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Speciale Elezioni 2018: intervista a Tommaso Foti (FdI)

Seconda puntata dedicata da PiacenzaOnline alle prossime elezioni politiche. Il candidato alla Camera del centro-destra Tommaso Foti si racconta ai microfoni di Carlandrea Triscornia nello Speciale Elezioni. Alla fine di questo articolo trovate la video-intervista integrale, mentre – qui di seguito – sintetizziamo alcuni dei passaggi principali.

Foti lei ha 57 anni ed è entrato in politica a 20 anni, quando fu eletto consigliere comunale, con l’MSI, a Piacenza. Non è stanco di fare il politico dopo 37 anni.

«Non mi stanco perché per me la politica è una passione, Ho sempre lavorato, mentre facevo politica, mentre quando sono stato parlamentare ho interrotto il rapporto di lavoro perché ho sempre ritenuto che un impegno legislativo debba essere fatto bene e con il tempo necessario».

Come mai ha deciso di candidarsi nuovamente dopo che è già stato eletto quattro volte in Parlamento?

«Me lo ha chiesto Giorgia Meloni, probabilmente in virtù di quella che oggi sembra una caratteristica dimenticata e che è invece importante per chi fa politica: la capacità, l’esperienza oltre che la coerenza e l’onestà».

Davanti a questa voglia di novità che sembra emergere, oggi, nel paese essere un politico d’esperienza è un handicap o un vantaggio

«Essere un politico di professione è un vantaggio per la nazione perché si sa di cosa si sta parlando, evitando di prendere in giro le persone. Mi pare che il rottamatore Renzi sia finito rottamato, attorniandosi di incapaci o di affaristi di seconda generazione. Con il sistema bancario sarebbe stato meglio trattasse gente che non aveva padri, madri, sorelle, nonni, zii interessati al sistema bancario. C’è bisogno di persone che sanno decidere, oneste e competenti. Quindi sono DOC!».

Foti lei siede attualmente in Consiglio Regionale, ma in passato è stato parlamentare.  Quali sono le maggiori differenze fra i due ruoli?

«Il consiglio Regionale è molto più a portata di cittadino. Quelle che si trattano sono tematiche che immediatamente si riverberano sulla regione dove eserciti la tua funzione quindi vi è un’attività legislativa ma anche una amministrativa. In Parlamento vi è prettamente una attività legislativa che nel 95% delle leggi ha un significato per tutto il territorio nazionale, salvo alcune piccole parentesi che possono essere l’anniversario di un grande scrittore o il centenario di un grande musicista per i quali magari si fa, in quell’anno, una legge ad hoc per avere un finanziamento».

Quale è il vero rapporto fra Bologna e Piacenza? Piacenza è davvero la Cenerentola dell’Emilia Romagna e farebbe meglio andarsene in Lombardia?

«E’ innegabile che ci siano rapporti lavorativi ma non solo col territorio lombardo. Oggi il rapporto con la Regione è quello di essere dei buoni dimenticati, anche se non del tutto esclusi. Vedo un rapporto sulla sanità, sull’innovazione, sulla prevenzione idrogeologica che mi pare squilibrato nei confronti delle altre province emiliane. Non parlo del turismo perché quello è un monopolio romagnolo».

Nei giorni scorsi il confronto fra Giorga Meloni ed il direttore del Museo Egizio di Torino è stato fra i più visti sul web. Ma davvero, secondo lei, gli italiani in Italia sono discriminati?

«In settori sensibili della vita cittadina vi è indubbiamente uno squilibrio a sfavore dei cittadini italiani. Prenda il caso degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, quelli che una volta si chiamavano case popolari. Non si dovrebbe prescindere, nell’assegnazione, da un certo numero di anni di residenza sul territorio. Invece si privilegia il numero di figli, ben sapendo che le famiglie italiane hanno mediamente 1,23 figli per coppia contro il 3,5 circa degli stranieri. Vi è già uno squilibrio in partenza. Parliamoci chiaro: in regione si spendono decine e decine di milioni di euro nella sanità per gli stranieri, la maggioranza dei quali non sono profughi ma clandestini. Poi vediamo la vecchietta di Piacenza che deve pagarsi il ticket. Mi pare che ci sia un po’ di squilibrio».

Tornando all’episodio di Torino … la destra e la cultura non sempre vanno così d’accordo?

«Mi permetto di dissentire. Se guardiamo l’inizio del novecento il futurismo non mi pare un fenomeno di sinistra; alcune rivista come Strapaese o Stracittà non erano di sinistra, così come l’arte razionalista. Mi pare che di cultura ce ne fosse tanta. Magari a desso c’è più “culturame.

Il grande investimento non solo economico ma di immagine, la giunta di centrodestra lo ha fatto con Piacenza Capitale della Cultura Italiana. La Giunta Barbieri ha creato un prodotto che ci ha collocato tra le prime 10 città finaliste di Capitale Italiana della Cultura 2020. Questo è un forte segno di attenzione verso la cultura.

Ritengo che Piacenza abbia un giacimento culturale unico nel suo genere, con pochi competitori a livello nazionale, che è la Galleria Ricci Oddi che probabilmente meriterebbe un’attenzione diversa ed anche un modo di essere proposta diverso».

Girando per Piacenza, così come per tante altre città, purtroppo, le saracinesche abbassate sono sempre di più.  Segno di una economia che fa fatica ad uscire, realmente dalla crisi.

«Non mi sembra infatti che, come dice qualcuno, il peggio sia passato e la crisi sia alle spalle. Rispetto alla chiusura dei negozi ritengo che come negli affitti delle case anche per le attività commerciali si dovrebbe passare dal metodo di tassazione attuale, vessatorio, alla cedolare secca. Questo favorirebbe da una parte chi affitta e dall’altra il proprietario. Come negli immobili tradizionali, dove si può vedere che un certo risultato è stato raggiunto. Riconosco che ci sia comunque una trasformazione del mercato attuale, con riferimento alla vendite online. Le vendite online una volta non c’erano. Il consumatore è sempre lo stesso.

Se non abbassiamo significativamente la pressione fiscale in Italia noi ammazziamo sia l’impresa commerciale sia l’industria».

Cosa ne pensa della manifestazione di Controtendenza dei giorni scorsi. Come giudica questo corteo che è poi degenerato e gli scontri con le forze dell’ordine?

«Noi eravamo in piazza. Avevamo prenotato un gazebo da tre mesi e ci è stato chiesto di toglierlo per evitare incidenti. Contrariamente a quello che alcuni hanno sostenuto, a mio giudizio, il fine di questo corteo era uno ed uno solo: aggredire la polizia. La dimostrazione più netta è che non c’è stata una vetrina rotta, un qualche cassonetto rovesciato. L’essenziale era tirare sanpietrini e sassi addosso a poliziotti e carabinieri. L’aggressione subita dal carabiniere è qualcosa di volgare, di meschino, di stomachevole. Trenta contro uno … non è civiltà, non è politica è delinquenza comune».

Video Intervista a Tommaso Foti

 

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