Da giorni chiedevamo alla Regione, attraverso il suo ufficio stampa, di poter avere dati più approfonditi rispetto ai malati piacentini, al numero di decessi registrati nella nostra provincia, alla loro età. Spetta a Bologna infatti diffondere quotidianamente il rendiconto sul Coronavirus.
Sapere il numero di decessi e di positivi piacentini se da un lato ci aiuta a tracciare un andamento di massima dall’altro non dà sufficientemente conto di quanto accade sul territorio.
E’ così che, alla fine, fra telefonate, scambio di email e messaggi WhatsApp siamo ritornati da dove eravamo partiti ossia a Piacenza ed una richiesta statistica si è trasformata in un’intervista a più ampio spettro con il commissario straordinario dell’Ausl di Piacenza, il dottor Luca Baldino, all’indomani tra l’altro della messa in onda della puntata di Report che ha parlato anche e proprio del Guglielmo da Saliceto.
Dottor Baldino dobbiamo attenerci scrupolosamente alle domande sui numeri che le avevamo girato, visto che alcune sono state superate dai fatti, o possiamo spaziare in altri campi?
«Ho le informazioni specifiche su quello che ci aveva chiesto, ma se ritiene di farne altre. Sono qui per rispondere».
Partiamo allora da un dato che sembra consolidarsi in questi ultimi giorni, il calo degli accessi al pronto soccorso. Può spiegarci come è cambiato il quadro fra fine marzo ed oggi?
«Nell’ultimo mese abbiamo avuto un’escalation degli accessi in pronto soccorso e dei ricoveri come avete ben visto. Da sei giorni a questa parte registriamo un calo che negli ultimi due giorni è stato decisamente importante. Tanto è vero che da oggi abbiamo riaperto una zona dedicata ai pazienti non Covid all’interno del pronto soccorso e non usiamo più la PMA, la tenda esterna. E’ sicuramente un segnale positivo, molto positivo. Questo si accompagna, negli ultimi tre giorni ad una lieve flessione dei ricoverati, si vede la curva che incomincia a scendere anche se per il momento di poco».
Flessione vuol dire che state dimettendo dei ricoverati?
«Si. Che sono più quelli che dimettiamo di quelli che ricoveriamo, quindi il numero complessivo dei ricoverati cala, di poco, di qualche decina di unità su settecento e passa letti Covid che abbiamo. E’ un segnale importante. Ciononostante resto prudente».
Come mai?
«Perché vuol dire che le misure che sono state prese stanno incominciando a dare i loro effetti, funzionano. Per questo motivo non bisogna assolutamente abbassare la guardia. La mia paura è che la gente incominci ad uscire di casa. Assolutamente no! Almeno fino a dopo Pasqua bisogna osservare scrupolosamente le norme di contenimento. E’ un messaggio che sto ripetendo fino alla nausea».
Cosa potrebbe succedere?
«In questo momento in cui stiamo incominciando a vincere la battaglia se la gente incominciasse ad uscire quando il virus sta ancora circolando … ci infetteremmo tutti da capo e si ricomincia tutto da capo».
Questa malattia a Piacenza sembrerebbe aver colpito – salvo qualche eccezione – fasce di età avanzate con un alto numero di decessi fra gli anziani. E’ esatto?
«Sicuramente i decessi vanno a colpire le fasce di età molto elevate. Il 90% dei pazienti deceduti ha più di 70 anni e di questi il 53% ne ha più di 80. Nel 10% di morti di età inferiore ai 70 anni la quasi totalità era composta da pazienti con altre patologie (cardiopatie, diabete etc.). Però non è vero che si contagiano solo gli anziani. Gli anziani, purtroppo, muoiono ma questa è una malattia che contagia tutte le età. Più si è giovani più è facile essere asintomatici».
Ci sono anche bambini fra i contagiati?
«Minorenni ne abbiamo davvero visti pochissimi, diciassette su oltre 2.000. La fascia di positivi fra 41 e 64 anni è pari al 36%. La fascia fra i 65 e i 79 anni è pari al 29%. Lo ripeto non si infettano solo gli anziani. Con esclusione dei bambini il virus colpisce proporzionalmente tutte le età. Chi rischia la vita, in seguito alle complicanze, alle polmoniti sono i più fragili o per questioni anagrafiche o per patologie o per entrambi i fattori.
