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Famiglie arcobaleno. La sentenza della Consulta spacca anche Piacenza

Per l’avvocato Livio Podrecca si tratta di “una sentenza aberrante, contraria alla Costituzione e alla natura della famiglia”. Samuele Raggi, di Piacenza Oltre, la definisce una svolta di civiltà

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La sentenza n. 68/2025 della Corte Costituzionale, depositata il 22 maggio, ha aperto un nuovo capitolo nella lunga e controversa vicenda dei diritti delle famiglie omogenitoriali in Italia. Per alcuni si tratta di una svolta storica, per altri di una pericolosa distorsione del dettato costituzionale. Al centro della decisione c’è il riconoscimento della madre intenzionale, ovvero della partner non gestante in una coppia di donne, come genitore legale del figlio nato da fecondazione eterologa praticata all’estero.

Una pronuncia che ha acceso il dibattito, dividendo opinione pubblica e giuristi, come dimostrano due prese di posizione emblematiche, giunte entrambe da Piacenza, ma su fronti opposti. La Corte Costituzionale ha ritenuto incostituzionale l’art. 8 della legge 40/2004, nella parte in cui impedisce alla madre intenzionale di riconoscere il figlio nato in Italia da PMA eterologa effettuata all’estero. Una norma che, secondo i giudici, viola l’interesse superiore del minore, negandogli il diritto alla continuità affettiva e alla tutela giuridica da parte di entrambi i genitori sociali.

Le critiche: “Una sentenza aberrante”
Tra le voci più critiche c’è quella dell’avvocato Livio Podrecca, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani – Unione Locale di Piacenza, che in una nota ha definito la sentenza “aberrante”, accusando la Consulta di aver stravolto la Costituzione e aggirato due limiti chiari della legge italiana: il divieto della PMA eterologa (almeno per le coppie omosessuali) e la riserva dell’accesso alla PMA alle sole coppie eterosessuali.

Secondo Podrecca, la decisione mette sullo stesso piano la genitorialità biologica e quella intenzionale, aprendo la porta alla multigenitorialità e dissolvendo il modello costituzionale di famiglia, intesa come “società naturale fondata sul matrimonio” tra uomo e donna. Una deriva che, secondo il giurista, non può essere legittimata dal solo richiamo al benessere del minore: “La Corte ridefinisce surrettiziamente ciò che la Costituzione riconosce, ma non può modificare”. (sotto l’intervento integrale).

Le voci a favore: “Una svolta di civiltà”
Di segno opposto le parole di Samuele Raggi, presidente dell’associazione “Piacenza Oltre”, da anni attiva sul fronte dei diritti civili. “Una decisione giusta, coraggiosa e necessaria – scrive Raggi – che pone al centro i diritti dei bambini, garantendo loro stabilità e continuità all’interno del nucleo familiare in cui crescono, indipendentemente dal sesso dei genitori o dal metodo di concepimento”.

Per Raggi, parlare di “aberrante” è offensivo nei confronti delle famiglie arcobaleno che ogni giorno vivono con responsabilità e amore la propria genitorialità. La Corte, prosegue, ha semplicemente interpretato la Costituzione in senso evolutivo, come si conviene in una democrazia matura. “La famiglia è prima di tutto un luogo di cura, non può essere cristallizzata in un solo modello”. (sotto l’intervento integrale).

Due visioni inconciliabili
Lo scontro tra le due letture non è solo giuridico, ma anche culturale. Da un lato, una visione tradizionale, che fonda la genitorialità sulla biologia e sul matrimonio eterosessuale; dall’altro, una visione inclusiva, che attribuisce pieno valore giuridico ai legami affettivi e alle responsabilità condivise.

In mezzo resta il vuoto legislativo, su cui la Corte è intervenuta per garantire la tutela dei minori. Ma il confronto resta aperto. E destinato a protrarsi.

Gli interventi integrali

Avv. Livio Podrecca. La sentenza n. 68/2025 della Corte Costituzionale – una sentenza aberrante
Per la Consulta è illegittimo impedire alla madre intenzionale di una coppia omosessuale di riconoscere il figlio nato in Italia da PMA eterologa estera

