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Sforza Fogliani ricorda la sua maturità: “oggi passo per conservatore ma allora ero un liberale rivoluzionario”

Ha preso il via alle 8,30 di stamane, con la prova scritta di italiano, la maturità targata 2019. A Piacenza sono 3.465 i candidati nati nel 2000 che si trovano ad affrontare un esame profondamente cambiato dalla riforma del ministro Bussetti. Un esame che presenta molte incognite e che, nonostante i tanti proclami ottimistici del titolare del dicastero, ci si augura non sia penalizzante per i ragazzi.  Domani sarà la volta della prova specialistica. Anche in questo caso non più una sola materia, come è sempre stato, ma due: latino e greco al classico, matematica e fisica allo scientifico.

Una sperimentazione che verrà in qualche modo fatta “sulla pelle” dei maturandi che si trovano ad affrontare prove mai sottoposte prima agli studenti (se non in occasione di alcune simulazioni affrontate in corso d’anno) e per le quali non sono stati specificamente preparati. Per cinque anni hanno messo a punto il saggio breve, poi è arrivato il ministro del governo giallo-verde e lo ha eliminato dalla rosa delle tracce.

Ma come mai tutte le volte che cambia governo il ministro di turno va a toccare la scuola ed in particolare la maturità? E’ una domanda che abbiamo sottoposto – fra le tante relative ai suoi ricordi dell’esame liceale – a Corrado Sforza Fogliani, avvocato, presidente del Comitato Esecutivo della Banca di Piacenza, presidente del Centro Studi di Confedilizia e soprattutto appassionato di politica e liberale.  

Perché alla fine cambiare la maturità è una cosa che non comporta spese, non comporta rivoluzioni scolastiche ed educative vere. Decidono invece di due scritti ne fate tre e poi di nuovo due. Quasi come se ciascuno volesse lasciare la sua traccia di Ministro, così possono dire “sono stato io che ho fatto due scritti un orale e così via”.

Pensi all’attuale riforma varata solo pochi mesi fa e per la quale i ragazzi non hanno ricevuto una preparazione specifica.

Così sperimentano subito l’Italia di oggi.

E poi le scuole medie superiori da noi hanno sempre avuto la funzione di formare il carattere.

Parliamo della sua maturità. Cosa si ricorda?

Io sogno raramente, ma quando sogno … sogno l’esame di matematica del liceo classico. Era, per noi, da trauma psicologico. Avevo scelto il classico che aveva già frequentato mio fratello maggiore Paolo (scomparso alcuni anni fa ndr.) che aveva cinque anni più di me. Lui era molto bravo in matematica. Io invece preferivo le altre materie. La matematica l’ho sempre studiata poco ed ecco il perché della paura quando si è arrivati al “redde rationem” della maturità. Non l’avevo studiata “bene” perché mio fratello, che era bravo, mi disse «tu, quando in classe ti chiedono se hai capito, di sempre di sì, anche se non hai capito niente. Quando è il momento giusto tu alzi la mano e la professoressa ti chiama. Ti detta lei l’espressione, tu la trascrivi alla lavagna. Vedrai che alla fine dirà “se ha capito Sforza, dovete aver capito anche voi, altrimenti andate a lezione”».

Così feci. Mi dettava sempre lei la soluzione ed alla fine sono arrivato in terza liceo che sapevo poco. Dico terza liceo perché allora c’erano due anni di ginnasio dopo le medie e tre di liceo ed in mezzo un esame.

Un esame per passare dal ginnasio al liceo?

Si. Lo facevano gli stessi i professori del Gioia. Lo sostenni con il professor Cremona. Ricordo che mi aveva fatto tradurre dal latino al dialetto. C’era una qualche parola dialettale che aveva una radice latina e quindi mi mise alla prova.

Comunque l’esame di maturità lo affrontai con un po’ di panico. Noi portavamo tutte le materie e per gli autori anche i riferimenti alla prima e seconda liceo. Al di là dei sogni ed al di là della mia posizione personale era certamente un esame traumatico che si dava con membri tutti esterni, salvo uno che era interno e faceva quel che poteva per illustrare le cose.

Per difendervi insomma.

Si. Ma non è che potesse fare più di tanto.

Corrado Sforza Fogliani a diciotto anni
Corrado Sforza Fogliani, al centro, a diciotto anni, mentre festeggia con alcuni amici

Gli scritti erano sempre due?

