Cui prodest?
Una semplice domanda che andrebbe rivolta a chi ha pensato bene di trasformare per qualche lungo minuto via Sant’Antonino in terra al di fuori della legge e del buon senso.
Volti coperti in prima fila, cubetti di porfido strappati dal selciato e scagliati addosso a chi era lì per mantenere l’ordine davanti ad una manifestazione che doveva essere dimostrare il dissenso verso l’apertura di Casapound e non contro sé stessa.
Quando però un carabiniere resta a terra e viene circondato da un manipolo di manifestanti desiderosi soltanto di menare le mani tutto passa in secondo piano. In secondo piano finisce il corteo della mattinata ricco di sfumature ma chiaro e composto dove le “armi” sono le idee. Addirittura in terzo piano finisce il desiderio di dire no alla violenza di squadrismi e fascismi.
Non poteva andare altrimenti: nel mondo della notizia in diretta dove sullo smartphone passano foto, dirette, urla e pestoni a restare impressa è l’immagine più vivida. Fuori da ogni sesto. Una giornalista piacentina inseguita, un reporter parmense ferito lievemente.
Pochi, lunghissimi minuti di tafferugli per le vie del centro bastano per trasformare la ragione più pura nel torto più marcio. A rendere vane le ragioni di una protesta che doveva essere popolare e pacifica. Proprio come quella della mattinata che nemmeno aveva calpestato le aiuole.
Prendere a botte l’antifascismo non giova a nessuno. Il comunicato di Controtendenza Piacenza si apre con la frase “Nella gioia nella rabbia nel distruggere la gabbia”, un verso di una canzone del ’76 di Manfredi. Di gioia nel pomeriggio se ne è vista ben poca, quale sia la gabbia da distruggere resta ancora un mistero.