Semplificando al massimo, la legge 40 dell’anno 2004 sulla c.d. PMA, procreazione medicalmente assistita, si proponeva di risolvere i problemi di comprovata infertilità di coppie eterosessuali, sposate o conviventi. All’art. 8, la legge diceva (e dice) che i figli nati da PMA hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o comunque riconosciuti dalla coppia che ha fatto ricorso alla PMA. Sulla questione di sollevata dal Tribunale di Lucca, con sentenza n. 68 del 22 maggio scorso, la Corte Costituzionale ha dichiarato la incostituzionalità di questa norma nella parte in cui non ammette il riconoscimento di figlio anche della madre c.d. intenzionale (cioè della partner non gestante di una coppia di donne omosessuali, che ha però condiviso il progetto ‘genitoriale’) di una fecondazione eterologa (vietata in Italia) praticata dalle donne all’estero ed il cui figlio è nato in Italia. In questo modo la Corte legittima l’aggiramento di ben due divieti (che curiosamente fa peraltro salvi) previsti dalla legge italiana; quello della fecondazione assistita eterologa, dove il seme maschile è fornito da donatore esterno alla coppia; e quello relativo alla limitazione del ricorso alla PMA alle coppie eterosessuali. Il tutto nel supposto interesse del minore alla bigenitorialità. Cioè ad avere due genitori. Quest’ultimo concetto, peraltro, ha senso con riferimento a quanto accade in natura, dove i figli vengono dalla unione fisica di un uomo con una donna, il padre e la madre, per l’appunto, il primo dei quali, vero genitore biologico del figlio nato da PMA eterologa, è totalmente ignorato nella sentenza in esame. Ma in un contesto in cui la Corte equipara alla filiazione biologica quella intenzionale, dando valore alla assunzione di responsabilità della donna non gestante, definita genitore intenzionale, per l’appunto, per avere condiviso il progetto ‘genitoriale’, che senso ha la bigenitorialità? Perché, in altre parole, se vale la assunzione di responsabilità, non valorizzare la tri, la quadri o, in genere, la multigenitorialità? Sotto i profili garantistici valorizzati dai giudici della Consulta, l’interesse del minore all’accudimento ed alla educazione ne risulterebbe, infatti, ulteriormente rafforzato. In realtà questo tipo di realtà parafamiliari cerca, senza successo, di strutturarsi sul modello della famiglia che la Corte definisce ‘tradizionale’, cioè di quella generativa, formata da un uomo e da una donna, imitandola. Se la famiglia, per il Costituente, era la società naturale fondata sul matrimonio, occorre quindi chiedersi se questo nuovo tipo di famiglia, omosessuale, contraddistinta da una generatività necessariamente solo intenzionale, che anche la Consulta sta concorrendo a strutturare di fatto come famiglia assegnandole le medesime funzioni di cui all’art. 30 Cost. sulla base della semplice intenzione degli aspiranti genitori, corrisponda al modello costituzionale al quale si riferiscono gli artt. 29 e 30 Cost., o se invece non costituisca l’esito di una rivisitazione del concetto di famiglia e di genitorialità che ispirò i Padri Fondatori. Perché delle due l’una: o la società naturale fondata sul matrimonio esiste prima di ogni legge, Costituzione compresa, e può essere da questa solo riconosciuta, senza modifiche, come espressamente fa la Carta Costituzionale. Oppure siamo in presenza di una realtà che la stessa Consulta, salvando l’apparenza della forma, va sostanzialmente ridefinendo surrettiziamente, in senso progressista. In questo modo, però, i giudici della Consulta non solo non sono fedeli interpreti della Costituzione che dovrebbero difendere, ma anzi ne sono nemici, con decisioni che sono, in sé, contrarie al suo dettato. Cioè, paradossalmente, incostituzionali. Temo quindi che siamo quindi in presenza di una sentenza aberrante, segno di una società che ha perso la bussola del buon senso, prima che della correttezza giuridica. Si può certamente ritenere, come faranno molti, che questa sentenza sia un atto di civiltà, un progresso e una vittoria. Ma alla Verità, alla fine, nessuno può sfuggire.

Samuele Raggi – Presidente Associazione “Piacenza Oltre”. Una sentenza di civiltà, in linea con i tempi e con i diritti delle persone

Apprendiamo con soddisfazione la recente sentenza della Corte Costituzionale che consente il riconoscimento di due madri per i figli nati da procreazione medicalmente assistita (PMA) all’estero, con conseguente registrazione all’anagrafe come figli di entrambe. Una decisione che riteniamo giusta, coraggiosa e soprattutto necessaria per garantire tutela piena ai bambini e alle loro famiglie.

Si tratta di una svolta che pone al centro l’interesse superiore del minore, riconoscendogli il diritto alla continuità affettiva e alla sicurezza giuridica all’interno del nucleo familiare in cui cresce, indipendentemente dal genere dei genitori o dal modo in cui è venuto al mondo. Parlare di “aberrante” di fronte a un riconoscimento d’amore e responsabilità è, a nostro avviso, non solo sbagliato, ma anche offensivo nei confronti di tante famiglie che ogni giorno vivono con dignità, amore e impegno la propria genitorialità.

La Corte non ha violato la Costituzione, ma l’ha interpretata in modo evolutivo, come accade in ogni democrazia matura. La famiglia, lo ricordiamo, è prima di tutto un luogo di cura e amore, e non può essere cristallizzata in un solo modello. Il riconoscimento della genitorialità intenzionale, quando supportata da un progetto di vita condiviso e duraturo, rappresenta un progresso del diritto, non una sua distorsione.

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