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Peste suina africana: annunciato il piano nazionale al summit di Confagricoltura

Contro la Peste suina africana (PSA) non c’è un vaccino, è una zoonosi sia dei suini che dei cinghiali che sta avendo uno sviluppo esponenziale.

Gli esseri umani non sono sensibili alla malattia, ma possono essere veicolo di diffusione attraverso la dispersione di materiale infetto. “Una spada di Damocle per il comparto suinicolo e per quello dei trasformati di carne suina, salumi in primis” – così l’ha definita Claudio Canali, suinicoltore e presidente della Federazione Nazionale di Prodotto di Confagricoltura che ha presieduto l’incontro tecnico tenuto nel quartier generale di Confagricoltura venerdì 14 dicembre con i rappresentanti delle istituzioni nazionali e comunitarie e gli stakeholder del comparto.

Dal summit di Confagricoltura molta preoccupazione, ma anche una notizia importante: “Stiamo preparando un piano nazionale per l’eradicazione e la sorveglianza della Peste Suina Africana. E’ mia intenzione, a metà gennaio, andare a Bruxelles e presentare ai colleghi il piano per arrivare all’attuazione entro marzo” ad annunciarlo è stato Silvio Borrello Direttore Generale della Sanità Animale e dei Farmaci Veterinari del Ministero della Salute.  Nel 2007 si sono verificati focolai infettivi in Georgia, Armenia, Azerbaigian, poi nella Russia europea, Ucraina e Bielorussia. Dalla Russia e dalla Bielorussia la malattia si è diffusa all’Unione europea. La Lituania ha segnalato casi di peste suina africana nei cinghiali selvatici per la prima volta a gennaio del 2014.

La Polonia le ha fatto seguito a febbraio del 2014, la Lettonia e l’Estonia tra giugno e settembre dello stesso anno. Nell’estate scorsa è stata rilevata in Belgio. “Tutti coloro che transitano o rientrano ciclicamente in Italia in provenienza da aree in cui la malattia è presente, possono rappresentare veicoli inconsapevoli di trasmissione del virus agli animali attraverso pratiche igieniche o di smaltimento rifiuti alimentari non corrette. I cinghiali selvatici, liberi di avvicinarsi alle zone antropizzate, possono rappresentare uno dei mezzi di diffusione del virus” – ha spiegato Gian Mario De Mia direttore SC Diagnostica Specialistica dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche, che è centro di referenza per la peste suina. De Mia ha sottolineato l’importanza della sorveglianza passiva nel selvatico rimarcando come sia necessario contattare le autorità ogniqualvolta si rinvenga un cinghiale morto. L’importanza della pronta individuazione e segnalazione dei cinghiali ammalati è stata rimarcata anche dall’intervento di Vittorio Guberti DVM Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – Ispra.

“Buona parte del territorio italiano è a rischio di introduzione per continuità geografica tramite le popolazioni di cinghiale infette – ha sottolineato Guberti – le aree a rischio sono facilmente identificabili e per certi aspetti anche i tempi”. Ci si può aspettare che il contagio possa arrivare dalle aree di confine con la Ex Jugoslavia e in un secondo momento attraverso il confine con la Francia.  Davide Calderone – direttore di Assica – ha posto l’accento sulla Psa come grave rischio per la commercializzazione delle carni e dei salumi, parlando delle barriere non commerciali poste in essere dai Paesi importatori. Andrea Gavinelli – capo Unità Controlli Ufficiali ed Eradicazione delle malattie animali della Dg Sante della Commissione Europea – ha sottolineato come la lotta alla Psa debba divenire una sfida globale, che va affrontata con un approccio integrato coinvolgendo tutti i portatori di interesse.

Tra gli interventi dei presenti in sala, apprezzato quello di Elena Ferrari – presidente della sezione di prodotto lattiero-casearia di Confagricoltura Piacenza (l’associazione piacentina era presente con una sua delegazione) che ha sottolineato: “gestisco una stalla da latte, e qui oggi si è detto che il principale veicolo della Psa sono i cinghiali selvatici. Mi preme sottolineare come anche per il nostro settore sia inderogabile prevedere azioni di contenimento che siano efficaci perché i cinghiali sono un danno e un rischio anche per il nostro comparto. Minano l’autoapprovvigionamento delle aziende costringendo, nella migliore delle ipotesi, a riseminare gli interi campi di mais che distruggono. Sussiste poi un problema sanitario grave – ha proseguito Ferrari – perché scavando buche nei campi e rendendo il suolo sconnesso provocano l’inquinamento del raccolto a causa del terreno che inevitabilmente finisce nella barra raccoglitrice del mais per insilato.

Costituiscono così un pericoloso adiuvante per la diffusione della clostridiosi”. “La popolazione civile non ha nessuna contezza della gravità della situazione” ha sottolineato la componente di Giunta nazionale di Confagricoltura Giovanna Parmigiani, nota allevatrice suinicola piacentina. “La diffusione della PSA è un rischio che la suinicoltura italiana ed europea non possono correre. Chiediamo che vengano intensificate e ampliate le campagne di sensibilizzazione e formazione anche nei confronti della cittadinanza. Dobbiamo inoltre agire, prima che la PSA arrivi sul nostro territorio. E’ stato dimostrato, dai dati Efsa sulle azioni poste in essere in Belgio, che il contenimento della fauna selvatica nelle zone a rischio, istituendo delle fasce di sicurezza, è una misura efficace. Attuiamola! Il Piano annunciato oggi dal ministero è un’ottima notizia, chiediamo che al tavolo per la sua redazione possano essere presenti anche le rappresentanze agricole. Non permettiamo che la Psa sia per la suinicoltura quello che la Xylella è stata per il sistema olivicolo italiano!”. 

La suinicoltura italiana in numeri

In Italia il settore suinicolo conta circa 30mila allevamenti, esclusi quelli familiari, che allevano (più o meno costantemente negli ultimi dieci anni) poco più di 8,5 milioni di capi, di cui quasi 5 milioni da ingrasso (oltre 50 kg). La produzione è fortemente concentrata nelle regioni del Nord, che rappresentano il 31 per cento di aziende ed il 90% dei capi, di cui il 50% nella sola Lombardia. Al Centro Sud abbiamo una forte parcellizzazione, con il 70 per cento di aziende, ma solo l’11% dei capi (fonte Ismea).

Dal 2008 ad oggi sono diminuiti del 27 per cento circa gli allevamenti specializzati (“non familiari”), mentre i capi censiti hanno registrato una contenuta flessione (-2,8%) nel complesso, anche se sono significativi – e “a due cifre” – i cali che hanno interessato i capi da riproduzione (scrofe, scrofette e verri).

Il comparto suinicolo è rilevante e strategico anche per la sua incidenza sull’export agroalimentare, con circa 1,8 miliardi di prodotto esportato ed in costante crescita. Anche se le importazioni purtroppo superano l’export (2,3 miliardi di euro) ed il tasso di approvvigionamento è ormai intorno al 60 per cento.

Il comparto, inoltre, è rilevante per l’intera Unione europea, al secondo posto nel mondo con oltre 23 milioni di tonnellate dopo la Cina (50 milioni di tonnellate prodotte). Seguono gli Stati Uniti con 11 milioni di tonnellate.

 

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