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La brutalità dei gulag sovietici ricordata in occasione del centenario della nascita di Solzenicyn

Per non dimenticare: le vittime del nazionalsocialismo, certo, ma anche quelle del comunismo che hanno lo stesso diritto di essere ricordate, in particolare se si è fatto di tutto per occultarle alla storia. Il primo a rivelare al mondo la brutalità dei gulag sovietici è stato Aleksandr Solzenicyn: ed è dello scrittore russo – a 100 anni dalla nascita e a 10 dalla morte – che si è parlato all’Associazione dei liberali piacentini Luigi Einaudi, nel corso di una conferenza tenuta nella sede di via Cittadella da Ferdinando Bergamaschi, presentato dal presidente dell’Associazione Antonino Coppolino.

Pur vivendo in condizioni economiche disagiate, Solzenicyn nel 1941 si laurea in matematica e nello stesso anno si arruola volontario nell’Armata Rossa. Nel febbraio del 1945 viene intercettata una sua lettera nella quale criticava violentemente Stalin. Viene quindi arrestato e condannato a 8 anni di campo di concentramento e al confino a vita. «Inizia per lui – ha ricordato il relatore – il pellegrinaggio da un gulag all’altro, nel corso del quale raccoglie un’enorme quantità di appunti sugli orrori dei campi. Dopo il 1953, morto Stalin, gli viene diagnosticato un tumore incurabile ed è internato in un ospedale militare della Russia orientale. Nonostante non avesse più nulla, non si perse d’animo, si curò da solo e sconfisse la malattia.

Quell’esperienza lo cambiò: disse di aver sperimentato un amore mistico per la Russia, un forte sentimento nazionalista e cristiano». Solzenicyn vuole portare all’attenzione il fenomeno dei gulag che nessuno conosceva. Nel 1961 la rivista Novyj Mar pubblica “Una giornata di Ivan Donissovic”, il primo capolavoro dello scrittore russo.

Il romanzo è un terribile atto d’accusa contro i lager staliniani e contro tutti coloro che vogliono soffocare la libertà dell’uomo. In seguito scrive altri due romanzi (“Divisione cancro” e “Arcipelago Gulag”) iniziando la lotta contro il sistema.

«Solzenicyn – ha spiegato Ferdinando Bergamaschi – prende di petto il materialismo marxista, ma critica anche quello capitalista considerandoli due facce della stessa medaglia. Nonostante fosse osteggiato, non ha mai espresso il desiderio di lasciare il Paese, pensando che fosse più salutare per la sua anima soffrire in Russia piuttosto che approfittare del benessere dell’Occidente».

Nel 1970 è insignito del Nobel per la letteratura e nel 1974 viene espulso dalla Russia. Con la seconda moglie e i tre figli si stabilisce negli Stati Uniti (avrà una cattedra di matematica nel Vermont). Nel 1994 torna in patria, ma solo nel 2000 si riconcilierà con il suo amato Paese incontrando il presidente Putin.

«L’attualità di Solzenicyn – ha concluso Bergamaschi – sta nel suo messaggio profondamente spirituale e antimaterialista. Putin lo ha definito l’archetipo del patriota russo del ‘900. In un discorso del giugno 1978 ad Harvard sbalordì l’uditorio parlando, nel definire l’Occidente, di “declino del coraggio”, di “mancanza di coraggio morale e spirituale”, di “totalitarismo soft dove regna la retorica della libertà, dei diritti civili, del pensiero unico”.  Solzenicyn considerava invece l’uomo russo coraggioso e amava la sua patria. Lo dimostra questa sua frase: “Vivo per lei, ascolto solo il suo dolore, parlo soltanto di lei”».

Nel dibattito che è seguito Carlo Giarelli ha definito Solzenicyn «un uomo libero, un Cajkovskij della letteratura».

Francesco Mastrantonio ne ha sottolineato le grandi doti di scrittore citando, tra le sue opere, “La quercia e il vitello”. Pietro Coppelli ha ripreso il concetto del declino del coraggio da parte dei popoli europei, coraggio che «anche oggi non hanno più».

A parere di Corrado Sforza Fogliani, per spiegare la figura di Solzenicyn «non si deve dimenticare che apparteneva a un popolo, quello russo, fortemente nazionalista e che non ha mai conosciuto neanche uno scampolo di democrazia, né periodi come il medioevo, dove c’era il pluralismo degli ordinamenti giuridici. I suoi giudizi sull’Occidente si spiegano con la sua provenienza: anche nella Russia attuale si tramanda una mentalità fortemente nazionalista che caratterizza un popolo che ha conosciuto solo regimi. Oggi c’è la volontà di impossessarsi di alcune figure che hanno inciso nella vita dei russi, accompagnata da un tentativo di annullare il ricordo dei gulag, una sorta di negazionismo che vuole nascondere il passato».

 

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