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“Il mio sangue è Punjabi”: la hit virale nata a Piacenza dal sogno di un ragazzo partito dal Pakistan

Partito a 14 anni dal suo paese, Arreh ha attraversato nove paesi e mille difficoltà prima di arrivare nella nostra città. Dopo aver lavorato nei magazzini Ikea, oggi si dedica alla musica. La sua canzone è tra le più ascoltate sui social

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Da alcuni mesi a questa parte “Il mio sangue è punjabi (Made in Italia)” è una fra le canzoni più virali sui social ed in particolare su TikTok . Un successo che sta portando alla ribalta nazionale Arreh (nome d’arte di Rehan) un ventenne di origini pakistane, da alcuni anni residente a Piacenza. La sua è una storia comune a tanti giovanissimi migranti che sono partiti dal paese d’origine alla ricerca di una vita migliore. Un sogno perseguito con una buona dose di ingenuità e che si è rapidamente trasformato in un percorso pericoloso, condito da tanta paura e sofferenza. Rehan è partito dal Pakistan a 14 anni, da solo, attraversando nove Paesi ed impiegando ben quattro anni per approdare nella nostra città (dopo una sosta di due anni in Grecia e nove mesi in Bosnia). Oggi vive a Piacenza e la sua musica, che mescola l’italiano con il punjabi, è diventata la voce di una generazione sospesa tra due mondi: quello che si è lasciata alle spalle e quello che sta cercando di costruire. In Italia era arrivato illegalmente nel 2022 al termine di un viaggio iniziato nel 2019: una vera e propria odissea, fatta di violenze, fame e paura, come ha raccontato in una lunga intervista sul canale YouTube “Sudees“.

«In Iran e in Turchia ho capito cos’è la morte – racconta. – I trafficanti sparano, picchiano, mutilano per denaro».

Rehan ha visto ragazzi con le gambe spezzate, adolescenti marchiati per estorcere soldi alle famiglie. «Se ti sparano, ti buttano via, nessuno chiede nulla».

In Turchia è stato imprigionato per tre giorni in una stanza buia, poi costretto a lavorare 15 ore al giorno. Per sopravvivere, nei Balcani, ha bevuto acqua stagnante e digiunato per giorni.
Dopo Grecia e Bosnia ha ripetutamente tentato di varcare il confine con la Croazia ma è stato più volte respinto dalla polizia. Poi, finalmente, l’approdo in Italia e l’arrivo nella nostra città, dove è rimasto a vivere. «Non consiglierei a nessuno, nemmeno a un nemico, di fare questo viaggio» dice.

Proprio da quell’esperienza estrema è nata la sua nuova identità: quella di un giovane che usa la musica per trasformare il dolore in messaggio. Inizialmente, in particolare durante la pandemia, ha iniziato a scrivere canzoni nel suo dialetto, il punjabi. Pian piano ha preso dimestichezza con l’Italiano, lingua che ormai parla fluentemente ma che sta ancora studiando. La hit che lo sta rendendo famoso “Made in Italia – Il mio sangue è punjabi” è nata in pochi minuti dopo avere visto una ragazza alla fermata dell’autobus. La giovane resta ancora sconosciuta, ma intanto il brano di strada ne ha fatta parecchio ed è letteralmente esploso sui social all’inizio di quest’anno. Così hanno incominciato a riconoscerlo per strada ed in un’occasione è anche intervenuta la polizia per tenere sotto controllo la folla di ragazzini che si era radunata.
Recentemente è stato ospite a Radio 105 con Jake la Furia, giudice di X Factor, ed ha riproposto live la sua canzone.
Di fede musulmana ha anche scritto un pezzo intitolato “La Palestina sta bruciando” dedicato al conflitto mediorientale. Oltre a Made in Italia ha scritto altri brani fra cui “Ultima Rosa” e “Il mio nome Brillerà” (che è forse la preferita), senza riuscire per ora a replicare il successo che gli ha portato il ritornello “Il mio sangue è punjabi”. Il primo brano invece lo aveva scritto in Bosnia e si intitolava “Made in Pakistan”.
Sull’onda del successo si dedica completamente alla musica e spera di poter incontrare un produttore, un team con cui costruire un percorso professionale, insomma qualcuno che creda in lui.

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