Non vorrei che passasse l’idea che i giovani, quelli sotto i cinquant’anni, non si contagiano. Si contagiano anche loro ma essendo robusti sono meno sottoposti ad un esito infausto. Anche un 20enne, 30enne, 40enne deve capirlo che si infetta lo stesso, magari senza accorgersene, restando asintomatico ma resta comunque un veicolo del virus».
Anche a Piacenza ci sono stati focolai di infezioni nelle strutture per anziani magari partiti proprio da portatori asintomatici. Secondo lei si poteva fare di più e meglio per proteggere le persone più fragili?
«E’ un virus nuovo che circola da tre mesi e di cui si sa ancora pochissimo. Se si ricorda a gennaio quando era ancora in Cina le indicazioni che venivano date erano che gli asintomatici non infettavano. Oggi abbiamo scoperto che, anche se in misura molto più bassa, anche gli asintomatici possono trasmettere il virus. Forse se avessimo fatto partire le misure di contenimento ….».
Forse qualcosa avrebbero fatto … Ed invece cosa pensa della mancanza iniziale e cronica dei Dpi? Anche questo ha giocato un ruolo?
«Adesso la cosa è abbastanza risolta. Abbiamo ancora qualche problema con i camici, con il resto siamo a regime. Secondo me ha giocato di più la valutazione iniziale del virus, quel primo periodo in cui andavamo a cercare i Cinesi o chi aveva avuto contatti con la Cina. Quei giorni prima del 21. Probabilmente i virus girava già. Non questa bufala che dice Report da dicembre ma da qualche giorno, forse da una decina di giorni. Stava già girando senza che fosse possibile accorgersene perché la gente non mostrava ancora sintomi».
Mi sta dicendo che quanto ha riportato Report e che era uscito sui giornali locali, cioè del numero anomalo di polmoniti registrato a Piacenza a fine dicembre, non ha un legame con il Coronavirus?
«Lo escludo categoricamente. Adesso preparerò una relazione che renderemo pubblica. Non ci sta proprio con quella che abbiamo imparato essere la dinamica del virus. Questo è un virus che quando arriva, arriva, esplode. Le polmoniti da Coronavirus abbiamo iniziato ad averle dal 29 di febbraio e da allora a metà marzo le polmoniti sono aumentate del “mille percento” non del 30%».
Ed erano polmoniti diverse?
«Sono polmoniti diverse, sono virali mentre quelle di fine anno erano soprattutto di natura batterica. E’ vero che c’è stato un leggero aumento ma sono proprio momenti diversi. E’ proprio una fake news insomma».
Allo stato attuale quanti sono ancora i malati gravi fra terapia intensiva, sub intensiva, quelli insomma per cui c’è ancora un rischio concreto ed una battaglia forte in corso?
«In questo momento in terapia intensiva abbiamo 129 pazienti di cui 39 presso la nostra azienda sanitaria e 90 presso altre aziende della regione».
Quindi la maggioranza è ricoverata in altri ospedali?
«E’ stata la cosa importante per noi per gestire l’emergenza, quella di poter contare sulle terapie intensive di tutta la regione. Per liberare la nostra terapia intensiva abbiamo inviato pazienti un po’ in tutti gli altri ospedali, Bologna, Ferrara, Ravenna … esclusi Parma e Reggio dove hanno a loro volta numeri elevati».
Quindi i decessi di piacenti che si contano ogni giorno avvengono nei vari ospedali sparsi per la regione?
«Certo. Li riportiamo tutti ma avvengono anche in terapie intensive di altri ospedali. Tornando alla sua domanda vorrei sottolineare che i pazienti a rischio non sono solo quelli in terapia intensiva. Questo è un virus che, soprattutto nelle persone molto fragili, porta ad un’accelerazione così improvvisa di queste polmoniti che si aggravano rapidissimamente e né i farmaci né la terapia intensiva possono fare qualcosa. Molti muoiono fuori dalla terapia intensiva e non perché non sono riusciti ad accedervi ma perchè il decorso è stato talmente veloce da portarli alla morte».
