C’è un filo rosso che lega in un solo destino la stagione delle stragi del dopoguerra all’omicidio Moro; un filo che non ha a che fare con la tanto vituperata “strategia della tensione” e nemmeno con la logica della guerra fredda tra i blocchi contrapposti Est-Ovest. Piuttosto, con un’altra guerra, combattuta in modo altrettanto violento e che vide protagonisti il nostro paese assieme a Francia e Inghilterra in una spietata lotta per il controllo del Mediterraneo. Una guerra che affonda le sue radici teoriche nel concetto di “Stato a sovranità limitata” e i suoi presupposti storici nell’umiliante pace firmata dall’Italia come paese sconfitto nel dopoguerra.
Così Giovanni Fasanella, scrittore oggi ospite della Biffi Arte per la rassegna Misteri d’Italia. Il caso Moro quarant’anni dopo– moderato dal giornalista Mauro Molinaroli, ha presentato il proprio lavoro, dopo aver passato quarant’anni tra gli archivi di stato italiani ed esteri per giungere ad un quadro sconvolgente, ancor più in quanto non basato su congetture logiche, ma su fonti esclusivamente documentali.
Il prodotto di questa colossale inchiesta – Il puzzle Moro. La verità nelle nuove carte segrete – edito da Chiarelettere, allarga il campo di indagine sull’omicidio dello statista rinunciando alla prospettiva puntuale del racconto di quei 55 giorni che tennero con il fiato sospeso l’Italia, per analizzare cause remote e prossime di un omicidio “annunciato già dal primo giorno del rapimento”.
“Non credo nella mitologia del mistero – esordisce Fasanella: Esistono semplicemente cose che non si vogliono dire perché sono troppo imbarazzanti. La mitologia e’ finalizzata alla voglia di non far comprendere.
Oggi noi abbiamo gli strumenti per capire cosa e’ successo. Il problema e’ volerli e saperli utilizzare. Alla fine della guerra mondiale – spiega – l’italia non e’ stata considerata una nazione cobelligerante al pari della Francia, bensì – nonostante la Resistenza – come una nazione sconfitta tour court. Alcide De Gasperi, che presenziò alla conferenza di pace Parigi 1946 si rivolse così ai presenti: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me”.
Il trattato di pace che ne derivò fu un’umiliazione per l’Italia. A Yalta intanto si era già decisa la spartizione delle influenze e Usa e Urss garantirono alla Gran Bretagna un ruolo di supervisione e controllo sull’Italia. Perché? Per ragioni strategiche legate al controllo del Mediterraneo. Per l’Inghilterra l’esercizio del controllo sull’Italia era esigenza strategica vitale per mantenere lo status di grande potenza globale e coloniale.
Per questo motivo, al nunzio apostolico di Pio XXII in visita, Winston Churchill volle fare sapere che l’Italia non avrebbe potuto mai avere un regime politico interno propriamente democratico, né una politica autonoma sulla sicurezza (tutti i vertici delle nostre forze armate e della burocrazia di Stato non sarebbero dipese dai legittimi governi ma da catene di comando esterne e britanniche; né avere una propria politica estera (soprattutto sul Mediterraneo) ed energetica autonoma.
“Il primo grande atto di ribellione della nostra classe dirigente a questi diktat – continua il giornalista – fu la fondazione di Eni da parte di Enrico Mattei nel ‘53 per cercare il petrolio autonomamente offrendo ai produttori condizioni migliori rispetto a quelle offerte dalle compagnie britanniche. Grazie a questa politica riuscimmo a penetrare in tutte quelle aree di Mediterraneo, Medio Oriente e Africa che erano colonie francesi e inglesi. Mattei poi finanziò i movimenti di liberazione nazionale di quei paesi per ottenere la libertà dalle rispettive colonie.
Trentaquattro paesi grazie agli aiuti italiani si liberarono dal colonialismo inglese e francese. E l’Italia divento per loro un punto di riferimento. Mattei venne definito da documenti inglesi come “un pericolo mortale per gli interessi britannici, un’escrescenza da estirpare in tutti i modi”. E morì poco dopo in un attentato provocato da un sabotaggio e non per un semplice incidente aereo”.
Fuori gioco Mattei, la nuova politica vide come protagonista indiscusso Aldo Moro, un moderato illuminato che era cosciente della necessita’ di adeguare il sistema Italia alle spinte del contesto internazionale, aprendo la strada del centro-sinistra. “Una politica di apertura al Psi che, pur benedetta da John Kennedy, fu avversata dagli inglesi che sapevano che Moro, erede della politica mediterranea di Mattei, avrebbe creato problemi.
