuseppina Perotti, che nel suo intervento ha parlato di «serata speciale, ricca di contenuti – nell’ambito di un evento, come la Salita al Pordenone – che ha fatto diventare la nostra città un centro internazionale d’arte e di cultura».
Il saluto di benvenuto a nome della comunità francescana è stato portato da padre Secondo Ballati: «La chiesa quando è piena di gente è ancora più bella (c’erano più di 400 persone, ndr) e sono quindi molto contento di questa serata, perché la musica è importante». E la Basilica, oltre ai capolavori di tanti artisti, si caratterizza per la presenza di tre organi: «Due Serassi – ha spiegato Giuseppina Perotti -, il maggiore del 1825-1838, il più piccolo, restaurato dalla Banca di Piacenza, del 1836. C’è poi un terzo organo settecentesco della scuola napoletana, qui trasferito dal Teatro Municipale sempre per interessamento dell’Istituto di via Mazzini».
Gli organisti Paolo Bottini, Paolo Gazzola e Federico Perotti hanno eseguito un interessante programma con musiche di Carlo Goeury (XVIII secolo) “Intrada a tre organi”, Mariano Muller (1724-1780) “Sonata a tre organi”, Pietro Valle (XVIII secolo) “Sonata a tre organi”, Padre Davide da Bergamo (1791-1863) “Sinfonia (a tre organi)” e W. Amadeus Mozart (1756-1791) “Eine kleine K525 (a tre organi)”. E’ seguito un concerto della Corale di Santa Maria di Campagna diretta di Ivano Fortunati, all’organo Leonardo Calori, che ha interpretato brani di padre Davide da Bergamo (Jesu Redemptor omnium), Anonimo (O Santissima), M. Frisina (Pacem In terris, per coro a 4 voci miste), Padre Davide da Bergamo (Nell’ospital cenacolo, arrangiamento di M. Ruggeri), Anonimo (Nitida Stella).
Al termine del concerto ha preso la parola il presidente del Comitato esecutivo della Banca di Piacenza Corrado Sforza Fogliani: «Sono circa 30 anni – ha rimarcato – che la Banca tiene il proprio concerto di Natale in Santa Maria di Campagna, chiesa molto amata dai piacentini, dove quasi tutti, da bambini, abbiamo “ballato” davanti all’altare. Non ho mai preso la parola, ma questa sera non posso trattenermi dal ringraziare i Frati minori, la Corale del dir. Ivano Fortunati, gli organisti Paolo Bottini, Paolo Gazzola e Federico
All’applaudita parte musicale della serata è seguita una altrettanto apprezzata conferenza di Manrico Bissi, che ha spiegato, avvalendosi di immagini proiettate da un maxischermo messo a disposizione dall’Associazione Vie della Valnure, l’origine e l’evoluzione della basilica affrescata dal Pordenone, vero gioiello del Rinascimento piacentino.
In particolare, l’architetto Bissi ha illustrato le origini del Santuario (secoli III-IV d.C.) che possono essere fatte risalire alle necropoli romane su un sito che era allora abbondantemente esterno al nucleo cittadino; la chiesa della “Regina dei martiri” (secolo XI), sorta dal pozzo dove erano stati gettati i cristiani perseguitati e uccisi ai tempi di Diocleziano (del 1030-1040 i primi documenti che parlano della chiesuola di Santa Maria in Campagnola); la grande chiesa rinascimentale (secolo XVI) affidata alla progettazione di Alessio Tramello (meta di pellegrinaggi della Via Francigena, la piccola chiesa non bastava più), che realizza una basilica a croce greca avente come caratteristica la verticalità e la rotondità: una chiesa che è quattrocentesca nell’architettura e cinquecentesca per le opere pittoriche; le trasformazioni neoclassiche (secolo XVIII), con Lotario Tomba che demolisce la cappella della seconda metà del ‘500 per costruire il nuovo presbiterio, trasformando la basilica a croce latina ribaltata. «Un intervento che poteva sembrare un vandalismo – ha concluso l’architetto Bissi- ma che va interpretato tornando al 1791, periodo di rapida trasformazione della società. Il coro è ricostruito in stile neoclassico per conservare vitalità a un luogo di culto che non è mai stato abbandonato e che ancora oggi rappresenta un punto d’incontro tra la fede e la nostra identità di piacentini».