Ci sono dei casi che non vedete nemmeno? A Piacenza ci sono decessi che sfuggono al conteggio perché avvengono in casa?
«Il conteggio viene fatto su tutti quelli con il tampone positivo, a prescindere dove si trovassero, anche a casa. Sono pochi. La maggior parte è morta in ospedale o nelle strutture per anziani».
Come sta andando la sperimentazione con il Remdesivir ed il Tocilizumab? Questi farmaci di cui si parla tanto. Avete riscontri?
«Occorre partire con una precisazione. Allo stato attuale nel mondo scientifico, nel mondo, non è stata ancora trovata una terapia specifica efficace per questo virus, tanto meno il vaccino. Si stanno sperimentando farmaci, mix di farmaci “off label” che nascono per usi diversi, per patologie diverse come il Tocilizumab che nasce per il trattamento dell’artrite reumatoide. Su alcuni pazienti il farmaco funziona molto bene su altri no e si sta cercando di capire (ex ante e non ex post) quali possono essere i pazienti per i quali il farmaco può funzionare. Tre mesi per identificare una terapia efficace sono pochissimi».
Però qualche riscontro positivo su questi farmaci lo avete avuto o no? Hanno migliorato le condizioni di qualcuno?
«Di qualcuno si e di qualcuno no. Abbiamo pazienti su cui il Tocilizumab ha dato ottimi risultati e pazienti su cui non ha avuto nessun effetto. Purtroppo non si ancora è riusciti ad identificare una terapia efficace almeno per alcune categorie di pazienti. Si sta sperimentando e si stanno analizzando i risultati. Dei due farmaci che si stanno sperimentando di più abbiamo sul Remdesivir 16 pazienti in terapia e ne avremo altri 20/30 nei prossimi giorni. Sul Tocilizumab ne abbiamo al momento 56. Il singolo caso purtroppo non fa scienza soprattutto quando non riesci a capire perché con Tizio abbia funzionato e con Caio no».
La Regione ha finalmente annunciato che da giovedì dovrebbe iniziare l’analisi sierologica sui sanitari per capire quanti hanno avuto, anche in passato, il Covid –19. E’ una buona notizia?
«Giovedì dovrebbero arrivare i kit. Noi dovremmo incominciare venerdì. Questa nuova metodica che ci permetterà di fare più verifiche è un’ottima notizia. Più ne riusciamo a fare meglio è».
A proposito di novità molti ci chiedono come mai a Piacenza non si è fatto il “drive trough” e le giriamo la domanda.
«Perché noi abbiamo aperto sei laboratori sul territorio. Abbiamo deciso di dare questo tipo di risposta. Lo stiamo valutando ma avendo questi sei punti … non so se ce ne sia bisogno».
Diciamo che forse i “drive trough” hanno un buon impatto mediatico fra la gente, insomma fanno cinema …
«L’ha detto lei … Io le dico che i 6 punti funzionano bene. Oggi il collo di bottiglia è la capacità dei laboratori di elaborare i tamponi, non è riuscire a fare i tamponi. I tamponi si fanno abbastanza facilmente. Il drive trough valuteremo. Se si dimostrerà migliore lo faremo».
Un’ultima domanda. C’è qualcosa che con la conoscenza di oggi potevate fare in maniera diversa e migliore nell’affrontare l’emergenza?
«Per le conoscenze che abbiamo oggi stiamo facendo tutto quello che è possibile. Abbiamo anche attivato, per primi, da circa una settimana, le squadre che vanno a domicilio ed abbiamo già curato 283 pazienti a domicilio, con l’ecografo, e altre centinaia li faremo la prossima settimana. Tutto quello che è possibile fare lo stiamo facendo. Fra tre mesi si scoprirà magari che esiste un farmaco risolutivo ma al momento non c’è».
Quello che potevate fare, pensate di averlo fatto insomma?
«Il vero problema di questo virus, e mi ripeto, è che la prima notizia risale a fine dicembre. E’ davvero passato pochissimo tempo».