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Vicenda Csm – Palamara: il “passato piacentino” di Ferri e Morlini

Hanno entrambi un passato “piacentino” Cosimo Maria Ferri e Gianluigi Morlini coinvolti nella vicenda mediatico giudiziaria del Csm e delle nomine dei magistrati.

Morlini fu giudice a Piacenza

Gianluigi Morlini, reggiano, classe 1969, è entrato in magistratura nel 1988 e dopo Ivrea è stato destinato al tribunale di Piacenza, sezione civile dove ha lavorato per alcuni anni.

Nel 2012 si trasferì nella natia Reggio  fino ad essere nominato, nel luglio 2018, come membro togato del Consiglio superiore della magistratura. Faceva parte della corrente “Unità per la Costituzione” e risultò il quarto magistrato più votato dai colleghi. In un’intervista rilasciata a giornali e tv locali, subito dopo la nomina, Morlini parlando dello spesso difficile rapporto fra politica e magistratura dichiarò «sono delle difficoltà che riemergono in modo carsico, in modo ciclico. L’auspicio è molto chiaro, molto netto. Il sistema giustizia per funzionare ha bisogno della collaborazione fra tutti i soggetti.  E’ necessario che ciascuna parte faccia il proprio lavoro, senza invasioni di campo».

Il magistrato, nonostante fosse uno fra i più giovani membri del Csm, venne nominato in un ruolo chiave, Presidente della quinta commissione, proprio quella chiamata a decidere l’assegnazione dei ruoli dei giudici alla guida dei tribunali italiani.

Lo scandalo, partito da un’inchiesta per corruzione su Luca Palamara, potentissimo ex presidente dall’Anm ed ex membro proprio del Csm, ha portato alla luce le modalità con cui -secondo l’accusa – sarebbero state influenzate le nomine e le sanzioni disciplinari all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura.

Alcuni membri dell’organo di autogoverno dei magistrati avrebbero intrattenuto rapporti e partecipato a diversi incontri con Palamara e con esponenti del mondo politico forse proprio nel tentativo di pilotare nomine e promozioni. Riunioni notturne nei salottini di alberghi romani che, al di là di eventuali responsabilità penali, sono dai più giudicate inopportune.

Morlini, dopo essersi inizialmente autosospeso ed essere stato sostituito alla presidenza della commissione da Mario Suriano, sotto il pressing del vice presidente David Ermini, e dopo l’apertura di un’azione disciplinare nei suoi confronti (e di suoi tre colleghi) ha deciso di dimettersi pur continuando a proclamare la sua buona fede: «Voglio con forza ribadire – ha scritto l’ex consigliere – che il mio unico errore è stato quello, una volta trovatomi al posto sbagliato nel momento sbagliato, di non avere immediatamente preso le dovute contromisure, andandomene ed astenendomi dal parlare di vicende consiliari. Tale errore in buona fede non può però far revocare in dubbio l’assoluta correttezza della mia storia personale e professionale, che ritengo tutti mi riconoscano, avendo sempre agito, nell’attività giurisdizionale ed in quella consiliare, in piena coscienza e autonomia, senza condizionamento alcuno. – Per tale motivo – ha sottolineato Morlini – essendo stato proposto nei miei confronti un procedimento disciplinare, per senso di responsabilità istituzionale e per potere difendermi al meglio nelle sedi opportune, ritengo necessario presentare le mie dimissioni da Consigliere. (Morlini è ora rientrato in Tribunale a Reggio ndr)». 

Diversa la chiave di lettura che della vicenda da il Pg della Cassazione – Riccardo Fuzio – nell’atto di incolpazione con cui ha avviato l’azione disciplinare nei confronti dei 5 togati del Csm. I magistrati – secondo l’ipotesi dell’accusa – il 9 maggio 2019 – avrebbero partecipato ad un incontro notturno assieme a Palamara, Spina, Lotti e Ferri, per discutere della nomina del procuratore di Roma. Incontro che, secondo il procuratore non sarebbe stato casuale. Oltre ai consiglieri del Csm e a Palamara vi presero parte anche due importanti esponenti del Partito Democratico, l’ex ministro Luca Lotti ed il parlamentare ed ex sottosegretario di Stato del Ministero della Giustizia Cosimo Maria Ferri.

Ferri venne nominato segretario comunale a Pianello

Anche la carriera di Cosimo Maria Ferri è passata per la nostra provincia. Pontremolese è figlio di Enrico Ferri (esponente del PSDI e magistrato, ministro dei Lavori Pubblici nel Governo De Mita, noto per aver imposto il limite dei 110 km/h in autostrada).

Nato nel 1971 e laureatosi in legge a Pisa, Cosimo Maria conseguì l’abilitazione come avvocato e superò il concorso per segretario comunale venendo nominato titolare della   segreteria comunale   di   Pianello Val Tidone (PC).

Entrato in magistratura fu giudice a Massa fino alla sua nomina, nel 2006, nel Csm, dove presiedette varie commissioni. Influente esponente di “Magistratura indipendente” passò in politica con il Governo Letta e poi con Renzi, entrando infine in parlamento. Come sottosegretario Ferri tornò a Piacenza in svariate occasioni visitando anche il carcere delle Novate e partecipando a numerosi convegni.

Ferri, intervistato dal Fatto.it, ha rivendicato la liceità delle sue iniziative. Incalzato sul tema degli “incontri notturni’ negli hotel”  Ferri ha affermato «Non abbiamo fatto niente di male. La sera – riporta Fatto.it – uno può fare quello che vuole ed incontrare chi vuole. Io sono stato il magistrato d’Italia più votato e mi hanno messo all’opposizione, posso frequentare Palamara benissimo».

In un’altra intervista, al Fatto Quotidiano, invece Ferri ha contestato le intercettazioni ambientali effettuate in occasione della ormai famosa riunione dell’8 maggio 2019 «Su questo – sostiene il parlamentare – occorrerà fare chiarezza anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 390 del 2007, che sottolinea le prerogative dei membri della Camera e del Senato, ai sensi dell’art. 68 della Costituzione. Ci vuole la necessaria preventiva autorizzazione all’intercettazione tutte le volte in cui il parlamentare sia individuato in anticipo quale destinatario dell’attività di captazione».

Nella foto a sinistra (foto Twitter) Ferri e a destra Morlini.

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