In realtà erano quattro perché, oltre al tema, si traduceva dal latino all’italiano e dall’italiano al latino e infine dal greco in italiano.

L’orale di matematica come andò?

Sinceramente non ricordo con esattezza … ma andò. Mi ricordo invece che a giugno mi avevano ammesso con una serie di sei. Allora arrivare al sei era già una conquista non da poco. 

Adottò una qualche strategia per affrontare l’esame?

Osservammo molto il comportamento dei commissari per capire come “muoverci”. Come membro interno avevo il professor Periti, il papà di Pierfrancesco, medico, che ogni anno Carlo Mistraletti ricorda attraverso il “Periti Day”.  Avevamo molta fiducia in lui perché era una persona faconda … parlava … e avrà convinto gli altri commissari.

Gli esami al Gioia si tenevano nei corridoi. Portavano fuori i banchi forse per sorvegliare meglio e rendere più difficile passare i compiti.

Una cosa seria sotto i punti di vista insomma

Ricordo che studiai oltre due mesi per prepararla. Allora si sosteneva nella seconda metà di luglio. Mi ero chiuso praticamente in casa. Avevo attrezzato una stanza diversa da quella nella quale studiavo solitamente, la mia camera da letto. Invece, per l’occasione, mi impossessai di una camera ideale anche dal punto di vista climatico, che non fosse esposta al sole per poter studiare dal mattino alla sera.

Non esistevano i condizionatori. Stavo sui libri dalle sei di mattina alle otto di sera.  A volte non mi vestivo neanche, restavo in pigiama, per sfruttare al massimo il tempo. Anche perché, per la verità, io me la son sempre cavata, a giugno, ma non ho mai raggiunto posizioni eccelse. Facevo il minimo indispensabile perché, già allora, avevo tanti interessi. Ero nella gioventù liberale, mi occupavo del giornale studentesco.

Che si intitolava?

La Squola con la q!

Un titolo ribelle …

In qualche modo lo era. Era stato possibile pubblicarlo dopo che il Partito Liberale aveva conquistato il Ministero della Pubblica Istruzione che era sempre stato rigorosamente tenuto dai democristiani. Basti citare il ministro Gonella! Volevano avere il controllo dell’educazione. Nel 1954 i Liberali presero in mano il ministero con Gaetano Martino (che poi, divenuto Ministro degli Esteri, firmò a Messina i primi trattati Europei) . Da buon liberale Martino fece una circolare nella quale invitava i presidi e le autorità scolastiche a favorire la nascita di questi giornali studenteschi, indirizzandoli verso qualcosa di diverso dai giornali letterari. Si discuteva, tra virgolette, di rivendicazioni.

Di che tipo?

Ad esempio che ci fossero o meno le interrogazioni programmate. Che i professori dicessero il voto al termine dell’interrogazione. Cose oggi normali ma che allora non lo erano. Diciamo temi da “sindacalismo scolastico studentesco”.

Tornando all’esame ed agli scritti, cosa si ricorda

Ci fu una semi tragedia. Allora il testo cartaceo delle prove arrivava da Roma, super sigillato. Ebbene nel testo di greco avevano scambiato un’omega (Ω) con un’omicron (O). Quindi non riuscivamo a capire. Nonostante sfogliassimo il Rocci (il famoso e pesantissimo vocabolario greco antico-italiano) non riuscivamo a comprendere il senso della frase. Gli stessi insegnanti furono inizialmente disorientati. Poi uno di loro si assunse la responsabilità di dire che doveva essere interpretata come Omega. Nel frattempo, però, era già passato un mucchio di tempo.

Si ricorda anche il tema di italiano?

Il titolo no. Mi ricordo che ce n’era uno storico ed uno di attualità. Scelsi quello storico ma non mi viene in mente di che periodo si trattasse.  Però mi ricordo che era un po’ rivoluzionario.

Non ci dica che uno come lei, che passa per essere un conservatore, nasconde trascorsi rivoluzionari.

In qualche modo conservatore, adesso, lo sono anche perché invecchiando lo si diventa. Ma quel tema più che liberale fu “libertario”. Da giovane ero davvero un po’ rivoluzionario. Avevo portato tutti gli studenti di Piacenza a votare per l’elezione del consiglio Interstudentesco. Era il consiglio che rappresentava gli studenti di Piacenza che allora portavano una papalina di colore diverso a seconda della scuola di appartenenza.

