Il Coordinamento provinciale dei comitati su salute e medicina territoriale Piacenza, attraverso un comunicato stampa, si esprime sul progetto “Una casa della salute, prototipo per l’Italia”. La presentazione dei giorni scorsi viene criticata perché al di là degli aspetti edili non vi sarebbe chiarezza sul progetto organizzativo.
«Nei giorni scorsi – si legge – in presenza della sindaca di Piacenza, del direttore dell’Ausl e dell’assessore regionale alla salute, è stato presentato il progetto “Una casa della salute, prototipo per l’Italia” da realizzare a Piacenza.
Un progetto dal titolo intrigante che però non spiega su quale medicina territoriale si sta lavorando.
Il progetto di casa della salute (del Politecnico di Milano) viene presentato come prototipo multidisciplinare capace di dare risposte di tipo urbanistico, architettonico, e anche di design, di comunicazione e di organizzazione manageriale. Un progetto che si annuncia finanziato dall’Ausl con 130.000 euro
La presentazione si è essenzialmente centrata sugli aspetti edilizi, ma nulla dice su quali saranno le attività di cura, di risposta sanitaria, quali dotazioni dovrà avere, quanti medici, infermieri, personale amministrativo. Manca cioè tutta la progettualità relativa alla organizzazione delle attività di prevenzione e cura e delle modalità di offerta di servizi ai cittadini e relativa alla integrazione socio assistenziale sanitaria.
E qui sta il problema.
Le esperienze di questi ultimi anni sulle case della salute costruite sul territorio provinciale non sono riuscite a ricucire un gap purtroppo presente tra assistenza ospedaliera ed assistenza territoriale. Poco si è investito nella medicina territoriale (tanto citata in questi ultimi tempi sia a livello locale che nazionale). Troppo spesso, e da più parti, le Case della Salute vengono presentate come risposta di prossimità che giustificherebbero tagli alle strutture ospedaliere e lo smantellamento della loro distribuzione territoriale.
Medicina territoriale va invece per noi intesa come rete, dove la relazione ospedale-territorio sia l’asse portante del sistema. La casa della salute dovrebbe essere un pezzo di questo progetto da inserire però in una più generale risposta sanitaria ed assistenziale a livello di distretto sanitario.
Una vera medicina territoriale dovrebbe prevedere non una riduzione, ma un potenziamento della risposta sanitaria, nella quale Case della Salute, presidi ospedalieri, medicina territoriale operano in coordinamento tra loro per fornire una copertura adeguata al bisogno di cure e di salute.
La Regione Emilia Romagna aveva già dal 2016 fornito delle prime indicazioni in questo senso. Indicazioni poi riprese anche nel piano sociosanitario provinciale del 2017 ma di cui però non si vede traccia nelle decisioni successivamente adottate dall’Ausl di Piacenza.
Le case della salute vengono indicate come luoghi fisici dove i medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e gli specialisti in libera professione (figure convenzionate e libere di aderire o meno) ma mancano quelle scelte di investimento (in dotazioni e personale) da parte di Ausl che dovrebbero, omogeneamente fornite sul territorio, ben altre risposte. Parliamo della organizzazione e potenziamento sul territorio dell’assistenza domiciliare, dei servizi di prevenzione, dei consultori ginecologici, di presa in carico delle fragilità (disturbi cognitivi, malattie mentali) ecc., oltre all’accesso a diverse prestazioni specialistiche.
Eppure, solo due mesi fa, con la visita del Ministro Speranza e del Presidente Bonaccini, erano stati annunciati investimenti sulla medicina territoriale a Piacenza che sembravano prospettare, finalmente, un progetto organico.
Il progetto del Politecnico di Milano, presentato come balzo in avanti, ancora una volta non spiega quale sia la progettualità sulla medicina territoriale a Piacenza. Ancora una volta ci si ferma a parlare di muri.
Queste osservazioni erano già state fatte dal Coordinamento provinciale dei comitati sulla salute e medicina territoriale, nell’unico incontro avuto con l’Ufficio di Presidenza della conferenza socio sanitaria provinciale (presenti la presidente Fontana ed il direttore Ausl Baldino). Non ci furono allora risposte soddisfacenti e ad oggi, sulla medicina territoriale, la direzione Ausl sembra ancora procedere più dal punto di vista immobiliare che sanitario. Si ripete quel che sta succedendo col “nuovo ospedale”, visto come investimento non rinviabile, mentre oggi quel che manca alla sanità piacentina (se di medicina territoriale vogliamo parlare) è un investimento per potenziare (non ridurre) una adeguata distribuzione ospedaliera su tutto il territorio provinciale.
Se invece di muri e colate di cemento si investisse in organici, dotazioni, distribuzione ospedaliera territoriale, medicina territoriale, si spenderebbe anche di meno con risultati significativi (e subito, non fra 15 anni) utili a recuperare i tanti ritardi che si stanno accumulando, per esempio sul rispetto dei tempi di accesso, alle cure, a visite ed esami, senza dover dipendere sempre più (come sta succedendo) alla sanità privata.
La conferenza socio sanitaria continua a prendere decisioni in nome della salute degli utenti di cui però non riconosce il diritto alla partecipazione ed al confronto.
Eppure, in nome della trasparenza amministrativa, l’Ausl, nei suoi documenti, si dichiara aperta al confronto ed alla partecipazione (associazioni, sindacati ecc). Abbia il coraggio allora di rispettare questi impegni o dichiari esplicitamente la sua volontà di cancellarli».