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Domenico Quirico mattatore alla Biffi Arte

Ufficialmente la presentazione di un libro, “Ombre dal fondo”. In realtà quella che si è consumata ieri pomeriggio alla Biffi Arte è stata una lezione di giornalismo a 360°, merito di Domenico Quirico, che ha saputo raccontare se stesso e il modo in cui sta cambiando il mondo attraverso la parola, sia scritta che parlata. In veste di moderatore Mauro Molinaroli.

Dimentichiamo innanzitutto tutto quello che abbiamo avuto modo di apprendere su come scrivere un articolo di giornale, come le 5 W o parlare in terza persona.

“Vedo che al giorno d’oggi nascono Facoltà, Master e Scuole che insegnano le tecniche per un buon articolo di giornale – ha esordito – in realtà non esiste nessuna tecnica. Quando entrai a La Stampa fu la prima cosa che mi insegnarono, mi dissero che gli inglesi furono promotori di queste regole. Nel corso del tempo ho avuto modo di dialogarci, con alcuni colleghi d’Oltremanica, nessuno diceva che fosse così”.

Prima lezione. “Il giornalismo non è tecnica e nemmeno tecnologia, non è da li che nasce l’informazione. L’unica cosa che bisogna fare è essere presenti sul posto quando accade un fatto e utilizzare la vista, fare in modo che il lettore si possa sentire partecipe della situazione, trasportare il lettore in quel luogo. In quel caso ho fatto un buon servizio”. Sostiene che nella sua carriera è stato fortunato, ha avuto la possibilità di andare in alcuni angoli del mondo “perchè mi ci hanno mandato”. “Ma – continua – avere la presenza fisica di un giornalista attorno a persone che stanno vivendo un’esperienza è qualcosa di risolutivo. Scrivere da casa limita enormemente il mio spazio di informazione. Il lettore ha il diritto che non gli vengano raccontate menzogne, deve esistere un rapporto di lealtà reciproca”.

Quirico parla poi del futuro del giornalismo. “I quotidiani esisteranno finché ci saranno persone inviate nel mondo a scrivere. C’è chi dice che il mondo non può esistere se non ci sono i giornali, assolutamente non è vero, si può vivere tranquillamente. L’importante è dare voce alle persone che soffrono davvero. Purtroppo oggi si tende a trattare qualsiasi argomento come se fosse una chiacchiera da bar, alla fine deve essere sotteso un happy end”.

Nella seconda parte dell’incontro il reporter ha raccontato la sua esperienza con Al Qaeda e con l’ISIS, e del rapimento avvenuto in Siria. “Al Qaeda si può considerare la preistoria dell’ISIS. Gli Jihadisti di oggi vedono Bin Laden come un simpatico zio. Al Qaeda era la mondializzazione del terrorismo, e Bin Laden aveva capito come la rapidità delle informazioni che in quel momento stavano fiorendo nella società, attraverso la rete, potessero avere un eco incredibile per il suo scopo, moltiplicare il terrore, portarlo nel cuore del potere”.

Ha lasciato una eredità invisibile, che a un primo sguardo non è visibile. “Ad esempio, per prendere l’aereo, oggi dobbiamo partire con larghissimo anticipo, perché ci sono un sacco di controlli. Ha rallentato l’economia, sono aumentati i costi degli investimenti in sicurezza. Ha sublimato il terrore”.

Cosa ben diversa il Califfato: “In questo caso il terrorismo è solo uno dei tanti strumenti a disposizione. Lo Stato Totalitario Islamico è un posto dove gli uomini vengono classificati non per ciò che fanno, ma per ciò che sono. L’idea è quella di purificare il mondo islamico, ricostruire una realtà storica, un concetto che a noi può risultare grottescamente antistorico, in quel contesto non lo è affatto”.

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