Il nostro paese è fatto di tante cose. Di solidarietà, di inventiva, di capacità di adattamento davanti alle emergenze.
Abbiamo fabbriche che si sono riconvertite in pochi giorni alla produzione di mascherine protettive. Abbiamo medici e tecnici in grado di inventare “sdoppiatori” che permettono di usare un ventilatore polmonare per due persone. Abbiamo Armani che mette l’alta sartoria al servizio dei sanitari e fa cucire camici per i medici e la Ferrari che si dice pronta a produrre centinaia di respiratori al mese.
Purtroppo l’Italia è anche il paese della burocrazia soffocante, delle norme mal scritte, mai chiare e sempre “interpretabili”, la terra delle autocertificazioni che si riproducono a velocità pandemica.
Accade così che l’ordinanza del 21 marzo 2020 emanata dal presidente regionale Stefano Bonaccini abbia imposto limitazioni ulteriori e diverse rispetto a quelle del resto d’Italia imponendo la chiusura dei supermercati e dei negozi alimentari alla domenica e la sospensione di tutti i mercati «sono sospesi i mercati ordinari e straordinari, i mercati a merceologia esclusiva, i mercatini e le fiere, compresi i mercati a merceologia esclusiva per la vendita di prodotti alimentari e più in generale i posteggi destinati e utilizzati per la vendita di prodotti alimentari».
Due giorni dopo, lunedì mattina, il comune di Piacenza ha diramato una nota stampa in cui veniva specificato che veniva «sospesa l’attività dei mercati alimentari rionali di piazza Casali e via Alberici, nonché l’attività di vendita al dettaglio del mercato ortofrutticolo, che potrà tuttavia proseguire, nello stesso periodo, nel servizio all’ingrosso».
Una notizia che ha gettato nel più totale scoramento (fra gli altri) una ventina di operatori del mercatino di via Alberici, che – per chi lo conosce – di mercato ha solo il nome.
Si tratta infatti di una struttura comunale per nulla differente rispetto ad altri negozi sparsi per la città e che si potrebbe tranquillamente chiamare galleria commerciale.
Una parte degli esercizi sono addirittura un corpo totalmente staccato rispetto al resto e vi sono ospitati due fruttivendoli, una polleria ed un negozio per animali. Hanno l’ingresso dal parcheggio, sono staccati l’uno dall’altro e già operavano con le cautele e le prescrizioni imposte dall’emergenza.
«Per noi è stato un fulmine a ciel sereno – ci ha spiegato Igino Peretti titolare insieme al fratello di uno dei due negozi di ortofrutta. – Essendo attività alimentari mai avremmo immaginato di dover chiudere. Anche perché non abbiamo altre fonti di reddito e, nonostante tante promesse le bollette per l’elettricità delle celle frigorifere le dobbiamo pagare, come tutte le altre. Soprattutto non si capisce perché, come sempre, si favoriscano i supermercati e si colpiscano i negozi di vicinato. Noi siamo un mercato di nome, come sanno bene tutti (o dovrebbero sapere). Mi spiega la differenza fra il mio ed un negozio di viale Dante?».
L’altra parte del mercato però è composta da un edificio unico.
«Certamente. Ci sono due pollerie, due gastronomie, due macellerie bovine, una equina, due salumerie, una panetteria ed un negozio di formaggi. Tutte imprese famigliari e tutte alimentari. Avevamo previsto percorsi di ingresso e di uscita in modo da mantenere le distanze di sicurezza né più e né meno di quello che si fa in un supermercato, anzi forse con più spazio rispetto ad una delle loro corsie».
Nonostante tutto avete dovuto chiudere, dall’oggi al domani.
«Si. Per quanto assurdo non c’è stato nulla da fare. Dopo che abbiamo protestato siamo riusciti ad ottenere per lo meno di poter fare consegne a domicilio».
Funziona?
