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Santa Maria di Campagna ed i capolavori del Pordenone

Denso di storia è il luogo in cui sorge la basilica di Santa Maria di Campagna, tempio cinquecentesco che affonda le sue fondamenta sin nelle origini del Cristianesimo in territorio piacentino (vedi articolo sulla salita al Pordenone aperta dal 4 marzo).

Secondo quanto tramandatoci da Pier Maria Campi, in quest’area un gruppo di cristiani venne martirizzato nel 303 d.C., e i poveri resti vennero occultati in un ipogeo. Qui sorse un primo santuario detto “di Campagnola” – per il suo trovarsi fuori dalle mura della città – oggetto di una devozione crescente e stazione di preghiera per i pellegrini, anche grazie alla leggenda delle proprietà taumaturgiche dell’olio scaturito dal “pozzo dei martiri”.

Nell’XI secolo si costruì nei pressi anche una cappella dedicata a Santa Vittoria, che ne custodiva alcune reliquie: con l’aumentare del fenomeno dei pellegrinaggi il piccolo santuario, posto proprio all’ingresso occidentale della città lungo l’itinerario “francigeno”, non era più bastevole a contenere i fedeli in preghiera. Fu questo il luogo prescelto da Papa Urbano II per riunire il Concilio del 1095, dal quale venne l’impulso alle Crociate; unitamente alla devozione per i martiri del IV secolo si andava qui affermando il culto per la Vergine, alla quale il Papa dedicò in questa occasione un prefazio stabilendo, prima di ripartire, indulgenze per chi avesse pregato in Santa Vittoria in occasione di particolari festività, tra cui quelle mariane. Si rinnovarono con i papi successivi la protezione della Santa Sede e la concessione di indulgenze in nome della Vergine, raffigurata nel secondo Trecento da una statua lignea policroma, la Madonna di Campagna solennemente traslata il 24 dicembre del 1531 in una cappella del nuovo edificio eretto su progetto dell’architetto piacentino Alessio Tramello (1470 c.-1529) che già aveva dotato la città delle splendide chiese di San Sisto e San Sepolcro. La costruzione del nuovo tempio, iniziata nel 1522 e portata a compimento entro il 1528, era stata fortemente voluta dalla comunità cittadina di concerto con le autorità ecclesiastiche per sostituire l’antichissima chiesuola di S. Maria di Campagnola.

La basilica tramelliana e la magnificenza della sua forma e del suo apparato decorativo vennero a esprimere non soltanto le istanze devozionali dei piacentini ma anche un senso civico di orgogliosa appartenenza, non venuto meno anche dopo il 1547, quando alla prima Congregazione di Fabbricieri istituita con gli Statuti del 1521 si erano sostituiti alla reggenza i Francescani Minori Osservanti, per volere del Duca Pier Luigi Farnese. Sulla croce greca della pianta centrale, consueta per la diffusissima tipologia dei santuari mariani in Italia tra XV e XVI secolo, il Tramello innestò quattro cappelle angolari, ciascuna coperta da una cupolina retta da un tiburio e sormontata da una lanterna, a replica della grande cupola d’ispirazione bramantesca posta al centro della croce. Lo spazio interno venne strutturato come una solenne articolazione di poderosi pilastri, arconi trionfali e lacunari dorati; una lapide sul pavimento presso l’altare individuò il luogo in cui si trovava l’ipogeo con i resti dei martiri del primo Cristianesimo.

L’“antichissima chiesuola” venne inglobata nella cappella a pianta quadrata sorta in area presbiteriale per accogliere la veneratissima Madonna di Campagna; anch’essa dotata di cupola e lanternino, venne poi inserita nella nuova abside durante l’ampliamento del coro (resosi necessario all’arrivo dei Francescani a metà Cinquecento), e infine distrutta nel 1791 assieme al coro stesso, per un ulteriore ampliamento su progetto dell’architetto Lotario Tomba. La decorazione interna venne concepita come un grandioso inno per immagini innalzato alla gloria della Vergine Maria, a cui presero parte tra il Cinquecento e l’Ottocento vari artisti andando a costituire una sorprendente antologia di pittura e scultura. Tra i primi pittori a prender parte all’impresa venne a dipinger la cupola maggiore il friulano Giovanni Antonio de’ Sacchis da Pordenone (1483-1539), secondo una convenzione stipulata con i Fabbricieri il 15 febbraio 1530.

Non è ancora chiaro come la scelta sia caduta proprio sul Pordenone, di cui il talento straordinario di frescante e l’arditezza di linguaggio figurativo erano comunque ben noti in ambito piacentino per il ciclo della Cappella della Concezione per i Pallavicino nella chiesa dell’Annunziata a Cortemaggiore, da poco terminato, e forse anche grazie alle spettacolari scene della Passione di Cristo dipinte nel Duomo della non lontana Cremona tra 1520 e 1521. Il tramite con il territorio cremonese potrebbe esser stato il piacentino Barnaba dal Pozzo, nel cui “bellissimo giardino”, secondo Giorgio Vasari il Pordenone avrebbe dipinto “alcuni quadri di poesia”. Il dal Pozzo si trovava infatti anch’egli a Cremona nel 1520, in qualità di luogotenente del Podestà. Anche la figura dell’umanista e nunzio apostolico Girolamo Rorario, presente in città come commissario pontificio, è stata associata alla commissione di Piacenza come un possibile tramite per il Pordenone, di cui era concittadino. Entro l’11 marzo del 1532 l’artista portò a termine gli affreschi della cupola maggiore sino al fregio e quelli della cappella di Santa Caterina, lasciando Piacenza – come attestato da un atto notarile stipulato con i Fabbricieri – per un periodo che avrebbe dovuto essere di pochi mesi.

I lavori in Santa Maria di Campagna si protrassero invece ben più a lungo, se consideriamo che nell’estate del 1535 da Venezia il Consiglio dei Dieci pregava i committenti della città padana di pazientare sino al marzo dell’anno successivo in merito ai “lavori di affrescatura” di “certa cappella de la Madonna di Campagna”, poiché il De’ Sacchis si trovava impegnato in una sala del Palazzo Ducale fino ad ottobre, e il clima poi si sarebbe fatto problematico per l’esecuzione degli affreschi. Il pittore friulano dovette in ogni caso far ritorno entro il 31 dicembre 1536, quando si ritenne di chiudere tutti i conti aperti con lui: il lavoro alla cupola non era stato completato, e i pennacchi con gli Apostoli e il tamburo con Storie della Vergine, datati al 1543, sarebbero stati assegnati a Bernardino Gatti detto il “Sojaro”. Entro il 1536 sono da ritenersi perciò eseguiti i dipinti nella Cappella Rollieri – detta anche “dei Magi” o “delle Natività”, e l’affresco sulla parete di sinistra dall’entrata, raffigurante Sant’Agostino.

Tratto da “PORDENONE in Santa Maria di Campagna”, libro strenna 2017 della BANCA DI PIACENZA a cura di Eleonora Barabaschi (stampa Tip.le.co)

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