Il comitato di Piacenza dell’Istituto per la Storia del Risorgimento ha chiuso il ciclo di studi sulla Prima Guerra Mondiale presentando – a Palazzo Galli della Banca di Piacenza – gli atti del convegno dello scorso anno (il quarto dedicato alla Grande Guerra) incentrato sulla figura di Giuseppe Manfredi e sulla fine del conflitto. «Quattro volumi – ha sottolineato il presidente dell’Istituto Corrado Sforza Fogliani – di studi originali, come siamo soliti fare, su di un conflitto dopo il quale nulla sarebbe più stato uguale a prima. E lo si può constatare andando a rileggersi le memorie di Antonio Salandra, che da presidente del Consiglio cambiò le alleanze (dalla Triplice all’Intesa) e decise di entrare in guerra. Una decisione che spiegò così: per salvare la dignità dell’Italia; per avere nuovi confini (di terra e di mare) più sicuri rispetto a quelli imposti dopo la III Guerra d’Indipendenza; per dare al nostro Paese una posizione definita all’interno del Mediterraneo».
«La Grande Guerra – ha proseguito l’avv. Sforza – ha sconvolto la geografia mondiale con la caduta degli imperi centrali e ottomano. I nuovi Stati sono stati delineati tracciando linee diplomatiche rette, senza tenere conto delle varie genie. Se non ci fosse stata la Grande Guerra, è facile ipotizzare che non avremmo avuto né i crimini nazisti, né i crimini comunisti e avremmo un’Italia diversa. Finì nel modo in cui finì grazie al valore delle nostre truppe, ma anche alla situazione economica dell’Austria, colpita da un’inflazione a due cifre e dall’incapacità di fornire vestiario persino all’esercito al fronte, sui monti. Noi, invece, fummo in grado di condurre a termine la guerra perché la classe politica liberale, nonostante avesse ereditato un debito pubblico enorme dagli Stati preunitari, raggiunse nel 1876 il pareggio di bilancio portando in seguito la lira a fare aggio sull’oro».
A dare contezza del contenuto del volume sugli atti del convegno “Giuseppe Manfredi e la fine della Grande Guerra” (realizzato con il sostegno della Banca e distribuito agli intervenuti) è stato il giornalista Robert Gionelli, che ha riassunto le nove relazioni svolte lo scorso anno, a cominciare da quella di Aldo G. Ricci, direttore emerito dell’Archivio Centrale dello Stato, sulla figura di Giuseppe Manfredi, soprattutto nelle sue vesti di senatore piacentino e presidente del Senato. Per proseguire con gli altri relatori che erano stati chiamati a trattare la fine della Grande Guerra nel Piacentino: Augusto Bottioni (argomento, i campi di concentramento di Gossolengo e Rivergaro per i prigionieri di guerra italiani rientrati dagli imperi d’Austria e Germania); Paolo Brega, che aveva ricordato la figura del deputato di Castel San Giovanni Nino Mazzoni; Paola Castellazzi, che aveva passato in rassegna i titoli dei giornali piacentini (Libertà, Nuovo Giornale e La Trebbia) sulla fine della Grande Guerra, salutata con toni trionfalistici; Fausto Ersilio Fiorentini (le ripercussioni della guerra sulla vita della Chiesa piacentina negli ultimi anni di magistero del vescovo Giovanni Maria Pellizzari); Luigi Montanari (l’attività piacentina della Lega nazionale proletaria fra mutilati, invalidi, vedove e genitori di Caduti in guerra); Massimo Moreni (il ruolo determinante del Genio Pontieri nella vittoria finale); Valeria Poli (il programma di opere pubbliche apprestato dal sindaco Enrico Ranza per il dopoguerra); David Vannucci (costituzione dello Stabilimento militare di San Lazzaro Alberoni).