«Stiamo lavorando a pieno ritmo. E’ un servizio di cui tanti piacentini avevano bisogno. Ci siamo organizzati fra di noi commercianti. Così se un cliente ci telefona non portiamo solo la frutta (che sarebbe il nostro settore) ma recuperiamo dai colleghi anche il resto, il formaggio piuttosto che la carne o il pane. Facciamo la spesa per conto loro. Comunichiamo l’importo totale in modo che ci facciano trovare i contanti pronti. Per la massima sicurezza, soprattutto degli anziani, diamo anche una parola d’ordine così che sappiano che si tratta effettivamente di noi e non di truffatori. Chiediamo di attrezzare una sedia, un tavolino fuori dalla porta in modo da poter consegnare la merce senza avere contatti diretti».
Utilizzate mascherine e guanti protettivi?
«Certamente. Anzi a proposito di mascherine le racconto questa cosa. Uno dei primi giorni in cui facevo consegne sono capitato in una famiglia composta da una copia di anziani. Quando sono arrivato sulla sedia ho trovato una mascherina protettiva, ancora incellofanata. La signora me l’ha voluta donare per ringraziarmi, perché per loro ricevere la merce a casa, non dover uscire, è un aiuto prezioso. Io mascherine e guanti sono riuscito a trovarne a sufficienza per l‘uso quotidiano. Quella, una volta passato tutto, la metterò in una teca di vetro, per ricordarmi di cos’è successo e dell’umanità e generosità delle persone, soprattutto quelle più fragili».
Non ha paura a fare le consegne?
«Come le spiegavo adottiamo tutte le precauzioni possibili, stiamo attenti, evitiamo contatti diretti, utilizziamo i disinfettanti. Nei giorni scorsi mi hanno telefonato un marito ed una moglie, entrambi giovani, con bambini piccoli. Lavorano come infermieri e si trovavano in quarantena, senza poter quindi uscire di casa. Non avendo parenti in zona non sapevano come fare e non avevano trovato chi consegnasse loro la spesa. Ci sono andato e sinceramente la gratitudine che ho visto nei loro occhi, pur a distanza e seminascosti dalle mascherine, … sono un’altra memoria che porterò con me. E’ a soddisfazione più grande».
Dunque alla fine, nonostante gli ostacoli iniziali, riuscite a lavorare a pieno ritmo.
«Come dicevo lavoro con le consegne ne abbiamo tanto, anche oltre quello che sarebbe il nostro orario consueto (dalle 7 alle 13,30). Però guardi gli ostacoli non finiscono mai».
Perché, cosa vi è successo?
«Ieri abbiamo avuto problemi con una pattuglia della polizia municipale che si è fermata qui davanti ed ha contestato il fatto che avessimo una delle basculanti aperta a metà. Non abbiamo altri ingressi e la merce la dobbiamo far entrare ed uscire dal negozio. Secondo loro dovevo tenere comunque chiusa la basculante e basta».
Come è finita?
«Abbiamo discusso un po’. E’ intervenuta, in nostra difesa, anche una signora che era venuta ad informarsi su come fare a comprare e a cui abbiamo spiegato del servizio di consegna a domicilio. Io non ho nulla contro la polizia locale. Ognuno fa il suo mestiere. Però se non lavoro non mangio (come tanti altri). Chiedo solo ed esclusivamente di poter lavorare rispettando norme e regole. Una basculante semiaperta non credo infranga nulla. Penso sia molto peggio chi, come mi è stato segnalato, in altre zone della città, permette che si tocchino frutta e verdura e ci si serva da soli. Visti i tempi il self-service secondo me sarebbe da evitare».
E’ vero che qualche suo cliente saputo quanto era accaduto ha anche protestato con alcuni assessori.
«Si e li ringrazio. Non è un segreto. In mattinata mi ha chiamato l’assessore Luca Zandonella a cui ho spiegato l’accaduto e le difficoltà con cui già operiamo. E’ stato molto gentile e spero possa sensibilizzare tutti perché capiscano che una serranda semiaperta non è una violazione ma una necessità per poter lavorare. Alla fine, in vesti e modi diversi stiamo tuti svolgendo un servizio per la comunità!».
P.s. Se avete bisogno della consegna a domicilio chiamate Igino Peretti al n. 0523 1749590 (al mattino).