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Mario Giordano: «il paese non e’ piu’ nostro, i predoni ce lo stanno rubando»

«Non vorrei un Paese modello Riace per poter lasciare ai nostri figli un Paese non troppo peggiore di quello che ci hanno lasciato i nostri padri». Mario Giordano ha appena finito di parlare e dal Salone dei Depositanti di Palazzo Galli parte un lunghissimo applauso, termometro di quanto il numerosissimo pubblico intervenuto alla presentazione della sua ultima fatica editoriale (“L’Italia non è più italiana”, edizioni Mondadori) abbia apprezzato l’accorata denuncia documentata nel libro dal conduttore del programma di Rete 4 Fuori dal coro sui “nuovi predoni che ci stanno rubando l’Italia”.

Il presidente del Comitato esecutivo della Banca di Piacenza (organizzatrice dell’evento) Corrado Sforza Fogliani, presentando l’illustre ospite, lo ha ringraziato «per il contributo dato in difesa delle banche popolari», finite sotto attacco con la riforma Renzi che, di fatto, ha consegnato gli Istituti costretti a trasformarsi in Spa ai fondi esteri. Un grave danno per la nostra economia «perché come già sosteneva Einaudi sono le banche di territorio – ha spiegato il presidente Sforza Fogliani – che mantengono la concorrenza e impediscono che le grosse banche arrivino all’oligopolio».

«Mi stavo già occupando delle inchieste per il libro quando lessi quanto scritto da Sforza sulle Popolari e mi sono appassionato al tema. Queste banche sono state attaccate dai media e indebolite da un decreto che le ha consegnate ai fondi stranieri. C’era dietro un disegno preciso: perché prendersi le nostre banche vuol dire prendersi la nostra economia».

Il giornalista (scrive anche su La Verità) ha documentato i risultati dell’inchiesta, realizzata girando per l’Italia: «Purtroppo – ha detto – il Paese non è più nostro. Ogni 48 ore una azienda italiana passa in mani straniere. Si conoscono i casi più eclatanti, come la Pernigotti ceduta ai turchi, ma ci sono tante altre storie passate sotto silenzio». Come quella della bresciana Invatec. Da piccola azienda familiare che produceva tubi in gomma per lavatrici, grazie a una geniale intuizione diventa leader mondiale per la produzione di stent e cateteri di altissima qualità finiti in tutti gli ospedali del mondo.

Nel 2010 l’imprenditore decide di vendere a un colosso americano. Solite rassicurazioni, poi lo scorso anno l’annuncio: la produzione sarà trasferita in Messico e tanti saluti a 300 posti di lavoro. «Così i territori s’impoveriscono e potrei fare tanti altri esempi. Il problema – ha proseguito Giordano – è che abbiamo perso il controllo di tutti i nostri settori strategici: pensate alla moda; alla Luxottica e alla Parmalat finite in mani francesi. Il sistema paese non sa difendere i suoi tesori. Persino le biciclette Bianchi non sono più italiane ma svedesi». La stessa cosa succede per il settore agricolo e per quello della cultura». Di fronte a tutto ciò la domanda è: che cosa facciamo? «Dobbiamo saperci difendere – ha risposto l’illustre ospite della Banca -. E’ inevitabile che al giorno d’oggi si sia interconnessi, è ovvio che gli scambi ci siano. Ma proprio perché siamo maggiormente esposti alle “vie della seta”, che dobbiamo darci norme che ci tutelino. Non bisogna vivere isolati, ma questo non vuol dire che si debbano tagliare le nostre radici. Andare in mare aperto è bellissimo ma ti devi attrezzare, perché se ci vai in canotto affondi».

A parere di Giordano occorre creare le condizioni per poter difendere il nostro sistema, sia esso creditizio, produttivo, culturale, attraverso strumenti normativi. Una battaglia prima di tutto culturale, che agisca sulle coscienze. «La tragedia di questo Paese – ha chiosato l’oratore – è che ogni 5 minuti un nostro connazionale è costretto ad andare via dall’Italia e spesso sono i nostri migliori giovani laureati. E noi, per tutta risposta, importiamo immigrazione».

 Sforza Fogliani: «Piacenza non crea sviuppo facendo la zecca degli altri»

«Pensate – ha riflettuto il presidente Sforza – quante delle osservazioni fatte da Mario Giordano si possono riferire non solo all’Italia, ma al nostro territorio piacentino». A titolo d’esempio è stato ricordato l’accordo per l’alta velocità, che prevedeva la stazione dedicata a Piacenza, non a Reggio Emilia. «Non imputo alla classe dirigente piacentina di non aver portato a casa il risultato, ma di non aver protestato. Stiamo assistendo alla demolizione della nostra provincia – ha continuato Sforza – addirittura forzatamente annessa al Basso Lodigiano, anche qui senza nessuna protesta di alcun ente istituzionale. Pensate alle conseguenze per un territorio in continua caduta, se gli utili che produce la Banca finissero all’estero».

«Le osservazioni che ha fatto Giordano per l’Italia – ha concluso il presidente Sforza Fogliani – valgono anche per Piacenza, dove se si picchia l’asino, l’asino ringrazia. Non si lavora per lo sviluppo facendo le zecche di Parma, Pavia o Milano. Bisogna fare come Piacenza Expo, che difende coi denti la propria autonomia. Da ben più di 20 anni in questa sala, quando approviamo il bilancio della Banca, dico ai soci che la perdita dei centri decisionali provoca un continuo impoverimento del territorio. Oggi nella nostra provincia due lavoratori su 4 sono dipendenti di aziende che non hanno più la “testa” a Piacenza. Un po’ di colpa dobbiamo darcela, non abbiamo lottato per difendere la nostra autonomia. Facendo le zecche, l’economia non cresce. Cresce, se la ricchezza prodotta nel territorio qui rimane. Investire nella nostra terra non vuol dire essere provinciali. Non si vince la sfida dei tempi facendo i comprimari, pur di avere mezza giornata o una giornata di festa. Bisogna essere primari, per tenere qua le risorse prodotte e per attrarre risorse da fuori».

Giordano ha risposto alle numerose domande del pubblico e ha autografato le copie del suo libro, regalando al pubblico una riflessione finale: «Non rassegnamoci. Con le mie battaglie non sarò riuscito a cambiare il mondo, ma almeno il mondo non ha cambiato me»). La Banca gli ha fatto dono della targa dell’ospitalità piacentina, detta “del benvegnù”.

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