E’ una vicenda intricata (anche dal punto di vista giuridico) quella che coinvolge una piacentina, unita civilmente con un’altra donna.
La giovane ha dato alla luce una bambina attraverso la procreazione assistita (in Spagna) grazie ad un donatore anonimo. Una volta rientrate a Piacenza sono però insorte svariate complicazioni legate all’iscrizione della piccola all’anagrafe.
Il tutto sfociato in un’autodenuncia in Procura per falso in atto pubblico.
“Speravamo, avendo dialogato col Comune per mesi, di ottenere una tutela”. Con queste amare parole Sara Dallabora sottolinea il momento che sta vivendo. La donna ha deciso di autodenunciarsi “per non privare la figlia di un’identità allo stato civile”.
Secondo quanto afferma la donna, l’ufficiale di stato civile si rifiuterebbe di ricevere il riconoscimento di entrambe le madri, formando un atto di nascita che dia conto del fatto che la bambina è nata da fecondazione assistita (la fecondazione assistita eterologa fra coppie omosessuali in Italia è ancora vietata ndr).
“Ci avevano dato anche delle buone prospettive – aggiunge -, poi si è ribaltato tutto, decidendo di seguire la legge che loro ritenevano corretta invece di tutelare il bambino come hanno fatto in altri Comuni”.
Le motivazioni che stanno dietro questa scelta, spiega Sara, stanno nel fatto che “non essendoci una legge a livello nazionale è a discrezione loro decidere o meno in merito alla questione”.
Secondo la neo mamma “hanno strumentalizzato politicamente questa cosa”. Anche il Sindaco ha deciso di portare la questione in Giunta.
“Essendoci però la Lega – è la tesi di Sara – hanno fatto muro al riconoscimento delle due madri”.
In pratica per ottenere la registrazione della bambina la mamma piacentina, secondo quanto afferma, sarebbe “stata costretta a dichiarare il falso; non è civile nel 2018 che una donna con un figlio avuto dalla fecondazione in vitro sia obbligata a dire che ha avuto un rapporto sessuale con un uomo”.
Lo stesso procedimento è stato compiuto nel 2015 per l’altro figlio della coppia. “Allora però non sapevamo di poter fare diversamente, ancora non esistevano le unioni civili. Che Piacenza si ritrovi a non tutelare i bambini mi sembra veramente assurdo, quando poi troviamo per esempio all’ingresso della città la scritta CITTA’ A SOSTEGNO DEI BAMBINI”
Altra cosa assurda, sottolinea Sara è che “a Crema, a poche decine di chilometri da qui sia possibile riconoscerlo. Noi abbiamo deciso di riconoscerli qui perchè questa è la nostra città, ci aspettavamo che tutelasse i nostri figli”.