Cristian Camisa, presidente di Confapi Industria Piacenza e vicepresidente nazionale di Confapi non nasconde le sue preoccupazioni per la situazione attuale di emergenza che ha investito il Paese a causa del coronavirus.
“Non si è pensato a supportare concretamente la classe produttiva di questo Paese – spiega – ci sentiamo abbandonati. Non vengono erogati soldi ma garanzie su prestiti tra l’altro con vincoli importanti. Siamo ad un punto di non ritorno: ne va della sopravvivenza economica e sociale del nostro territorio e del Paese, Unioncamere prevede un diminuzione di 420.000 occupati in Italia nel 2020”.
Camisa guarda da qui a qualche settimana: “La fine di aprile sarà drammatica per le nostre aziende: tantissime non riusciranno a ritirare le ricevute bancarie in scadenza – continua – c’è il rischio di un effetto domino con conseguenze devastanti e imprevedibili. Occorreva intervenire per garantire i pagamenti e non innescare questo circolo vizioso. L’abbiamo proposto ad inizio marzo senza essere ascoltati. Se non programmiamo la ripartenza gli effetti saranno esponenzialmente negativi: se le aziende non ripartono non ci sarà la fiscalità per pagare stipendi pubblici, pensioni e per garantire i servizi essenziali. Mancherebbe la benzina per fare andare avanti il motore dell’Italia“.
Presidente cosa ne pensa del “Decreto liquidità”?
“A parte le misure prese per prestiti fino a 25 mila euro che dovrebbero prevedere erogazioni più veloci, anche se la capienza disponibile probabilmente non sarà sufficiente per tutti, alle altre aziende probabilmente converrà attingere ai canali tradizionali se necessiteranno di finanziare gli sbilanci di cassa urgentemente vista la burocrazia e i tempi necessari. Stiamo lavorando con l’ABI e le altre associazioni per cambiare le procedure, speriamo di riuscirci, in caso contrario saranno necessarie, ad essere ottimisti, settimane. Non c’è poi premialità per chi manterrà i livelli occupazionali come ad esempio avviene negli USA dove una quota parte dei prestiti diventa a fondo perduto. Sulla cassa integrazione, anche in questo caso c’è il problema degli anticipi: se i soldi non verranno erogati dai datori di lavori, il rischio è che le banche non riescano ad anticiparli in tempi brevissimi visti i numeri”.
Cosa ne pensa della chiusura prorogata fino al 3 maggio?
“Abbiamo avuto un’emergenza sanitaria talmente impattante che è difficile dire quando sarà il momento giusto per far ripartire l’intero sistema produttivo. Denoto solo che le aziende non possono più reggere una chiusura prolungata. Tra l’altro c’è un disallineamento tra il lockdown italiano e quello di altri Paesi Europei: le aziende italiane non solo non fatturano ma rischiano concretamente di perdere clienti a vantaggio delle aziende europee. E’ questo è un danno gravissimo non solo per le aziende esportatrici ma per tutti i conto terzisti che lavorano nell’indotto”.
Confapi Industria cosa propone per la ripartenza?
“Siamo a metà aprile e non è ancora stato varato un piano sanitario per la riapertura. Confapindustria ha proposto i test rapidi o ematici pagati dalle aziende che hanno un grado di sicurezza riconosciuto di oltre l’80% da affiancare agli altri DPI, sarebbe uno strumento utilissimo, una sicurezza aggiuntiva, le istituzioni ci ascoltino. La burocrazia per l’ennesima volta sta dilatando i tempi e non possiamo permettercelo. I test vengono già fatti al personale sanitario, da questa settimana alle forze di Polizia e volontariato, occorre estenderli immediatamente alle aziende. Tutti in queste settimane abbiamo messo al primo posto la salute, lancio una proposta alle Istituzioni: vogliamo essere ancora più prudenti? Facciamo una mappatura delle aziende strategiche e delle filiere che hanno continuato a lavorare e cominciamo da Piacenza a verificare se ci sono stati casi di trasmissione del coronavirus. Se i dati ci diranno che la trasmissione è praticamente nulla, con l’aggiunta dei test rapidi da noi proposti agli altri DPI già utilizzati, tutti converranno che l’azienda è il posto più sicuro dove stare e quindi si potrà finalmente ripartire”.
Cosa fare per Piacenza?
“Il territorio deve rimanere unito, occorre lavorare fianco a fianco con la parte sindacale che si è dimostrata sempre responsabile e collaborativa. In generale occorre non far prevalere piccole logiche di parte ed inviare messaggi chiari alla politica. Le divisioni e gli attacchi degli ultimi giorni danneggiano Piacenza. Questo deve essere chiaro a tutti. I piacentini che hanno ruoli strategici devono essere i nostri primi interlocutori. Dobbiamo superare le divisioni per un bene comune più grande. A Bonaccini vorrei dire che Piacenza nella ripartizione dei fondi regionali dovrà ricevere risorse aggiuntive rispetto a quelle usualmente assegnate. Inoltre penso che sarebbe opportuno ripensare il progetto degli hub della terapia intensiva includendo anche il nostro territorio: con quello che abbiamo pagato in queste settimane sarebbe sacrosanto questo simbolico riconoscimento. A livello governativo vorrei che le istituzioni locali chiedessero unitariamente per Piacenza una zona franca o a tassazione semplificata per il 2020: chi ha pagato di più in termini sanitari ed economici deve avere una sorta di risarcimento che consenta di ripartire più velocemente. Lavoriamo tutti assieme perché solo così potremo farcela. Forza Piacenza”.