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Successo per due opere “minori” di Carella

Ci sono tre ottime ragioni per vedere questo spettacolo allestito al President dalla Compagnia teatrale della Famiglia Piasinte ina, un’accoppiata di testi dialettali di Carella: “La t’è andà bein” e  “Col cor in gula”.

Anzitutto l’occasione più unica che rara di vedere due lavori carelliani minori (rispetto per esempio ai più famosi “Toot l’onor” e “Oh, che ratassada”) tenuti a lungo in ombra e in pratica quasi mai rappresentati, ed ora proposti con l’impagabile gusto di una cosa che è un po’ primizia e un po’ riscoperta.

Poi l’occasione di ricordare Gianni Poggi con un festoso e vivacissimo, tenero e corale gran finale fra i tavoli d’una osteria.

Infine l’occasione di scoprire Corrado Casati mentre recita: lui avvezzo e familiare a teatri e palcoscenici, stavolta lo vediamo e sentiamo anche recitare: poche battute, per la verità, e dette per di più con poca voce, ma in ogni modo in veste di interprete, anche se in fondo interpreta se stesso, pianista e direttore del coro.

Cosa volete di più?

Vedere in scena anche il razdur Danilo Anelli? Eccolo, allora, in marsina e in maniche di camicia fra gli avventori dell’osteria a far combriccola con gli amici dello scudlein, del fiasco, della briscola e degli acuti, in un tripudio di bevitori, di cori, di canti, di tenori, dove Gianni Zucca diventa la controfigura dell’altro grande Gianni. Due Gianni – come uno dentro l’altro – per un “Libiamo” che è il momento più coinvolgente e alto della serata.

Non è come assistere alle opere maggiori di Carella, ma ci sono ugualmente sicuri motivi di interesse, di divertimento ed anche di riflessione e di nostalgia. Soprattutto per quelle scenette di umile vita familiare, quei battibecchi più sorridenti che acidi tra marito e moglie, quelle baruffe fra vicini che sembrano prese di sana  pianta dalla realtà tanto sono vere, quelle atmosfere d’altri tempi, non artificiose ma autentiche.

Il fatto è che Egidio Carella non è solo un commediografo, è anche senza saperlo e a modo suo uno storico: assistere ad una sua commedia – anche a questi suoi due atti unici – è un  ripasso di storia strapiacentina. E’ un tenerci aggiornati non all’oggi, ma al nostro passato. Se non la data, l’epoca delle due vicende narrate   sembrano darla i paginoni della vecchia Libertà quand’era in formato gigante sbandierati in bella evidenza in apertura di sipario, dietro le cui colonne in bianco e nero spunta poi la faccia ammiccante di Gigi Pastorelli.

Un trionfo per tutti i 22 attori e cantanti in scena, scesi fra gli scroscianti applausi finali in platea ai piedi del palco e ai lati della sala. E in cima alla bandiera, i due registi Pino Spiaggi e Corrado Casati. A coronamento d’una rappresentazione (con un grande pubblico) a cui devo dir grazie: mi ha dato modo di risentire una parola che non sentivo più dagli anni dell’infanzia, quando tornando a casa dopo aver  giocato per le strade mia mamma attaccava a sgridarmi così: eccolo qua tutto dasbudlè…

Umberto Fava

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