«La catastrofe climatica è sottovalutata più di quanto si pensi. Nel 2035-2040 avremo 1,2 miliardi di rifugiati climatici. Molti arriveranno dai paesi africani, dove non ci sarà più acqua. Il fatto è che il 10 per cento di questi rifugiati verrà da noi». Non è proprio rosea la visione del futuro mondiale prospettata da Roger Abravanel (ingegnere, consulente, ha lavorato per McKinsey, fa parte dei consigli di amministrazione di diverse società internazionali ed è presidente dell’Insead Council in Italia, selezionato tra i “50 che hanno cambiato il mondo” da Insead nel 2010), autore (con Luca D’Agnese, manager d’azienda con esperienze nei settori energia e infrastrutture) del volume “Le grandi ipocrisie sul clima” edito da Solferino e presentato al PalabancaEventi (in una Sala Corrado Sforza Fogliani gremita) per iniziativa di Banca di Piacenza e Arca Fondi SGR.
Dopo i saluti del presidente della Banca Giuseppe Nenna, l’ing. Abravanel ha illustrato i contenuti del libro aiutandosi con alcune slide. «Non sono né ambientalista, né giornalista, né scrittore (anche se è alla sua sesta fatica editoriale e collabora con il Corriere, ndr), ma un uomo d’azienda – ha premesso l’autore – che cerca di sensibilizzare la società civile e soprattutto i giovani su un tema fondamentale che influenzerà la vita di tutti noi e sul quale sto riscontrando molta ignoranza». Qualcosa di buono si è fatto, secondo l’esperto di origini libiche: l’aumento degli investimenti nelle fonti rinnovabili rispetto a quelle fossili e l’avvento dell’auto elettrica (oggi nel mondo ne circolano più di 1 milione). «Ma c’è ancora tantissimo da fare – ha sentenziato il relatore – per rallentare la crescita della temperatura. Occorre un nuovo approccio sul clima partendo dal “triangolo della sostenibilità” (formato dalla politica con il protocollo di Kyoto e gli accordi di Parigi, dalla società con l’allarme degli scienziati e la pressione degli attivisti, dalle imprese innovative come Iberdrola ed Enel per le rinnovabili e Tesla e BYD per l’auto elettrica) che ha già realizzato progressi prima impensabili».
Il miglioramento climatico ha, a parere dell’ing. Abravanel, un grande nemico: «L’ipocrisia sia da un lato che dall’altro». Quella dei vecchi negazionisti (Trump) e dei nuovi, che in attesa di soluzioni migliori tendono a non fare niente (“Inutile ridurre le nostre emissioni se altri non fanno altrettanto”) e quella dei falsi profeti della sostenibilità: con la finanza verde («35mila miliardi di investimenti e solo 3mila con un vero impatto»); l’ambiguità del nuovo capitalismo con il rigetto americano che sostiene la libertà d’impresa; il rifiuto della burocrazia europea nata in nome dell’ambiente e del sociale, nota nelle aziende con la sigla ESG. «Il rischio – ha concluso l’autore – è di buttare via il bambino (l’emergenza climatica) con l’acqua sporca (falso capitalismo sociale e burocrazia) e tornare indietro di 30 anni. Come se ne esce? Ragionando in modo più intelligente. L’Europa, per esempio, potrebbe incentivare le rinnovabili in Paesi in via di sviluppo (India) che non sono in grado di farlo. Poi da parte delle imprese occorre sfruttare l’innovazione. Il triangolo della sostenibilità visto prima deve cambiare: la politica deve passare dal green deal allo smart deal e far diventare l’adattamento una priorità, perché dobbiamo proteggerci da un clima che sarà sempre più caldo; la società civile sia meno settaria e più informata e le imprese investano con incentivi e infrastrutture giusti».
L’incontro – moderato dal vicedirettore generale di Arca Simone Bini Smaghi, che ha evidenziato l’importanza del confronto su temi complessi come quello della sostenibilità – è proseguito con gli interventi di Ettore Capri, professore in Chimica Agraria alla Cattolica e Marco Allena, preside della Facoltà di Economia e Giurisprudenza, sempre della Cattolica di Piacenza.
Il prof. Capri ha difeso il ruolo dell’agricoltura – spesso non riconosciuto – nel contribuire al benessere dell’ecosistema. «Bisognerebbe trasformare il concetto di sostenibilità – ha spiegato – e sostituirlo con “avere cura”. L’agricoltore è il primo anello della catena: coltivando con cura preserva l’ambiente e il territorio. Il problema è che l’agricoltura rappresenta l’anello debole del sistema comunicativo».
«L’apocalisse climatica – ha osservato il prof. Allena – è un tema troppo serio per lasciarlo agli apocalittici. Da giurista accolgo con favore la visione “triangolare” spiegata dall’ing. Abravanel e ritengo fondamentale il ruolo dello Stato come regolatore. Stato che dovrebbe agire con misure drastiche attraverso divieti e incentivi».
Alle relazioni è seguito un ampio dibattito e agli intervenuti è stata consegnata copia del volume.