Ogni sabato facevamo un dibattito alla Filodrammatica su temi scolastici, su nostre rivendicazioni. Ricordo che la professoressa Calderini mi promuoveva perché … studiavo quanto bastava e quindi doveva promuovermi , ma non è che mi vedesse con molta simpatia. Aveva una concezione aristocratica del ruolo degli insegnanti. Quindi per lei era inconcepibile che un professore dovesse sottostare a queste novità come dire il voto dopo un’interrogazione. Non voleva saperne. Con me ha sempre avuto un “odi et amo”.

Prendo spunto dalla sua citazione “catulliana” perché, a proposito di latino, lei è appena rientrato dalla Cina dove ha visitato l’Università dell’Umanesimo. Curioso che studino loro “nostre” materie classiche mentre noi le stiamo relegando sempre più.

Stanno rivalutando le lettere, il latino. A Hangzhou ci sono quattro docenti che lo insegnano ed hanno richieste a non finire. Da noi invece è stata fatta una guerra radicale al latino. Il latino secondo me serve come le altre materie, come matematica o la fisica per aprire il cervello. Il latino, in più aggiunge il fatto di farci apprezzare l’umanesimo, il fatto che l’uomo libero è l’uomo completo, che ragiona con la propria testa.

Il petrolio del nostro paese sarebbe proprio l’umanesimo. Tutti parlano dei musei, delle arti ma la nostra ricchezza è anche la mentalità che trasmette l’umanesimo. Noi siamo quello che la società è e la società è quale noi siamo. Proprio questa compenetrazione dei valori è una caratteristica dell’umanesimo che le nazioni stanno rivalutando, a partire dalla Cina, in funzione dell’aridità della tecnologia. La tecnologia deve essere non fine a se stessa ma accompagnata da un arricchimento che solo con le lettere antiche si può avere.

In Cina il professor Miraglia, che faceva parte della delegazione, ha parlato un’ora in latino, a braccio e così anche un giovane studente messicano che ha parlato a sua volta, per quaranta minuti, in latino. Loro seguono un metodo nuovo, non con quelle antipatiche coniugazioni, declinazioni “rosa, rosae …” Lo imparano parlando.

Torniamo alla sua maturità. Una volta finito l’esame fece un qualche viaggio fra amici o all’epoca non si usava?  

Non vorrei confondere un anno per un altro ma secondo me ero andato in Finlandia perché lì c’era il primo esperimento di governo tra un partito moderato ed il partito comunista. La Finlandia era sempre stato un protettorato dell’Unione Sovietica. Chi, in Italia, voleva l’apertura a sinistra ed almeno l’inclusione dei socialisti nel governo diceva “vedete che si può anche governare anche con i comunisti”. Allora ero andato per rendermi un po’ conto di come fosse, se avessero stravolto i programmi. In realtà scoprimmo che non c’era nulla di particolare.  Essendo un protettorato i comunisti c’erano sempre stati, anche se magari non in forma ufficiale”. Fu quello il mio viaggio.

La politica è sempre stata la sua vera passione

In effetti è da quando ero a scuola, al liceo, che me ne sono sempre occupato. Per la verità sarò uno dei pochi che è entrato in politica da liberale, è uscito dalla politica da liberale ed uscirà dalla vita da liberale.

A proposito di maturità quanto, a suo giudizio, è importante il risultato dell’esame, il voto, rispetto al resto della vita?

Credo niente. L’Università, il voto di laurea, sono una cosa diversa ma nessuno fa caso ai voti con cui si è passata la maturità. La maturità conta perché è uno scoglio importante nella vita di ciascuno. Lo è adesso e lo era allora sia per gli aspetti formativi legati all’imparare le materie sia per la formazione del carattere.

Al di là del voto ai miei tempi per studiare legge serviva il diploma di liceo classico, l’unico con cui potevi accedere ai corsi. Fin da ragazzo volevo fare l’avvocato penalista … e naturalmente ho fatto il civilista! Perché poi bisogna vedere dove ti porta la vita e quali sono le occasioni che ti si presentano. Pensi che ho fatto pratica nello studio dell’avvocato Grandi sullo stesso tavolo dove aveva fatto pratica mio padre.

Nelle foto l’avvocato Sforza Fogliani a diciotto anni

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