Da mercoledì 19 gennaio in Emilia Romagna si potrà effettuare il tampone antigenico rapido nasale in proprio per iniziare e per chiudere l’isolamento.
Il cosiddetto “autotesting” entrerà quindi nel novero degli strumenti per gestire, in caso di positività, tutte le pratiche legate alla quarantena, caricando la foto del risultato direttamente sul Fascicolo Sanitario Elettronico.
Riesce tuttavia piuttosto difficile comprendere la motivazione dietro ad una disposizione come questa. O meglio: la motivazione appare evidente ma del tutto diversa da quella indicata dal presidente Stefano Bonaccini che ha parlato di un sistema per «responsabilizzare le persone e permettere loro di essere più veloci».
Suona infatti piuttosto contraddittorio affidarsi alla responsabilità del singolo cittadino per l’effettuazione di un esame diagnostico, solitamente gestito da personale sanitario qualificato e formato allo scopo. Personale sanitario che si è dimostrato numericamente insufficiente a gestire l’ondata di richieste emerse mentre la variante Omicron stava guadagnando terreno moltiplicando il numero di casi giornalieri.
La responsabilità in questo contesto viene ora demandata al singolo cittadino già bersagliato da messaggi contraddittori e spaventato in una dimensione quasi da untore manzoniano. Il tutto in un sistema che non è stato potenziato a sufficienza (avrebbe mai potuto esserlo, viene da chiedersi?) ed è andato in tilt, con farmacie prese d’assalto e necessità di organizzare nuovi spazi e cercare tecnici di laboratorio con bandi dedicati. Il tracciamento ha smesso di funzionare, semplicemente, e questa soluzione appare quasi come un voler “nascondere il tampone sotto il tappeto”.
Il vero corto circuito logico, nel tema della responsabilizzazione, si nasconde però nel tampone stesso: per effettuare un esame preciso ed accurato è necessario prelevare una determinata quantità di campione utilizzando in modo consapevole la “bacchetta” – che potrebbe anche diventare magica nelle mani di un apprendista infermiere – regalando falsi negativi, nonostante le istruzioni stampigliate nella confezione del kit. Questo senza pensare allo smaltimento del materiale biologico che non potrebbe semplicemente essere riposto nel cassonetto dell’organico come fosse uno stuzzicadente usato.
Sdoganare questa responsabilità ad un soggetto impreparato espone quindi a rischi, errate valutazioni e non aiuta di certo a ristabilire un legame tra Persone e Scienza dopo due anni di estrema difficoltà anche su questo fronte, soprattutto sul versante comunicativo. Esistono già forti dubbi sull’attendibilità dei test rapidi (compresi quelli effettuati in farmacia) rispetto alla variante Omicon con alte percentuali di falsi negativi in particolare per soggetti non sintomatici. Poichè non si è stati in grado di potenziare il sistema sanitario pubblico con i tamponi molecolari si sta demandando il compito di stabilire se un soggetto è malato o meno ad un test rapido, auto eseguito sulla cui validità svariati scienziati e medici hanno espresso dubbi.
Sempre a proposito di responsabilità: la foto da caricare sul Fascicolo Sanitario può essere oggetto di ritocchi più o meno accurati ed aggiungere o togliere una sottile linea rossa per chi è avvezzo a Photoshop potrebbe non essere affatto un problema. Vero che l’autotesting è limitato alle persone vaccinate con ciclo completo (che quindi dispongono già di Green Pass rafforzato) ma le storture in questo ambito possono essere davvero molteplici.
C’è chi scrive che l’Italia non può continuare ad essere un tamponificio: la considerazione è più che corretta, decisamente condivisibile ed attuale. Al contempo la soluzione non può essere quella di spostare il tampone dalla farmacia alla camera da letto: perché ancora oggi c’è chi si presenta in farmacia con tre dosi di vaccino e nessun sintomo a distanza di una settimana da un potenziale contatto sospetto? Perché si effettuano ancora tamponi su questi soggetti?
Il cambio di rotta è necessario, la responsabilizzazione però non può passare per un test fatto in casa.