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Piacenza Expo e la spada di Damocle delle tasse arretrate

Torniamo ad occuparci delle cartelle esattoriali che starebbero per essere recapitate a Piacenza Expo da parte del suo socio di maggioranza, il Comune di Piacenza.

Pur non essendovi nulla di ufficiale, al momento, è probabile che possa trattarsi di arretrati Imu ed infatti si vocifera di cifre importanti (intorno a centocinquanta mila euro per ciascun anno).

Piacenza Expo sorge su un’area complessiva di 30.000 mq e comprende tre padiglioni espositivi di 10.000 mq., 3.000 mq e 1.000 mq, un’area espositiva esterna di altri 7.000 mq, un parcheggio espositori per 400 autovetture, un parcheggio visitatori con 2.000 posti auto.

Da oggi la società fieristica piacentina risulta chiusa per ferie (fino al 7 gennaio). Per cercare di capire qualcosa in più abbiamo dunque bussato alla porta del terzo azionista di Piacenza Expo, la Banca di Piacenza (8,74213%) per sapere come mai vi siano arretrati così importanti e perché gli amministratori, a partire dal 2013, non abbiano regolarmente pagato i tributi.

L’istituto di via Mazzini ci ha confermato che, al momento, non vi sarebbe nulla di ufficiale ma che la voce di queste cartelle esattoriali si è fatta sempre più insistente. Il dato interessante che emerge dal dialogo con la Banca è il fatto che queste tasse non sarebbero mai state pagate per un semplice motivo: nessuno le avrebbe mai richieste (fino ad oggi) e la questione non sarebbe addirittura mai emersa, in tutti questi anni, nell’assemblea dei soci dove è presente ovviamente anche un rappresentante del Comune.

Le cartelle esattoriali arriverebbero quindi come uno sconvolgente “fulmine a ciel sereno” e l’effetto sui conti di Piacenza Expo rischierebbe di diventare deflagrante. Non solo per la somma degli arretrati (che prendendo per buona l’entità ipotizzata potrebbe oscillare fra i 500 mila euro ed il milione di euro) ma anche per il futuro della società con bilanci che gravati da un’imprevista IMU potrebbero tornare rapidamente in un profondo rosso.

A Piacenza starebbe dunque succedendo qualcosa di simile a quanto accaduto, ad esempio, a Reggio Emilia (dove le fiere sono fallite) ed a Firenze. I rispettivi Comuni hanno avanzato richieste milionarie alle società che gestiscono le aree espositive, con contenziosi che si trascinano davanti alle Commissioni tributarie.

Il tema del contendere è se le fiere godano o meno dell’esenzione dall’Imu. Tutto dipende dalla classificazione degli edifici destinati a fini fieristici: se sono in categoria D le tasse sono dovute se in categoria E scatta l’esenzione.

Nel caso di Firenze il Comune sostiene che non vi sia esenzione ed ha presentato il conto per anni di arretrati (e relative sanzioni) pari a circa 500 mila euro per ciascun anno.

Il paradosso (che vale anche per Piacenza) è che il Comune batte cassa nei confronti della società che gestisce le fiere e la stessa società per far fronte alle tasse finisce in rosso. Alla fine il comune dovrà ripianare le perdite insieme agli altri soci, con il rischio che, a quel punto, i privati salutino e ringrazino, decidendo di abbandonare la nave.

Il classico pasticcio all’Italiana insomma che, come sempre nasce da troppe leggi, poco chiare, scritte male ed interpretate ancor peggio.

Da un lato c’è un consolidato orientamento giurisprudenziale favorevole alle società fieristiche secondo cui le aree espositive ed i locali di servizio, non in grado di produrre reddito in modo autonomo, vanno accatastate nella categoria catastale E/9 (esente da IMU) e non in quella D/8 come ha invece fatto l’agenzia del Territorio. Proprio la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna (con la decisione 55/16/2012) diede ragione all’Ente Fiera di Forlì.

Dall’altro lato c’è l’orientamento dell’amministrazione finanziaria ribadita in una risposta scritta del ministro dell’Economia  ad un’interrogazione  presentata da alcuni parlamentari nel 2017 «Alla luce del complessivo quadro di riferimento, pertanto, l’Agenzia ha precisato, con la circolare n. 4/T del 2007, che sono censibili nella categoria E/4 le unità immobiliari destinate a fiera, spazi espositivi, mostre, mercati e simili costituite soprattutto da aree scoperte, saltuariamente attrezzate con strutture e stand amovibili per le esigenze espositive, e con modeste costruzioni destinate a soddisfare alcune esigenze primarie (biglietteria, servizi igienici, accoglienza, eccetera).  Laddove, invece, si tratti di compendi composti da più fabbricati ed aree con diverse utilizzazioni sia riguardo all’uso specifico che alla periodicità dello stesso uso nell’arco dell’anno, è necessario provvedere alla suddivisione del complesso in relazione alle diverse porzioni a destinazione omogenea, attribuendo a ciascuna di esse la corretta categoria catastale di tipo commerciale (D/8 o C/1), al fine di individuare, separatamente, gli immobili destinati alla mera esposizione delle merci e ai servizi strettamente correlati (quali biglietterie, padiglioni espositivi, eccetera) e quelli ad altra destinazione (quali quelli destinati alla vendita di beni e servizi)».

Molte vicine società fieristiche (fra cui Bologna e Parma) nei recenti bilanci hanno costituito dei fondi Imu ed accantonato importi consistenti per far fronte alle imposte arretrate ed alle relative sanzioni mentre, parallelamente, proseguono i ricorsi davanti alle commissioni tributarie.

A Piacenza la questione non era mai emersa ed ora rischia di diventare un’enorme “gatta da pelare”.

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