Per controbattere all’ingerenza inglese, “Moro diede allora incarico all’allievo Francesco Cossiga di sottrarre la rete Gladio (un’associazione segreta costituita in chiave antisovietica e che sarebbe dovuta intervenire militarmente in caso di vittoria del Partito Comunista, n.d.r.) dal comando inglese. Una rete che in realtà agiva come una quinta colonna britannica in Italia. Moro, pertanto preferì passare sotto l’ala americana per contrastare questa interferenza, ma la situazione precipito’ con la crisi del ’68 con proteste operaie e studentesche che misero in crisi l’operazione del centro sinistra, spaventando le potenze straniere e facendo diventare l’Italia un problema di politica internazionale. Negli Usa il presidente era stavolta Nixon che, malamente consigliato da Kissinger, iniziò a considerare Moro un avversario degli Stati Uniti. Con operazioni clandestine e segrete, gli americani iniziarono a muoversi per spostare a destra l’asse della politica italiana e porre fine ai tentativi di ricomposizione del centro sinistra. Lo sappiamo da atti del congresso americano che testimoniano finanziamenti alle forze eversive del l’estrema destra, responsabili della stagione delle stragi da Piazza Fontana in poi.
Nel frattempo, sul fronte opposto del compromesso storico, Enrico Berlinguer, leader del Pci aveva inziato a diventare indigesto per i vertici di Mosca a partire dal 1964 quando chiese il perché della destituzione del moderato Nikita Chruscev da parte dei dirigenti del Cremlino.
Nel 1973, anche Berlinguer subì un attentato: venne investito da un camion militare dell’esercito bulgaro su un rettilineo dopo un’acceso dibattito con Zivkov – leader comunista bulgaro.
“Fosse morto in quell’occasione non credo ci sarebbe stato bisogno cinque anni più tardi di uccidere Moro”.
Il compromesso storico in versione berlingueriana o la “politica delle convergenza parallele” per dirla con il lessico moroteo, “aveva come obiettivo finale l’evoluzione del sistema italiano verso l’alternanza al governo da destra e sinistra a seconda del parere dell’elettorato. Ma c’erano due clausole: che i comunisti si staccassero progressivamente dall’orbita sovietica, e che la democrazia cristiana si liberasse del fattore K (ovvero il mancato ricambio di forze politiche al governo del Paese, n.d.r.). L’idea che un partito comunista potesse andare al governo rispettando il pluralismo e le regole democratiche era un pericolo mortale per i sovietici e per le traballanti politiche dei paesi satellite.
Nel ’75 per bloccare il progetto di Moro e Berlinguer – a quei tempi la Marina Militare italiana contava su una flotta più grande rispetto a quella di Francia e Inghilterra messe insieme – l’Inghilterra costituì una commissione segreta per elaborare un golpe per bloccare Aldo Moro, ma di fronte alle resistenze di americani e tedeschi preoccupati che vista la consistenza delle forze di sinistra in Italia, questo si potesse tradurre in un bagno di sangue, decisero di passare al piano b: il rapimento. Esiste un documento della commissione Campbell dal titolo: “Azione a sostegno di un colpo di Stato o di una diversa azione sovversiva”.
La storia degli avvenimenti successivi è per Fasanella, conseguenza di quel documento: “Renato Curcio e Alberto Franceschini vengono arrestati e alla testa delle Brigate Rosse compare Mario Moretti. Il generale Alberto Dalla Chiesa a proposito dirà: Una cosa sono le Br. Un’altra le Br più Moretti”.
“Dal lato delle istituzioni, contestualmente, Francesco Cossiga mi disse in un colloquio privato che all’interno delle forze armate gli alti gradi si organizzarono per disobbedire alla politica della Dc qualora questa avesse continuato il dialogo con il Pci.
Agli inglesi non serviva intervenire direttamente nel sequestro, bastava lasciar fare le Brigate Rosse. “Che sarebbero state sgominate senza patemi – sostiene Fasanella – se ci fosse stata la volontà di procedere dal momento che un elenco dei loro rappresentanti era già in possesso del Ministero degli interni a partire dal 1970.
Nonostante il rapimento fosse ordito dalle Br, In tutti i passaggi cruciali del post-sequestro c’era una rete logistica di appoggio di militari addestratissimi ed esperti nell’uso delle armi. Un microcosmo di presenze impressionanti mai emerso prima”.
Nella palazzina in cui venne portato Moro – “che non era quella di via Gradoli, ma quella di Via Massimi 91 di proprietà dello Ior, c’era un via vai di funzionari, servizi segreti militari e uomini del Vaticano come l’arcivescovo Paul Marcinkus” che riportano allo scenario internazionale descritto.
“L’operazione non fu un atto criminale dello stato italiano ma un atto di guerra internazionale contro la politica italiana compiuto da quinte colonne straniere e utili idioti, come le Br”.
E’ evidente che il governo dovesse dire no alla trattativa per la scarcerazione perchè non poteva negoziare pubblicamente con i terroristi, eppure tanti tentativi di negoziazione sono stati portati avanti sottotraccia. Eppure, tutto era perfettamente inutile perchè la vita di Moro era segnata dall’inizio poichè non erano le Brigate Rosse a poter decidere, in quanto infiltrate dall’esterno”.