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Sgominata banda di spacciatori: nove arresti

Su richiesta della Procura della Repubblica di Piacenza, alle prime ore del mattino del 3 luglio scorso, circa 40 militari del Comando Provinciale di Piacenza hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Piacenza nei confronti di nove soggetti indagati in concorso tra loro per i reati di “spaccio di sostanze stupefacenti”, “falso commesso da privato” e “tentata estorsione”.

L’indagine, condotta dal nucleo operativo e radiomobile di Bobbio (PC) e dalla stazione Carabinieri di San Giorgio Piacentino (PC) dall’aprile 2017 al novembre 2018 e coordinata dalla Procura della Repubblica di Piacenza, era partita dalle dichiarazioni di un consumatore di cocaina. L’uomo aveva raccontato ai militari di Bobbio di rifornirsi saltuariamente di droga da uno spacciatore che solitamente utilizzava come luogo di incontro e spaccio una fermata dell’autobus nella città di Piacenza.

Le successive indagini, i pedinamenti e gli appostamenti hanno consentito di identificare un gruppo criminale composto da italiani e stranieri che mirava alla gestione e controllo dello spaccio di stupefacenti in particolare a Piacenza e nella Val Trebbia. Specializzati in cocaina ,gli spacciatori vendevano talvolta anche hashish a numerosi clienti.

Le indagini oltre a permettere di denunciare a piede libero sedici persone (di cui 3 stranieri) ha consentito di definire la struttura, le posizioni di vertice ed i ruoli dei membri di questo gruppo malavitoso ben organizzato.

Gli investigatori hanno così ricostruito le dinamiche con cui il gruppo operava e gestiva la sua “piazza” di spaccio, permettendo di individuare e definire le modalità di cessione delle sostanze stupefacenti.

Ma i carabinieri hanno anche scoperto che gli indagati oltre alla droga si occupavano anche di contraffazione di documenti. In particolare si procuravano patenti di guida false, che venivano successivamente cedute a cittadini di origine nordafricana.

Alcuni fra gli arrestati inoltre avevano per alcuni mesi gravemente e reiteratamente minacciato i familiari di un loro co-indagato, nei confronti del quale sostenevano di vantare un credito, nel tentativo di farsi consegnare ingenti somme di denaro, che arrivavano sino a 100.000 euro, per presunti lavori effettuati e non pagati nonché per il prezzo pagato per ottenere appunto documenti contraffatti.

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