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Richiedenti asilo, dinieghi al 70,9% in provincia

I primi dati relativi ai responsi delle commissioni territoriali competenti per le domande di asilo dei richiedenti presenti in provincia parlano chiaro: il 70,9% delle domande sono state rigettate nel primo bimestre del 2018. Un trend fortemente in controtendenza rispetto alle percentuali di riconoscimento di una qualche forma di protezione osservate nel 2017 a livello nazionale (43,2% dei richiedenti ha ottenuto una qualche forma di protezione, Fonte: Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2017), ma che resta del tutto spiegabile se si tiene conto dei successivi gradi di giudizio (Tribunale civile, Appello e Corte di Cassazione) in cui la protezione poteva essere concessa. Almeno fino al decreto Minniti-Orlando che, eliminando un grado di giudizio, dovrebbe incidere significativamente sulle statistiche.

Indipendentemente dal nuovo indirizzo normativo – proprio in virtù del giro di vite delle commissioni territoriali (competente per la provincia di Piacenza è – salvo casi eccezionali – quella di Bologna), l’effetto conseguente a una così alta percentuale di dinieghi è quello di allungare il tempo di permanenza dei richiedenti asilo nei centri di accoglienza, come previsto dalla convenzione di Ginevra, così come dal decreto legge 142/15, che stabiliscono il diritto all’accoglienza fino al completamento dell’iter giudiziario per il riconoscimento della domanda di asilo.

Paradossalmente infatti, coloro che ottengono la protezione e con essa un documento che consenta la permanenza del richiedente su territorio italiano, sono costretti a lasciare per legge le strutture di accoglienza, mentre coloro che non la ottengono sono tutelati dalla possibilità di ricorso al tribunale civile, con conseguente dilatazione dei tempi per espletare la procedura del riconoscimento.

E per chi lascia le strutture di accoglienza, documento alla mano, le strade non sono poi tante: per chi non se ne va dall’Italia, cercando fortuna in altri paesi europei dalle economie più fiorenti, all’orizzonte ci sarebbe lo Sprar (il servizio di protezione per rifugiati e richiedenti asilo), un programma di accoglienza di secondo livello diventato negli anni un “ombrello” largamente insufficiente per chi lascia i progetti di prima accoglienza: 31.300 posti Sprar in Italia contro i 158.607 disponibili in prima accoglienza; 21 in tutta la provincia di Piacenza a fronte dei 1068 richiedenti accolti nei Centri di Accoglienza Straordinaria, che rappresentano ad oggi lo 0,38 per cento della popolazione residente in provincia.

Ecco dunque aprirsi un potenziale baratro – dai numeri ancora limitati in provincia, ma pur sempre significativi – per coloro che, dall’oggi al domani, si ritrovano a doversi muovere in completa autonomia sul territorio italiano, con annesso documento valido. Non clandestini dunque, ma rifugiati spesso privi di mezzi di sostentamento propri che – quando non riescono a trovare occupazione in tempi brevi – rischiano di intraprendere la strada della microcriminalità, andando spesso a ingrossare le fila del tristemente noto traffico di stupefacenti – come testimonia la cronaca degli ultimi mesi.

Un problema di tenuta sociale le cui possibili misure risolutive, per giunta, implicano altri finanziamenti, rischiando di mettere a repentaglio il già difficile equilibrio di tutele tra le fasce deboli autoctone e immigrate.

All’orizzonte, per ora, manca un piano complessivo – come messo in evidenza da diverse associazioni del terzo settore – anche se resta altrettanto doveroso segnalare l’imponente sforzo di numerose realtà, da Caritas a Croce Rossa, passando per il Rifugio Segadelli della Ronda della Carità, Svep e l’ambulatorio di Emergency in via Pozzo, per gestire con umanità i momenti di emergenza abitativa e garantire a tutti il diritto alle cure mediche essenziali.

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