«Che cosa mi spinge a compiere queste ricerche storiche? Il desiderio far emergere le esperienze di guerra dei campi di prigionia, poco raccontate, e far rivivere questi luoghi (nel Piacentino, Cortemaggiore, Montalbo, Rezzanello e Veano, ndr) che senza memoria rimangono muti». Così il ten. col. David Vannucci ha concluso la brillante presentazione della sua ultima fatica editoriale – “Veano, la prigione della libertà” (Edizioni Tip.Le.Co.), realizzata con il contributo della Banca di Piacenza e la collaborazione del Collegio Alberoni – avvenuta al PalabancaEventi davanti a un folto pubblico che ha riempito Sala Panini.
In dialogo con Emanuele Galba (da cui l’autore ha preso a prestito il titolo del libro, che il giornalista aveva utilizzato per un articolo della terza pagina di Libertà del primo agosto 1994, quando caporedattore era il compianto Ninino Leone), il col. Vannucci ha illustrato il contenuto del volume non prima di aver indirizzato un ringraziamento alla Banca per il sostegno e un pensiero a Corrado Sforza Fogliani («è anche grazie a lui se mi sono appassionato a queste ricerche»).
Le principali fonti per quest’ultima pubblicazione sono state l’Archivio storico dell’Opera Pia Alberoni, l’Archivio dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, l’Archivio del Comitato internazionale della Croce Rossa (Ginevra), l’Archivio di Stato di Piacenza, i report delle ispezioni dell’Ambasciata italiana in Svizzera e i vari racconti pubblicati dai prigionieri una volta tornati in patria.
Quello di Veano è stato l’ultimo campo di prigionia ad aprire nella nostra provincia (1 maggio 1942 con l’arrivo dei primi 15 ufficiali da Rezzanello e di 60 attendenti da altri campi). Villa Alberoni (residenza estiva dei seminaristi prima della requisizione) arrivò ad ospitare 268 tra ufficiali e attendenti britannici e dei domini imperiali inglesi su un’area di oltre 9mila metri quadrati: 2.450 di aree interne (160 vani tra camere, bagni e latrine; 102 vani accessori tra magazzini, locali di sgombero, guardaroba, dispensa, forno, cantina dei vini; 6 vani di grandi dimensioni (cucine, refettori, sala biliardo e cappella) e 6.800 di aree esterne (3 cortili e un ampio piazzale). Durante tutto il periodo comandarono il campo il ten. col. Enrico Poggiali (poco amato) e il col. Francesco Cornaggia Medici Castiglioni (più apprezzato).
«Nel campo si stava bene – ha spiegato l’autore – i pasti erano abbondanti grazie ai pacchi che la Croce Rossa faceva avere agli ufficiali prigionieri. Il problema principale era la noia, che veniva combattuta giocando a Monopoli, a basket, a volley, poker, ping pong, biliardo, bridge; con lezioni e conferenze, con letture attinte da una biblioteca ben fornita, con il cinema e con passeggiate concesse “sulla fiducia”. Non mancavano le lamentele: per la carenza d’acqua, per la mancanza di pigiami, per arredi inadeguati. Teneva comunque compagnia agli ufficiali un pensiero fisso: quello della fuga».
I tentativi di fuggire furono diversi. Epico quello attraverso il tunnel del mag. Evans lungo 14 metri che portò i fuggitivi fuori dal campo (poi tutti ricatturati, chi a 40 chilometri da Roma, chi prima di entrare in Svizzera, chi a Piacenza; il mag. Evans fu ripreso dopo 4 giorni a nord della capitale).
Con l’armistizio dell’8 settembre del 1943 iniziò la seconda parte della storia del campo p.g. 29: quella dell’evasione di massa agevolata (anzi, quasi co-condotta) dal comandante italiano di Veano col. Cornaggia Medici assieme all’SBO britannico col. Younghusband «e che è rimasta nell’immaginario collettivo locale e in tutta la Valnure – ha sottolineato il col. Vannucci – come un atto eroico divenuto poi leggenda». Un’evasione epica (10 settembre ’43) di quasi 300 uomini (organizzati in piccoli gruppi per non essere individuati e ricatturati) in direzione delle coline, con le truppe tedesche alle calcagna, anticipate davvero di pochissimo tempo nel loro intento di occupazione del campo e di cattura degli occupanti. La “prigione della libertà”, appunto, per gli ufficiali dei Paesi del Commonwealth ai quali in verità – come da testimonianze raccolte – non era andata poi così male: a Veano, infatti, i prigionieri stavano decisamente meglio delle loro guardie.
Agli intervenuti è stata riservata copia del volume.