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Una pena che rieduca. I detenuti delle Novate hanno interpretato “Giulio Cesare” di Shakespeare

Sulla rieducazione della pena ci sono pagine e pagine di letteratura. Cominciò tal Cesare Beccaria nel 1764 con un breve saggio dal titolo Dei delitti e delle pene, nel quale l’autore milanese cominciò ad interrogarsi circa l’accertamento dei delitti e delle pene allora in uso, per proseguire poco meno di 200 anni dopo con la Costituzione italiana, che all’art. 27 comma 3 recita proprio che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Sulle modalità di questa rieducazione il carcere di Piacenza, da poco passato in mano alla “gestione” della direttrice Maria Gabriella Lusi, intende dare una risposta attraverso l’arte e la creatività, in modo che l’orizzonte dei detenuti vada oltre le quattro mura grigie della casa circondariale.

Da qui l’idea di realizzare uno spettacolo teatrale da parte dell’associazione “Oltre il Muro”, con la collaborazione vitale di un regista affermato a livello teatrale come Mino Manni. 13 incontri laboratoriali iniziati a marzo e conclusi con la messa in scena di “Giulio Cesare” di William Shakespeare, andato in scena questa mattina nella cappella delle Novate. Ogni detenuto si è cimentato ad interpretare grandi personaggi della storia (Cesare, Bruto, Cassio, Antonio, Ottaviano, Decio, Casca) calandosi in diverse realtà esistenziali, sia positive che negative, sperimentando le contraddizioni dell’animo umano, con la possibilità di riscatto finale.

“Il teatro rappresenta disciplina, conoscenza di sè e degli altri – sottolinea la direttrice Lusi – e attraverso la regia di Mino Manni c’è stata la possibilità di raccontare una storia, ma anche le proprie storie. Il teatro è anche questo, capacità di raccontarsi, arricchendo il personaggio da interpretare. Trovo bellissimo che i detenuti si siano lasciati andare in questo avvolgente percorso”. 

Il testo di Shakespeare è stato definito “fortemente stimolante” dal regista Mino Manni. “Parla del mistero dell’uomo, del fatto che l’uomo è fallibile, che può fare degli errori e che nonostante questo può recuperare, vedere una luce in fondo al tunnel. Perchè tutti noi possiamo fare delle cose di cui possiamo pentirci. Non bisogna vergognarsene, bisogna parlare”. 

“Abbiamo fatto tutto questo senza giudizio – continua Manni – perchè Shakespeare è un autore che non giudica mai, proprio perchè l’uomo è un mistero”.   

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